La maggior parte dei giornalisti nostrani ha dato poco risalto agli uzzoli censori della Rai, o li ha deliberatamente ignorati, per non disturbare il manovratore, cioè per non precludersi la possibilità di essere in futuro imbarcati sulla corazzata dell’informazione pubblica. E poi perché scandalizzarsi più di tanto se è stato uno dei padri nobili del giornalismo italiano, Paolo Mieli, che a proposito delle presidenziali americane ha benedetto la censura operata dai giornalisti sul presidente Trump
– Enzo Ciaraffa –
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, Eduardo De Filippo fu talvolta censurato dalla Rai per le velate critiche al sistema politico, che le sue commedie spesso contenevano, e per le pruderie di una televisione in mano alla Democrazia Cristiana, che all’epoca era, come dire in mano al Vaticano. Si narra addirittura che in una commedia di Eduardo (pare “Questi fantasmi!”) fu censurata la scena dove il marito diceva alla moglie andiamo a letto invece che andiamo a dormire.
Era quella, un’Italia che si era da poco liberata del fascismo ma non della sua mentalità perché, in buona sostanza, la classe dirigente intermedia e di funzionari che mandavano avanti l’apparato burocratico del Paese erano, per una questione di età, tutti di nomina, e di mentalità, fascista. E poi gli italiani del tempo erano troppo presi dalla ricostruzione, quella che determinò a quel tempo il cosiddetto miracolo economico, per porsi anche problemi pratici di “gestione” delle loro libertà, e quasi erano felici di vivere in una sorta di grande fattoria dove, immancabilmente alle 23.000, la Rai aveva il compito di spegnere le luci e mandarci a letto.
Insomma, fino al termine degli anni Sessanta in Italia operò una censura paternalistica-religiosa che, però, stette attenta a non tirare troppo la corda anche perché i media dell’epoca, per recuperare almeno un po’ dell’onore perso durante il fascismo, vigilavano o almeno fingevano di farlo sulla democrazia. Eppure dagli anni Cinquanta ad oggi mai la RAI, complici i collaterali e variegati mezzi d’informazione di oggidì, aveva soggiaciuto alle lusinghe della dittatura del politicamente corretto che poi è quella stessa del potere vigente. Cito soltanto gli ultimi tre episodi che l’hanno riguardata nel giro di appena quindici giorni.
Un esempio la cancellazione dal talk show di approfondimento giornalistico, “Titolo V”, del senatore grillino Nicola Morra per le sue parole sulla defunta governatrice della Calabria Jole Santelli: parole abiette e disgustose ma che il grillino aveva il diritto di dire; per non ascoltarlo sarebbe bastato anche soltanto cambiare canale, non c’era bisogno della censura.
Oppure la sospensione della trasmissione “Detto fatto” condotta dall’attrice Bianca Guaccero, in onda nel pomeriggio su Rai2, dopo le polemiche innescate dal siparietto del tutorial; esso e stato ritenuto di stampo sessista perché conteneva, con taglio chiaramente ironico, un’esibizione di lingerie per niente osé peraltro.
In ultimo la censura della trasmissione “The Voice Senior” condotta dalla sempre misurata Antonella Clerici, dove una ultra sessantenne fisicamente ben messa, una certa Viviana Stucchi, durante la sua esibizione si sarebbe prodotta in un eccesso di sculettamento mentre cantava una canzone dalla versione italica di Paris Hilton, ovvero la procace Elettra Lamborghini appartenente alla famiglia legata all’omonimo e famoso marchio di auto.
La maggior parte dei media, ovviamente, ha dato poco risalto agli uzzoli censori della RAI, o li ha deliberatamente ignorati. Forse perché li condivide? Più semplicemente per non disturbare il potere, per non precludersi la possibilità di potere essere in futuro imbarcati sulla corazzata dell’informazione pubblica che per non assolvere tale compito ci fa pagare pure un canone. E poi perché scandalizzarsi? Non è stato uno dei padri nobili del giornalismo italiano, Paolo Mieli, che a proposito delle presidenziali americane ha benedetto la censura operata dai giornalisti sul presidente uscente Trump?
Ma tutto questo dove ci sta portando, con grande godimento di una classe politica che, già di suo, sta tentando di imbrigliare con ogni mezzo il libero pensiero e vanificare i disposti dell’articolo 21 della Costituzione? La risposta è semplice: alla dittatura!
Immagino che qualche collega stia ridendo sotto i baffi a questa mia affermazione che può sembrare eccessiva soltanto a chi non conosce bene la storia di questo Paese. Ebbene, a costoro vorrei ricordare che probabilmente anche penne di vaglio del giornalismo di quegli anni sorrisero con sufficienza quando Benito Mussolini pose loro un interrogativo che essi valutarono iperbolico: «La libertà? Che cos’è la libertà?». Poi sappiamo dove portò quella domanda senza risposta.
Eppure la risposta era allora, ma lo è soprattutto oggi, abbastanza semplice per un giornalista che non sia in qualche maniera prezzolato od asservito a un interesse: la libertà è poter dire che in Rai si stanno facendo le prove generali per la prossima dittatura; libertà è poter liberamente dire al proprio capo del governo «Presidente, prima se ne andrà a casa, lei e il suo governo, e meglio sarà per la nostra democrazia!».
Certo, alcune critiche possiamo ancora pubblicarcele da soli o su qualche organo d’informazione minore, se però non ci mette becco l’Ordine dei Giornalisti in veste unidirezionalmente censoria, un Ordine figlio peraltro di quella creatura mussoliniana che fu l’Albo Generale dei Giornalisti Professionisti, o non ce lo cancelli la censura immotivata e unilaterale dei diversi social e, giusto per rimanere in tema, della Rai.
Ma tutto questo che cosa ci azzecca, direbbe il bucolico Antonio Di Pietro, con la libertà e con la democrazia?