Gli occupanti della funivia sono precipitati giù ignari gli uni degli altri, vittime stavolta non dell’intolleranza politica e militare che divide i loro Paesi, ma di un’altra intolleranza: quella di coloro che stanno facendo la pulizia etnica dei titoli professionali, del valore dell’esperienza, dei meriti e di tutto ciò che gli inglesi usano chiamare background. D’altronde, abbiamo a governarci una classe politica che ha fatto del dilettantismo un titolo di merito
– * Maria Angela Buttiglieri –
La morte non soltanto è una livella come sosteneva Totò, ma spesso è anche un’entità bizzarra. Se un agente minore dell’Intelligence israeliano, una ricercatrice del CNR e il suo fidanzato iraniano lo scorso 23 maggio fossero morti in un incidente d’auto avremmo avuto in mano gli elementi per imbastire una spy-story coi fiocchi, e invece essi sono morti, per niente, nella funivia Stresa – Alpino – Mottarone. Sono precipitati giù abbracciati ai loro cari come estremo tentativo di difenderli e, pur accumunati dallo stesso destino, ignari gli uni degli altri, vittime stavolta non dell’intolleranza politica e militare che divide i loro Paesi, ma di un’altra intolleranza: quella di chi sta facendo la pulizia etnica dei titoli professionali, del valore dell’esperienza, dei meriti e di tutto quello che gli inglesi sono soliti chiamare background. D’altronde, abbiamo a governarci una classe politica che ha fatto del dilettantismo un titolo di merito.
Non mi soffermerò, e lo dico subito, sulla vicenda penale che ha iniziato a ruotare intorno alla caduta della funivia del Mottarone che ha provocato 14 morti, perché la fattispecie è appena agli inizi, ma piuttosto sulle dichiarazioni del Gip di Verbania dalle cui prime valutazioni emerge che la sciagura si poteva evitare e che il tutto è stato dovuto all’iniziativa scellerata del caposervizio che avrebbe fatto escludere i freni di emergenza per valutazioni, a quanto parrebbe, meramente economiche. Come dire che la funivia non doveva fermarsi per la manutenzione proprio nel fine settimana, quando era maggiore il flusso delle risalite e discese. Peraltro, quel tratto aveva già avuto dei problemi il 12 luglio del 2001 quando 40 passeggeri che erano rimasti bloccati a 25 metri di altezza furono messi in salvo dagli elicotteri del Soccorso Alpino.
Vorrei saperne, invece, un po’ di più sulla gestione “benettonica” della funivia tutta protesa ai guadagni e poco alle manutenzioni, e parlare genericamente di controlli effettuati nel 2020 non dice molto perché la manutenzione è quel complesso di (costose) operazioni indispensabili per assicurare la sicurezza e la funzionalità di un impianto. Una cosa evidentemente diversa dal “controllo”. Vorrei anche sapere perché si è spezzato il cavo trainante, quale fosse la gerarchia alla quale rispondeva il caposervizio, il criterio con il quale era stato assunto, a quanti corsi di aggiornamento professionale aveva frequentato prima della sciagura, perché una delle sue prime dichiarazioni suscita molte perplessità sulle sue reali capacità professionali: «Non sono un delinquente. Non avrei mai fatto salire persone se avessi pensato che la fune si spezzasse». Ma era proprio a questa evenienza che doveva pensare una volta esclusi i freni di emergenza!
E mentre 14 persone sono morte e un bambino, Eitan Biran, lotta per sopravvivere nell’Ospedale Regina Margherita di Torino a causa della leggerezza di un incompetente al quale, probabilmente, era stata data una responsabilità più grande di lui, siamo già alle polemiche su chi fosse il proprietario della funivia, sulla decisione del Gip di mandare liberi due dei tre indiziati in un polverone di palleggiamenti di responsabilità dal quale sarà difficile fare emergere la verità in tempi brevi. Semmai emergerà.
Ma il mio pensiero di madre va innanzitutto a papà Amit Biran che, quale ultimo atto su questa terra in quei secondi di terrore ha pensato di proteggere il figlio in un ultimo, estremo abbraccio salvandogli così la vita.