Uno dei nostri macroscopici errori è stato quello di indugiare più del dovuto nella finzione che le Regioni fossero dei governatorati, che avessero delle competenze legislative ed amministrative che in realtà non hanno. Ciò anche perché, fin da quando furono istituite, esse hanno via via perduto la loro precipua funzione di programmazione, come d’altronde era stato immaginato dalla Costituzione, per assumere un ruolo di mera gestione amministrativa introducendo così una mentalità che, oltre a riprodurre la medesima burocrazia centrale, non ha mirato alla qualità dei servizi offerti, ma unicamente ad un utilizzo parsimonioso di essi
– Enzo Ciaraffa –
Una visitatrice di questo blog ritiene che noi si parli molto della cattiva gestione della pandemia a livello nazionale soltanto per avversione nei confronti dell’ex governo di Giuseppe Conte, mentre parliamo poco e per niente del marasma vaccinazioni del fu “modello sanitario lombardo”. Ebbene, se la nostra amica stemperasse un po’ la sua vis polemica ed andasse a rileggere cosa scrivemmo all’epoca del Giuseppi nazionale, quanta fiducia e quante speranze di cambiamento riponemmo nel suo primo governo, se ne convincerebbe da sola. Inoltre, osserviamo che sulla gestione di pandemia e vaccinazioni quasi nessuna delle venti Regioni italiane sta brillando per competenza, efficacia e, soprattutto, per tempestività delle vaccinazioni anche se, ne conveniamo, la Regione Lombardia ha avuto qualche problema di troppo e, nondimeno, fino ad oggi ha somministrato un milione e mezzo di dosi di vaccino.
In presenza di un’epidemia che si sarebbe potuta affrontare perfino in regime di ordinarietà se non avessimo smantellato la sanità pubblica negli ultimi anni, le Regioni sono diventate tutte trasversalmente inefficienti?
Non credo.
E allora?
Beh, mettiamola così: l’imperversamento del Covid-19 ha fatto prepotentemente emergere due caratteristiche negative del nostro ordinamento regionale, dove la prima è di ordine storico, la seconda invece è d’impostazione politica.
La prima negatività per un Paese moderno, quale dovrebbe essere il nostro, è quella di essere uno Stato che, dal punto di vista storico e burocratico, è sostanzialmente centralista nonostante i disposti costituzionali in proposito, peraltro è centralista proprio dove non dovrebbe esserlo. Sicché, in quanto accentratore, lo Stato era destinato fatalmente a fallire nei suoi tentativi di ricondurre verso un indirizzo omogeneo realtà diverse del Paese le quali, fin dal tempo dell’Unità d’Italia, avrebbero dovuto godere di regimi economici e fiscali che fossero anch’essi diversi tra Nord e Sud, al fine di realizzare allora quello che oggi si chiama regionalismo differenziato. E invece si scelse lasciare le cose come stavano e distribuire miliardi a pioggia con improduttivi Piani di Sviluppo del Mezzogiorno.
La seconda negatività è stata quella di continuare nella finzione che le Regioni fossero dei governatorati, cioè che avessero delle competenze che, in realtà, non hanno mai avuto, e l’autonomia, in ogni caso, prima di essere giuridica e quantitativa deve essere culturale e funzionale. E, invece, fin da quando furono istituite nel 1970, le Regioni hanno via via perduto la loro funzione di programmazione, come d’altronde era stato immaginato dalla Costituzione, per assumere un ruolo di mera gestione amministrativa replicando, tra l’altro, una mentalità che, oltre a riprodurre la stessa burocrazia centrale, non ha mirato alla qualità dei servizi ma unicamente alla loro economicità.
