Dalla vicenda di Stefano Cucchi, dove si sono alternate la triste vicenda di un giovane allo sbando allontanato dalla sua stessa famiglia, ambizioni personali e molte, troppe, reticenze, omissioni, ignavia e delazioni dei diversi attori coinvolti nel processo, ad uscirne male è soprattutto l’Arma dei Carabinieri, emblematicamente parte in causa e parte civile allo stesso tempo. Ma non è tutto.
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Riferendosi a un commento di Matteo Salvini (“La droga fa male”) a proposito della sentenza che il 14 novembre scorso ha condannato due Carabinieri colpevoli di aver causato, preterenzionalmente, la morte del fratello Stefano, la signora Ilaria Cucchi ha querelato il segretario della Lega perché, secondo lei, la droga non c’entra nulla con la morte del fratello e Salvini starebbe strumentalizzando la sua memoria. Lui?
Ritentiamo che nessuno debba morire di botte in un Paese civile, specialmente se non è in grado di difendersi (dai Carabinieri poi!) e non abbiamo la minima intenzione di addentrarci nei diversi processi che, dal 2012 ad oggi, si sono celebrati sulla morte di Stefano Cucchi, limitandoci a focalizzare due punti dell’intera vicenda poco noti e, a nostro avviso, non sufficientemente valutati in sede dibattimentale:
- il 15 ottobre del 2009 Stefano Cucchi, con precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti, venne fermato dai Carabinieri dopo essere stato colto in flagranza di vendita di droga e, portato in caserma e perquisito, fu trovato in possesso di cocaina e hashish. Quando i Carabinieri avvisarono per telefono la mamma di Stefano, raccolsero soltanto gli improperi telefonici della signora diretti al figlio. Peraltro, durante il primo processo, Stefano Cucchi che soffriva anche di alcuni cronicizzati malanni fisici, evidenziò una certa difficoltà nella deambulazione e, intorno agli occhi, alcuni ematomi. Tuttavia, parlando col padre prima dell’udienza, non disse di essere stato picchiato, né lamentò altro tipo di maltrattamento;
- il 6 novembre del 2009, proprio nell’appartamento di famiglia occupato da Stefano, i familiari trovarono dosi per 925 grammi di hashish e per 133 grammi di cocaina che subito consegnarono al magistrato che aveva convalidato l’arresto.
Quindi, oggettivamente parlando, la droga con la morte di Stefano Cucchi c’entra, se non altro perché lo aveva portato laddove, secondo i magistrati, avrebbe subito le fatali percosse.
Ma, stante anche il precedente delle ultime elezioni europee dove la candidatura di Ilaria Cucchi fu caldeggiata dall’attuale segretario PD Zingaretti, è innegabile che la sentenza sulla morte di Stefano, piacente o non piacente, corrobori le ambizioni politiche della sorella, ambizioni che diventano sempre più manifeste, come è accaduto ieri a Roma quando essa ha risposto in merito all’ipotesi di una sua prossima candidatura: «Faccio politica da dieci anni. In questo momento possiamo andare a tutti i comizi che vogliamo». E certo, il processo è finito, ha ottenuto ciò che voleva – la “giustizia” sembrerebbe – e si può ben dire che abbia vinto su tutta la linea!
Ebbene, da questa brutta storia, dove si sono alternate la triste vicenda di un giovane allo sbando allontanato dalla sua stessa famiglia, ambizioni personali, ignavia e molte, troppe, reticenze, omissioni e delazioni dei diversi attori coinvolti nel processo, ad uscirne male è l’Arma dei Carabinieri, parte in causa e parte civile allo stesso tempo. È emblematica in questo senso la foto che ritrae un Maresciallo dei Carabinieri mentre fa il baciamano a Ilaria Cucchi il giorno della sentenza, un’iniziativa, quella del Sottufficiale, inopportuna almeno per due ragioni.
La prima ragione è di tipo disciplinare: un Carabiniere in servizio, e in divisa, l’unico saluto che può/deve rendere è quello militare.
La seconda ragione riguarda la gratuità del gesto: giusta o sbagliata che fosse stata la sentenza, la signora destinataria dell’inopinato baciamano del Sottufficiale aveva appena ottenuto la testa dei suoi due Carabinieri … pertanto un’istituzionale indifferenza poteva bastare a rendere sobriamente l’idea che, alla fine, la giustizia trionfa e, al contempo, mostrare un po’ di umana tristezza per i colleghi appena colpiti dal braccio della legge.
Anche perché la storia dell’ancora benemerita Arma dei Carabinieri è fatta di implacabilità nel perseguire i rei, perfino al proprio interno, ma anche di compassionevole pietà per loro. Per tutte queste ragioni, perciò, il baciamano in un’aula di tribunale dove erano appena andate in scena la morte, la sofferenza e la menzogna è stato decisamente fuori posto. Come dire che in quell’aula abbiamo visto un inappuntabile cavalier servente ma non un comandante.