Qui si entra e non si paga…

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Dalla caduta del fascismo ad oggi la classe dirigente ha continuato a credere che fossero l’impunità o la proibizione gli unici metodi di governo della società e non, invece, la chiarezza di leggi e regolamenti

– Enzo Ciaraffa –

Dopo quella municipalizzata del Comune di Livorno che ha imposto il braccialetto elettronico ai dipendenti netturbini, per controllarne l’operato, anche la scuola alberghiera Marco Polo di Genova ha deciso di partecipare al festival dell’umiliazione del sottoposto. Il dirigente di questo istituto, infatti, ha disposto che i suoi studenti possano andare in bagno ogni due ore e soltanto per dieci minuti. A quanto è dato di sapere, la draconiana disposizione non contempla né un’improvvisa diarrea, né un’accentuata diuresi dopo qualche birra di troppo la sera prima.

Questo ennesimo episodio di coercizione educativa rende evidente il fatto che il nostro sistema amministrativo, sociale e di valori si sta incardinando su tre punti uno più pericoloso dell’altro: l’impunità, la repressione e l’autoreferenzialità. Come dire che, dalla caduta del fascismo ad oggi, la classe dirigente ha continuato a credere che fossero l’impunità o la proibizione gli unici metodi di governo della società e non, invece, la chiarezza di leggi e regolamenti e, cosa molto importante, l’esempio.

Questo modus operandi ha trovato la massima applicazione nella scuola e nel sistema educativo in generale, che inclina a scaricare sui giovani tutto quello che non funziona nel loro mondo, compresa la mancanza di lavoro. Eppure pervenire alle diverse cause che sono alla base dei comportamenti sbagliati giovanili sarebbe semplice, sennonché si fa avanti l’autoreferenzialità dei principali attori del nostro sistema educativo, come dire genitori e scuola.

«Chi, noi? – esordiscono i genitori – …ma se lavoriamo da mattina a sera! È la scuola che deve fornire buoni insegnamenti ai nostri ragazzi». Salvo poi andare a redarguire, o addirittura a picchiare, il docente di turno, onesto ed inflessibile nelle valutazioni riguardanti i loro figli.

«È difficile incanalare nel giusto modello educativo un ragazzo – ribatte la scuola – «…se questo non è stato educato in famiglia alla dignità dello studio e al dovere dei buoni comportamenti».

Ed è così che gli uni e l’altra sfuggono impunemente ai loro doveri, a quegli obblighi che sono naturali prima ancora che istituzionali, come l’insegnamento del sapere e dell’educazione. Stando così le cose è più semplice e meno faticoso proibire invece che educare, ed è più d’impatto minacciare piuttosto che conquistare. Ecco perché siamo arrivati dai braccialetti elettronici dei netturbini di Livorno alla pipì a tempo di Genova.

Mentre scrivevo mi è ritornato alla mente un ricordo scolastico risalente – pensate! – al 1965. Quell’anno frequentavo un istituto superiore in quel di Aversa e un giorno, recatomi al bagno, trovai una scritta in rima (che per ovvie ragioni d’igiene non oso definire baciata… ) sul muro, il cui autore aveva usato il manico dello scopettone come penna e le sue deiezioni come inchiostro: «Qui si entra e non si paga/Si piscia e poi si caga… ».

È passato oltre mezzo secolo da quel giorno e tante cose sono cambiate, in particolare riguardo la percezione esistenziale, i costumi ed i sentimenti degli esseri umani, tant’è che da una società graniticamente ancorata a certi valori, siamo passati alla dissolvente società liquida di Bauman. Tuttavia sono persuaso che se lo sconosciuto studente aversano di mezzo secolo fa dovesse ancora prodursi in un’anonima scritta sul muro dei bagni della scuola, la cambierebbe radicalmente: «Qui si entra e d’ignoranza si paga/Ma non si piscia e neppur si caga… ». Il completamento della “poesia” lo lasciamo volentieri gli studenti del “Marco Polo” di Genova. Non sui muri però.