L’eroe dei due mondi che guarda Roma dal Gianicolo, in 124 anni ne avrà viste di tutti i colori e chissà quante volte, scoraggiato e deluso come immagina il poeta, avrà desiderato di scendere dal cavallo del suo monumento e andarsene dove la gente è più seria. Magari in Sudamerica dove, tra battaglie nelle pampas, arrembaggio di navi e donne da togliere ai legittimi mariti, la vita era certamente più interessante del piattume romano
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Durante la tosta campagna elettorale per le elezioni politiche del mese di aprile 1948, quando il partito comunista e il partito socialista si presentarono in un’unica lista che aveva come simbolo il volto di Giuseppe Garibaldi, qualcuno scrisse con la vernice rossa su di un muro del quartiere romano della Garbatella “Vota Garibaldi Lista n.1”.
Per capire la valenza storica di quella esortazione elettorale murale, bisogna immedesimarsi nel clima politico di quel periodo che fu a dir poco turbolento tant’è che quattro mesi dopo produsse l’attentato al segretario del partito comunista Palmiro Togliatti. Insomma quella scritta era assurta ad immagine di un periodo storico che, tra l’altro, fu decisivo per l’Italia e per la sua futura adesione alla Patto Atlantico. Per queste ragioni la scritta era stata conservata con cura dal Municipio VIII di Roma.
Purtroppo, nei giorni scorsi, una squadra comunale degli uffici del decoro – che evidentemente non conoscono la storia – ha cancellato quella testimonianza scambiandola per una scritta vandalica, facendo così arrabbiare non poco l’esagerato presidente del Municipio interessato: «Oggi il Campidoglio apre una ferita nel cuore della nostra comunità e dovrà risponderne politicamente…».
Per commentare un accadimento che, a ben vedere, contiene qualche elemento surrealista, abbiamo attinto alla copiosa produzione del poeta Sergio Garbellini, scegliendo una poesia in romanesco che sembra essere stata scritta per la circostanza e non, invece, nel 1972.
Er monumento de Garibardi
Guardanno in arto, in cima ar monumento,
m’accorsi che in groppa der cavallo
Garibaldi ‘n c’era più, stava in lamento
seduto proprio in pizzo ar piedistallo.Aprì l’occhi e me disse piano piano:
“Sta Roma nun è più la Roma vera
‘ndo so passato cò la spada in mano,
‘ndo so passato in testa a la bandiera!L’hanno truccata come a carnevale
‘sta Città Sacra da li sette colli,
‘sta Roma diventata capitale
de mille tasse e centomila bolli!guarda lì vicino a quer cantone
‘n’dove la battaja fu più accesa,
adesso cj hanno messo un pizzardone,
vicino cj hanno fatto n’artra chiesa!‘Sta Roma mia, regina de la storia,
‘sta Roma che ner nobile Ottocento
regnava sopra er trono de la gloria
adesso sembra chiusa in un convento!E poi te vojo fà ‘sta confessione:
“Che tra lo smog, er fumo e la benzina
me so’ ridotto un tizzo de carbone!
‘Sto traffico me sta a mannà in rovina!E la gente?? È tutta scatenata!
Còreno tutti a più de cento all’ora!!
Bisogna che se danno ‘na carmàta
sinnò ‘sto monumento va in malora!!”Guardava e piagneva dar dolore.
Fu allora che zompaj sur piedistallo
e je dissi cor pianto drento ar core:
“Daj, Garibà, rimonta sur cavallo!”.