Preghiamo per i caduti invece di maledirli con il Ddl Boldrini

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È innegabile, viste anche alcune sue precedenti iniziative a senso unico, che l’onorevole Laura Boldrini possegga un eccezionale tempismo sciacallesco. Infatti, all’approssimarsi del giorno in cui solitamente ricordiamo la Patria e i caduti in guerra, ha presentato un disegno di legge per l’istituzione del “Giorno della memoria per le vittime del colonialismo italiano” in modo che ogni anno ci ricordi, secondo lei, le malefatte coloniali dei nostri padri-soldati

– Enzo Ciaraffa –

Mio padre, un Carabiniere Reale a piedi, quando il pomeriggio del 5 maggio del 1936 il generale Pietro Badoglio entrò a cavallo nella capitale dell’Etiopia appena conquistata, Addis Abeba, con la sua banda autocarrata avanzante tra un combattimento e l’altro si trovava sotto un interminabile acquazzone tra la località di Dagabur e Giggiga sul fronte Nord, impantanato ai bordi del fiume Giarer in piena stagionale. Sicché, quando Mussolini il 9 maggio del 1936 annunciò al mondo che l’impero era ritornato sui colli fatali di Roma, egli si trovava ancora a Dire Daua, dove la colonna dei Carabinieri si era congiunta col 46° Reggimento di Fanteria, come dire che era a 450 chilometri da Addis Abeba. Mio padre non arrivò a vedere la capitale dell’ex regno del Negus perché venne rimpatriato appena prima di arrivarci in quanto colpito da amebiasi, in un periodo in cui non esistevano specifici antibiotici, e dalla malaria quando esisteva soltanto il chinino per poterla curare.

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Per fortuna se la cavò, ma dopo la guerra lasciò l’Arma dei Carabinieri perché inidoneo al servizio per tutta una serie di ferite subite sui vari fronti bellici e da civile trovò impiego presso il Comune di Napoli. A distanza di oltre mezzo secolo dalla sua morte, conservo un ottimo ricordo di mio padre al quale mi univano molte cose, a partire dalla passione per la carriera militare, l’amore per la famiglia, l’ardore per le istituzioni, per la lirica e per la caccia… v’era davvero una grande intesa ideale tra me e quell’uomo semplice e buono. Non era mai stato fascista, né era un nostalgico del fascismo mio padre, tutt’altro, semmai un incallito monarchico, e i suoi insegnamenti a noi tre figli furono improntati alla tolleranza, alla comprensione e all’amore per la libertà, tant’è che dopo il 1943 si batté contro gli occupanti tedeschi nelle fila dell’esercito badogliano… anche se, stando alla vulgata corrente, la Resistenza l’avrebbero fatta soltanto i vecchi militanti dell’area politica di Laura Boldrini che non cito per caso.

Infatti, mentre scrivo, in Parlamento è stato presentato un Ddl – Disegno di legge per l’istituzione del “Giorno della memoria per le vittime del colonialismo italiano” in modo che ogni anno ci ricordi le malefatte coloniali dei nostri padri-soldati. La prima firmataria di questo disegno di legge è stata la deputata piddina Laura Boldrini, seguita dal post comunista Nicola Fratoianni, da alcuni pentastellati e – poteva mai mancare! – dal presidente nazionale dell’Anpi Pagliarulo. Il guaio dei nostri politici è che essi, tra le tante inefficienze fino a oggi evidenziate nel governo del Paese, ne stanno facendo emergere una che è perfino degradante per chi si propone di governare una nazione e un popolo: ne ignorano la storia, sennò farebbero meno cazzate.

Perciò, sperando che qualcosa resti nella loro zucca con moltissimo spazio disponibile, ci assegniamo l’improba mission di spiegare a Laura Boldrini & C. che, a proposito del colonialismo italiano, le due colonne della loro casa madre, il Partito Socialista prima e quello Comunista dopo, ebbero più di qualche responsabilità a proposito delle guerre d’Africa, vuoi per adesione al progetto, vuoi per la fuga dalle responsabilità politiche a riguardo. D’altronde, è innegabile il fatto che, quando l’allora capo del governo Giovanni Gioliti – che apparteneva alla sinistra storica – decise di occupare la Libia, ebbe anche l’appoggio di uomini della Sinistra nel suo governo e fuori da esso, come pure di quella cultura che oggi definiremmo di sinistra, rappresentata – per fare un breve esempio – da Giovanni Pascoli e da Matilde Serao. Nella circostanza Pascoli addirittura definì l’Italia colonizzatrice come “La grande proletaria”.

