Non terrorismo ma panislamismo

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È in atto una Crociata al contrario contro un Occidente diviso ed acquiescente che sta già provocando feroci lotte sotterranee per decidere se a guidarla dovrà essere l’Arabia Saudita, la Turchia oppure l’Iran

– di Vincenzo Ciaraffa –

Ancora una volta si è concluso con morti e feriti il sequestro di alcuni clienti in un supermercato di Trebes, sud della Francia, ad opera di un marocchino ventiseienne, Redouane Lakdim, che ha dichiarato di appartenere all’Isis. Ancora una volta – v’è da scommetterci – i media ed il Governo francese diranno un sacco di belle cose sulla coesistenza pacifica e sulla tolleranza interreligiosa ma nessuno andrà a scavare sulle motivazioni che spesso sono alla base dell’insensata ferocia da parte di un terrorista musulmano.

Al credente musulmano, purtroppo, non è concessa l’alternativa della persuasione pacifica del malvagio oppure dell’infedele, ma soltanto di osservare i duri precetti del Corano e questo, di certo, non favorisce la maturazione democratica dell’Islam. Peraltro, la fede islamica in mano agli integralisti diviene concupiscenza perché essi amano Dio soltanto per se stessi, per godere egoisticamente del suo trionfo, per averlo protettore nelle proprie imprese, anche nelle peggiori imprese.

L’amore del Dio cristiano, invece, ci spinge naturalmente a donarci ad un altro diverso da noi, a godere della sua felicità e del suo bene, consapevoli, per dirla con Cartesio, che «Tutto di cui noi siamo soltanto una parte mentre la cosa amata ne è l’altra». Per noi occidentali Dio è ragione, ossia logica, ma una logica molto diversa da quella degli integralisti islamici.

A tal proposito ricordiamo il terremoto nel Sud Est Asiatico del 26 dicembre del 2004 ed il catastrofico tsunami che ne seguì. Furono 200.000 le vittime umane: isole scomparse, paesi distrutti, carestia ed epidemie, questo fu lo scenario che si presentò agli occhi del mondo. Ebbene in quei tremendi frangenti emerse, ancora una volta, la concezione che ha della vita umana l’Islam intollerante. Premesso che il 50% delle popolazioni vittime di quel cataclisma seguivano il Corano non si può dire che la galassia islamica si mobilitò, anzi il cataclisma venne visto come la giusta punizione di Allah a quei popoli che offrivano ospitalità ai turisti occidentali, agli infedeli insomma.

Mentre il G7 nella circostanza varava una moratoria del debito estero di Indonesia, India, Thailandia, Malaysia, Sri Lanka e Birmania, mentre l’Occidente donava 5 miliardi di dollari da destinarsi alle popolazioni colpite dallo tsunami, i musulmani di Aceh, la provincia indonesiana più disastrata, rifiutarono gli aiuti provenienti dall’orbe cristiano per non “contaminarsi”. L’Arabia Saudita, che per aiutare 200 famiglie di uomini-bomba palestinesi raccolse 160 milioni di dollari, non andò oltre gli 82 per alleviare quella immane tragedia.

Quanta differenza dall’esortazione evangelica «Amerai il tuo prossimo come te stesso»! È su questa esortazione che – in fondo – si è costruita la civiltà occidentale. Pur essendo lontana da noi l’idea di indugiare in una sorta di sciovinismo teologico, non possiamo fare a meno di rilevare che in Occidente un Manuale del Mojahideen, come quello circolante fin dal 2004 in Arabia Saudita (lo stesso Paese che poi partecipa ai summit internazionali sul terrorismo…) alla luce del sole, sarebbe inaccettabile dalla nostra visione etica, come lo furono i deliranti programmi delle Brigate Rosse, ai quali il manuale tragicamente rassomiglia:

 

Motivi per sequestrare uno o più individui appartenenti al nemico

  • forzare il governo nemico a soccombere ad alcune richieste
  • mettere il governo in una situazione complessa che crei imbarazzo politico tra il governo nemico e il Paese di detenzione dei sequestrati
  • ottenere informazioni importanti dai prigionieri
  • ottenere riscatti
  • portare alla ribalta un caso specifico

 

Per formare un gruppo di sequestro si richiedono

  • capacità di sopportazione della pressione psicologica
  • intelligenza e riflessi pronti per far fronte a un’emergenza
  • capacità di prendere il controllo dell’avversario. Al fratello viene chiesto di possedere strumenti di lotta che gli permettano di paralizzare l’avversario
  • ottima forma fisica e abilità nella lotta
  • capacità di usare tutti i tipi di arma leggera da rapimento

I ruoli dei rapitori variano a seconda della location delle operazioni di rapimento. Si possono raggruppare in tre categorie

  • gruppo di protezione il cui ruolo è di proteggere i rapitori
  • gruppo di controllo, il cui ruolo è di tenere sotto sorveglianza gli ostaggi e sbarazzarsene in caso l’operazione fallisca
  • gruppo di negoziazione. In generale, il leader del gruppo è il negoziatore. Esprime le richieste dei Mujahideen e dev’essere intelligente, deciso e determinato

Le negoziazioni

  • i rapitori devono rimanere calmi in qualunque situazione
  • nel caso di qualunque perdita di tempo, è necessario assassinare gli ostaggi. Le autorità devono intuire la serietà dei rapitori, per la credibilità delle operazioni future

Insomma più ostaggi si uccidono, secondo il manuale, e più si diventa credibili! Non si coglie neppure un barlume di dolente ineluttabilità in questo orribile vademecum dei terroristi islamisti perché – come al solito – essi giustificano le proprie azioni con un’interpretazione strumentale del Corano: «I loro passi saranno sempre diretti contro i miscredenti ed i colpi inferti ad essi, o da essi ricevuti, considerati da Noi come buone opere da far valere nel Giorno del Giudizio» (Corano: IX, 120).

Né si coglie, in verità, un barlume di realismo da parte dell’Occidente che continua a ritenere il terrorismo islamista una ventata di panarabismo che prima o poi cesserà e non, invece, quel che realmente è: pericolosissimo panislamismo! Come dire una Crociata all’incontrario che sta già provocando feroci lotte sotterranee per decidere se a guidarla dovrà essere l’Arabia Saudita, la Turchia, o l’Iran.