I fanatici del presidente con gli occhi di ghiaccio

Share
Incensare il capo, oppure salire sul carro del più forte per paura di non fare in tempo a sedersi al tavolo delle prebende che questi distribuirà, è tipico di noi italiani storicamente privi d’immarcescibili valori, servili fino all’abiezione e in perenne ricerca di un uomo della provvidenza. E pensare che Mussolini dovette aspettare tre anni, fare ammazzare Matteotti e chiudere i giornali avversari, prima di essere divinizzato dai media meno della metà di Mario Draghi in questi giorni
– Enzo Ciaraffa –

All’annuncio che Mario Draghi aveva ricevuto dal presidente della repubblica l’incarico di formare un nuovo governo è parsa cambiata la storia dell’Italia e dell’Europa. Ciò perché, nella circostanza, tutti i media hanno iniziato a scrivere dell’economista romano con sturbanti toni elogistici, tali da far pensare che tutte le attività da lui intraprese fino ad oggi abbiano avuto degli esiti miracolosi e che, ogni volta che apre bocca, un sovranista muore in Europa. Tra i meriti di Draghi, “il Fatto Quotidiano” ha annoverato perfino quello di fare la fila al supermercato e di prediligere i ravioli e le salsicce, come dire con toni mitologici che egli, in fondo, fa le cose che quotidianamente fanno milioni di anonimi cittadini italiani.

Questo modo d’incensare il capo, di salire sul carro del più forte per paura di non fare in tempo a sedersi al tavolo delle prebende, è tipico di noi italiani storicamente privi d’immarcescibili valori, servili fino all’abiezione e in perenne ricerca di un uomo della provvidenza al quale affidare il nostro destino ad occhi chiusi, purché ci sgravi da quelle responsabilità civiche che sono, invece, inalienabile patrimonio delle vere democrazie. E pensare che Mussolini dovette aspettare tre anni, fare ammazzare Matteotti e chiudere i giornali avversari, prima di essere divinizzato dai media meno della metà di Mario Draghi in questi giorni!

Per carità, non metto in dubbio gli studi, i titoli e la valentia di un siffatto economista, né mi permetterei di tranciare giudizi sulla sua professionalità non possedendo i titoli occorrenti per potermelo permettere. Anzi, dirò di più: da qualche giorno ho preso l’abitudine d’inchinarmi, ossequioso e riverente, all’economista d’avanti alla cui foto sulla mia scrivania ho acceso perfino un lumino, di quelli che mia nonna collocava sotto il quadro del Sacro Cuore di Gesù dopo averlo acceso con lo zolfanello.

Detto questo, però, se ne avessi la possibilità, chiederei al presidente Mattarella perché, secondo lui, Mario Draghi che non è un politico esattamente come il suo predecessore, dovrebbe far meglio del predecessore, tanto più se sostenuto dalla stessa maggioranza implosa appena una settimana fa. All’inquilino del Quirinale, che all’atto di rivelarci la volontà di convocare Draghi ha dato una sua personale interpretazione della Costituzione, segnatamente al diritto di voto degli italiani, un diritto il cui esercizio è stato da lui sconsigliato per non veicolare il coronavirus, vorrei domandare in quale articolo della maxima carta abbia letto che un’emergenza sospende la democrazia.

Da ciò che trapela dai sacri palazzi della politica andrebbe già delineandosi un abbozzo del programma di Draghi secondo il quale, il Recovery Plan, non può essere sprecato e i fondi erogati devono essere usati con saggezza, che è come dire che a gennaio farà freddo. Per carità, va benissimo, il proponimento è ottimo, ma a questo punto mi punge qualche altra domanda: può il neo-uomo della Provvidenza, il Leonardo da Vinci dell’economia mondiale, realizzare un immane programma da 210 miliardi (che per impegno è come rifare tutte le opere del Louvre!), con gli imbianchini del M5S? Può fare ascendere le sue decisioni – che immagino dovranno essere di altro profilo, rapide, dolorose ed efficaci – al placet di bibitari, disk jockey e vari nullafacenti? Potrà, ad esempio, fare ragionevolmente affidamento su quel Danilo Toninelli che, parole sue, ha perfino lavorato un po’ per l’Italia da quando è stato eletto?

Immagino che, essendo agli inizi delle consultazioni, il presidente incaricato non abbia ancora capito con chi dovrà fare il governo anche se, stando agli “aperturisti” delle ultime ore, a parole, i partiti sono quasi tutti con lui… e con i miliardi del Recovery Fund. Unica eccezione  il partito Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Almeno per adesso.

Eppure, comunque finisca una tale giostra, non sono del tutto persuaso che la nostra democrazia uscirà indenne e pacificamente da questa prova, se nella formazione del nuovo governo – ammesso che riuscirà a formarlo – Super Mario non uscirà dagli schemi con i quali sta tentando d’ingabbiarlo il PD in queste ore, e che sono gli stessi che hanno portato al fallimento del secondo governo Conte.

Per ora consoliamoci con l’infallibile giudizio di quel grande politico e profondo conoscitore di uomini che risponde al nome di Luigi Di Maio, al quale Draghi avrebbe fatto “una buona impressione”.

Potrebbe interessarti anche Il nuovo Governo intorno a un tavolo dove nessuno si fida dell’altro