Ma negli anni successivi anche il Partito Comunista Italiano rivide la sua posizione sulla colonizzazione italiana dell’Etiopia, pensando, a un certo punto, di potersi acconciare col regime fascista, come ci informa l’ex presidente dell’Istituto Pedagogico della Resistenza, Gino Candreva, nel suo lavoro Nazionalismo e comunismo di fronte alla guerra d’Etiopia: “L’ingresso delle truppe italiane in Addis Abeba, nel maggio del 1936, cambia la prospettiva propagandistica del Pci che, pur riconoscendo che l’occupazione della capitale etiope non avrebbe posto fine alle operazioni militari, deve tuttavia fare i conti con la realtà di un regime che, proprio in occasione della proclamazione dell’impero, ottiene il massimo consenso popolare. Nella riunione dell’Ufficio politico l’8 maggio 1936, al punto sulla questione abissina, l’intervento di Longo [Luigi – ndr] esprime chiaramente la delusione e il disorientamento del gruppo dirigente comunista che aveva puntato sulla disfatta italiana. I fatti impongono una rettifica nella propaganda e nelle parole d’ordine, ma ne deriva anche una rettifica dell’analisi. Le prime avvisaglie di questo mutamento di prospettiva si rivelano in un articolo dello “Stato operaio” [Giornale dei comunisti italiani – ndr] dopo Addis Abeba, del maggio 1936, scritto a caldo dopo la proclamazione dell’impero, ma è il manifesto programmatico per la salvezza dell’Italia: riconciliazione del popolo italiano che delinea in maniera più netta questo mutamento […] Il manifesto ha come suo nucleo programmatico l’appello ai fascisti perchè lottino insieme coi comunisti per la realizzazione del programma fascista del 1919, che è un programma di libertà. Ed è firmato, a ribadirne la solennità, dai veri nomi e cognomi dei dirigenti del Pci”. Una roba da non credere oggi… i comunisti che volevano allearsi con i fascisti colonialisti! A meno di non volere andare a contestualizzare quel tentativo mettendolo in relazione al succitato programma fascista che, almeno del 1919, era oggettivamente di sinistra.

Vabbè che noi italiani studiamo la storia patria anche meno dei politici, il che è tutto dire, ma una domanda all’onorevole Laura Boldrini & C. vogliamo proprio farla: «Ma signori, con tali precedenti storici a proposito del colonialismo italiano, il vostro Ddl non vi sembra una demagogica e divisiva stronzata? Forse sarebbe meglio ricordare che i nostri padri andarono a combattere per l’acquisizione delle colonie africane non volontariamente, come fecero i vostri quando scapparono in Russia per andare a condividere le atrocità di Stalin, ma soltanto perché glielo aveva ordinato il governo». Perfino gli eritrei, gli ex colonizzati, sono stati più comprensivi dell’onorevole Laura Boldrini & C. verso i nostri padri dal momento che il loro Paese ospita (e rispetta) il maggior numero di cimiteri militari italiani in Africa.

Peraltro, la maggior parte dei giovani che dal 1882 al 1935 fu mandato a colonizzare alcune plaghe africane a partire dall’Eritrea credeva veramente, in totale buonafede, di andare ad assolvere una missione di civiltà, e in molti casi fu così come si può cogliere da alcune foto annesse a questo articolo.

È vero, nessuno aveva chiesto all’Italia di essere da lei “civilizzato”, e non è mai giusto presentarsi con le armi in casa d’altri, ma non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo condannare alla damnatio memoriae i nostri padri, soltanto perché furono le prime vittime della concezione politica del loro tempo e, infine, della dittatura di uno sprovveduto criminale che proveniva dalla stessa casa-madre della Boldrini, l’ex socialista Benito Mussolini. Per concludere, vogliamo consigliare alla suddetta onorevole d’imparare a periodizzare la storia, così si renderà conto che ogni fase storica reca in sé dei caratteri talmente unici e irripetibili da renderla diversa da tutte le fasi storiche precedenti e successive. Come dire che qualsiasi evento storico non può essere valutato prescindendo dai tempi e dalla percezione che ne ebbero i suoi protagonisti: chi nel 1911 cantò “Tripoli bel suol d’amore”, o nel 1935 “Faccetta nera” si sentiva di certo un civilizzatore. Se lo facesse oggi, invece, sarebbe un pericoloso imbecille da ricoverare in psichiatria col Tso (trattamento sanitario obbligatorio). Va da sé, dunque, che i modi di vedersi dell’uomo, rispetto alla storia del suo tempo, non sono sovrapponibili per l’accennata questione della periodizzazione. E poi, detto a bassa voce, ma chi crede di essere questa onorevole che, a distanza di quasi un secolo complessivamente, vorrebbe buttare fango sulla sacra memoria di mio padre, bravo Carabiniere e ottimo soldato, assieme a quelle di decine di migliaia di italiani che, come lui, hanno fatto fino in fondo ciò che ritenevano un dovere che oggi non sarebbe più ritenuto tale. Oggi però, non ieri.

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