Ciò perché l’obiettivo principale non fu più la resa di un servizio al cittadino-pagatore ma il pareggio di bilancio delle aziende regionali, specialmente nel campo sanitario, il che evidentemente deve essere riuscito così bene che oggi alcune Regioni non sono state in grado neppure di compilare un credibile elenco delle persone da vaccinare. Sicché, gli stessi governi regionali che avevano assicurato Roma di poter far da sé in campo sanitario, in misura diversa hanno, invece, fallito rovinosamente, il che è più evidente per la Lombardia perché questa è la regione più popolosa d’Italia e, fino a ieri – si pensava – la più efficiente nel settore sanitario. Ma era efficientismo e non efficienza.
Una mano a complicare la situazione in questi mesi di tragedia l’ha data l’ultimo governo Conte con due decreti legge – il 19/2020 e il 33/2020 – che, in materia sanitaria, hanno attribuito alle Regioni il potere di ordinanza creando, così, un corto circuito tra periferia e centro nella gestione della lotta alla pandemia, perché ognuno dei due poteri, il centro e la periferia, mentre da un lato rivendicava l’autonomia decisionale, dall’altro tendeva a scaricare colpe ed errori su di altri soggetti.
E tutto questo per la storica propensione della nostra classe politica a non prendere mai una decisione netta sulle riforme che potevano veramente cambiare la storia del nostro Paese: una di queste incompiute è stata di certo il federalismo che non è riuscito a modificare molto dell’antico regionalismo, nonostante il fatto che i suoi fautori abbiano avuto, per alcuni anni, il governo nazionale in mano e furono proprio essi nel 2001 a volere attribuire la potestà esclusiva delle Regioni in materia di assistenza e di organizzazione sanitaria. Peccato che poi al governo della Regione Lombardia, essi si distinsero in modo particolare nello smantellarono del servizio pubblico a favore di quello privato.
Insomma siamo sempre nell’ordine delle mezze misure, dei pannicelli caldi laddove bisognava intervenire con l’accetta – e lo sostengo da convinto nazionalista – per far nascere un’Italia federale o confederale, forte e moderna sul modello statunitense o svizzero. Se così fosse avvenuto, non avremmo avuto i problemi che stiamo avendo in questi mesi nella sanità perché Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari, che di federalismo s’intendevano assai meglio di Bossi e di Salvini, sostenevano che al potere centrale bisognava mantenere l’unità politica e giudiziaria, gli esteri, le Forze Armate, le grandi opere pubbliche e la Sanità. Sì, avete capito bene, i padri storici del federalismo volevano che fosse lo Stato nazionale ad occuparsi della salute dei cittadini.
Come dire che, con uno Stato federale forte, avremmo avuto delle entità regionali anch’esse forti e, paradossalmente, una gestione della Sanità unitaria ed omogenea dalle Alpi alla Sicilia in quanto di competenza dello Stato centrale. E invece, siamo riusciti nell’impresa di edificare un regionalismo che è, in piccola parte, la brutta copia del federalismo, caratterizzato peraltro da mezze istituzioni, da mezzi poteri e, quel che è peggio, gestito da mezzi uomini.
Giunti a questo punto, possiamo concludere sostenendo che la pessima gestione delle misure anti Covid-19, vaccinazione compresa, non rappresenta la sconfitta della Sanità delle Regioni ma dello stesso regionalismo appena mezzo secolo dopo la sua attuazione.
E in Lombardia, per le sue note caratteristiche storiche, economiche, politiche ed etnografiche, tale fallimento sta venendo fuori con maggiore evidenza, proprio nella gestione della Sanità che, essendo troppo sbilanciata a favore del settore privato, ha oggi difficoltà a ritrovare una dimensione pubblica capace di prendere in carico, e gestire bene, i grandi numeri di una vaccinazione di massa.
È esemplificativo in questo senso il fatto che a far da commissario per il Covid-19 si è dovuto chiamare un Generale logista e fino, ad oggi, in Lombardia le non molte cose funzionali, e funzionanti, per la vaccinazione le hanno messe in piedi i militari, cioè i rappresentanti del potere centrale. Può piacere o non piacere ma le cose stanno così.
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