Nel 1915 partirono per il fronte anche i calciatori della nazionale di calcio, il più noto tra essi fu Virgilio Fossati che cadrà sul Carso. In quei giorni ricevettero la chiamata alle armi anche due militari oggi in odore di santità: il fante Francesco Forgione, poi padre Pio da Pietralcina, e il sergente all’epoca prete presso il vescovado di Bergamo, don Angelo Roncalli che sarebbe diventato papa della Chiesa col nome di Giovanni XXIII
***
30 ottobre 2018 – Eravamo al “maggio radioso del 1915” ovvero nell’anticamera della Grande Guerra, eppure se non fosse stato per le piazze che erano percorse da cortei di neutralisti e/o d’interventisti, la vita in Italia scorreva grama e rassegnata come sempre, e nessuno sarebbe riuscito a immaginare che si stessero preparando eventi dopo i quali per noi nulla sarebbe stato più come prima.
In apparenza, infatti, sembrava scorresse la vita di sempre tant’è che, appena pochi mesi prima di entrare in guerra, la nostra nascente nazionale di calcio aveva battuto per 3 a 1 la rappresentativa Svizzera, ma per molti calciatori quella contro la svizzera sarebbe stata l’ultima vittoria, poiché sarebbero rimasti uccisi nel macello che oramai si approssimava. Il più noto tra essi fu Virgilio Fossati caduto sul Carso. In quei giorni ricevettero la chiamata alle armi anche due militari in odore di santità: il fante Francesco Forgione, poi padre Pio da Pietralcina, e il sergente di complemento, all’epoca prete presso il vescovado di Bergamo, don Angelo Roncalli che sarebbe diventato papa della Chiesa col nome di Giovanni XXIII.
Insomma, nessuno in Italia possedeva tanta lungimiranza per capire che la Belle époque stava per terminare in modo tragico. «La guerra è scoppiata; eppure… – scriveva il Gazzettino di Venezia nell’edizione del 24 maggio del 1915 – …attraversando le nostre campagne non lo si direbbe. Le campagne magnifiche, ubertose, come di rado si vedono, appaiono ridenti sotto il solleone, qua e là qualche bue ara: tutto è pace e serenità».
Sembra di sentir recitare la poesia Il bove ma la prosa carducciana dell’articolista evidenzia l’impreparazione, anche psicologica, dei media, della classe politica e di riflesso della popolazione, la quale era convinta che il suo esercito in un battibaleno, avrebbe piantato il tricolore a Trieste e Trento, e se ne sarebbe ritornato a casa. In realtà le campagne venete erano ancora tranquille e ubertose soltanto perché il nemico ci aspettava arroccato in alto, dove dalle alture del Trentino dominava la pianura veneta e da quelle dell’Isonzo teneva sotto tiro la piana del Friuli, lungo un fronte di 600 chilometri che andava dalla Svizzera al mare Adriatico.
Purtroppo, l’idea che la guerra in corso avrebbe chiuso il ciclo risorgimentale influenzò i vertici militari fino al punto che essi la condussero come l’ultima guerra del Risorgimento invece che come la prima del XX secolo, quello che avrebbe visto scienza e tecnologia al servizio della morte. Infatti, nonostante la lezione proveniente dal fronte occidentale dove si combatteva già da un anno, nessuno si rese conto che lo sviluppo tecnologico, il peso finanziario e industriale pressoché uguale di tutti i Paesi in lotta li aveva messi su di un piano di tragica parità. In altre parole, quella in corso sarebbe diventata l’apoteosi della guerra di posizione per gli eserciti e di logoramento per le nazioni: ad appena mezzo secolo dalla sua Unità, l’Italia avrebbe retto a una prova così grande?
Tenteremo di dare un riscontro a questa domanda, la cui risposta parrebbe storicamente scontata, nelle tre puntate che ci accompagneranno fino al 4 novembre, cioè allo scadere ufficiale dei cento anni dalla fine della Grande Guerra. Anticipiamo che per farlo ricorreremo a tre personaggi pressoché sconosciuti i quali, secondo noi, faranno ben capire quale fu l’arma segreta che ci consentì di vincere la guerra contro ogni previsione, un’arma che talvolta si trasforma nella nostra prima emergenza nazionale: l’emotività o, se preferite, l’incoscienza eroica.
Per ricordare ed onorare gli eroici combattenti della Grande Guerra, il responsabile del blog ci ha donato due foto tra le quali intercorre un arco temporale di mezzo secolo. Infatti, una foto lo riprende nel corso della ricorrenza del cinquantenario a Viterbo, e l’altra con la divisa dei nostri alleati Legionari Cecoslovacchi, a Praga nel corso del comune centenario.
Immagine di copertina: il generale Luigi Capello durante la Grande Guerra (wikipedia)