Invece di disertare i seggi elettorali, il prossimo venticinque settembre dobbiamo recarci massicciamente a votare, per mettere (stavolta) sulla scheda il nome di chi possiede veri titoli e conclamate capacità per poterci governare, al limite anche se non è compreso nei listoni che i segretari di partito, divenuti ormai dei veri e propri oligarchi politici, ci hanno sbattuto in faccia anche questa volta. Siccome scelti per rettura morale e accertate capacità, la maggior parte dei candidati che abbiamo in mente noi potrebbe non essere eletta, ma il votarli servirebbe comunque ad impaurire un ceto politico fellone e incapace
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Secondo una stima di YouTrend fatta per Sky tg24, oltre il 35% di aventi diritto il prossimo 25 settembre potrebbe non recarsi a votare, come dire che sedici dei quarantasei milioni di elettori italiani quel giorno, invece di recarsi ai seggi elettorali, potrebbero decidere di andarsene per funghi o per castagne.
Forse la domanda è un po’ ingenua: perché questa vistosa e preoccupante disaffezione al voto? Come risposta non saremo originali perché l’hanno già data altri prima di noi, ma vale la pena ribadirla… gli elettori non si recano più a votare perché hanno capito che il loro voto non serve a niente, poiché in Italia non governa chi prende più voti liberamente espressi, ma chi ha più amici nei media, nella Magistratura, nella Chiesa e, dispiace dirlo, talvolta anche al Quirinale. Ciò grazie anche alla genetica propensione degli eletti a tradire il mandato ricevuto dagli elettori.
E fosse solo questo…
In occasione del referendum sulla Giustizia, quello che avrebbe dovuto arginare lo strapotere dei magistrati, lo scorso 11 giugno, mentre Salvini esortava (tardivamente) gli italiani a recarsi alle urne perché “…votare è un dovere”, Il Foglio attribuì al presidente Mattarella la frase che “Il voto più che un dovere è un diritto”.
Oddio, anche se Mattarella nel corso della sua lunghissima e fortunata carriera politica l’ha fatta spesso fuori dal vaso, nel caso specifico dubitiamo che abbia veramente detto una cosa del genere, e il nostro dubbio poggia sul fatto che egli è l’unico italiano a non potersi permettere il lusso di non conoscere la Costituzione, un po’ perché ne è il garante, un po’ perché, essendo il capo del Consiglio superiore della Magistratura (Csm), può contare sulla collaborazione di una pletora di costituzionalisti e giuristi in generale.
E cosa dice la nostra Suprema Lex a proposito del dovere di andare a votare?
C’è un articolo della Costituzione molto trascurato e che, sebbene indirettamente, ascrive il voto al novero dei doveri, ed è l’articolo 4: «…Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
E come possa il cittadino comune concorrere al progresso spirituale e materiale della società alla quale appartiene ce lo spiega meglio il successivo articolo 48: «…Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico…». Pertanto, recarsi ai seggi elettorali, Mattarella o non Mattarella, è anche un dovere e, per come la vediamo noi, certamente tra i più importanti in capo al cittadino di un regime democratico il quale ha la facoltà e il dovere di scegliere nell’urna i governanti, secondo la propria coscienza e le competenze dei candidati.
Esattamente come non sta avvenendo in Italia dove, da secoli, s’inclina a intrupparsi dietro a quei demagoghi capaci di ridurre il loro programma elettorale in uno slogan, oggi tweet, mentre il nostro Paese avrebbe bisogno di un organico progetto politico, economico ed energetico che, come minimo, abbia la prospettiva di durare due legislature.
Non viviamo sulla luna e, perciò, ci rendiamo conto che l’obiezione dell’elettore medio potrebbe essere: “Ma se la scelta è tra nani e saltimbanchi, dove cazzo lo andiamo a pescare un candidato da eleggere con coscienza, per le sue conclamate competenze e con un decennale progetto politico in testa, posto che andiamo a votare un listone bloccato?”.
Per ovviare a questo inconveniente, un’idea in testa ce l’avremmo, ed è quella di recarsi ai seggi elettorali a votare in massa per mettere sulla scheda il nome di chi possiede conclamati titoli e capacità, al limite anche se non è compreso nei listoni che i segretari di partito, divenuti ormai dei veri e propri oligarchi politici, ci hanno appena sbattuto in faccia. Salvo poche eccezioni, si tratta di listoni zeppi di mezze calzette, scelte secondo il criterio andreottiano “…lo candido soltanto se è peggio di me, perché uno migliore mi farebbe le scarpe nel partito”.
Sia chiaro che, selezionati così disinteressatamente, la maggior parte dei candidati perbene che ha in mente ognuno di noi potrebbero non essere eletti, ma il risultato servirebbe comunque a impaurire un ceto politico fellone e incapace. E sì, perché se uscissero dalle urne due o tre milioni di nomi di Pinco Pallino nonostante i listoni bloccati, sarebbe la débâcle degli oligarchi politici e il ritorno al centro della scena della volontà popolare che con tale metodo di scelta, sul medio termine, riuscirebbe ad azzerare la corte dei miracoli che oggi, con grande generosità, continuiamo a definire ceto politico… una rivoluzione fatta con un colpo di matita.
Perciò, non facciamoci abbattere dallo sconforto e rientriamo nel circuito della democrazia: il 25 settembre andiamo a compiere il dovere di votare. E sarà meglio per tutti – cittadini incazzati e questa classe politica – perché un colpo di matita, bene assestato sulla scheda elettorale, può far più male dei randelli che prima o poi la gente impugnerà perché non ne può più di vivere disperatamente e alla giornata.
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