Può essere oltremodo devastante per uno Stato sovrano soggiacere alle decisioni dei mercati dai quali dipendono le sorti di una democrazia i cui presupposti affondano, tutt’ora, le radici nella tutela dei diritti garantiti ai popoli dalle loro Costituzioni. Quanto sopra può spiegare il perché del rifiuto e il timore di cadere ostaggio di determinati meccanismi finanziari, come il MES, controllati da politiche rigoriste esterne, che il più delle volte si sono rivelate sbagliate, vedi il caso Grecia, in grado di far crollare definitivamente i sistemi economici di Paesi sovrani
– Giuseppa Alessandro –
L’Italia è uno dei paesi più ricchi al mondo in termini di volumi di risparmio privato. Fino agli anni Ottanta le famiglie hanno indirizzato i propri acquisti sottoscrivendo BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) e CCT (Certificati di Credito del Tesoro) che, sebbene offrano rendimenti contenuti, danno la certezza della tutela del potere di acquisto del capitale. Lo scopo del risparmiatore-famiglia privato è rimasto quello di salvaguardare l’integrità del risparmio investito per poter contare su di una riserva con la quale coprire esigenze straordinarie o pianificare la propria vecchiaia.
Fino agli anni Ottanta il collocamento di titoli pubblici presso i privati e banche italiane pubbliche, che peraltro erano obbligate a sottoscrivere il non collocato di ciascuna emissione, copriva quasi il 90%. Precisiamo che se le banche avevano l’obbligo di sottoscrivere il “non collocato” il beneficio che ne traeva l’emittente era quello di mantenere bassi tassi d’interesse.
Parole, parole, parole, soltanto parole….
La caratteristica dei BOT è quella di essere un titolo di breve durata e, per quanto concerne il CCT, di essere un titolo a medio-lunga scadenza ma a tasso variabile. Queste due caratteristiche messe insieme generano nel sottoscrittore una certa tranquillità nel raggiungere l’obiettivo di tutelare l’integrità del capitale risparmiato, per il fatto che i BOT hanno durata breve mentre i CCT sono remunerati a tasso d’interesse che asseconda l’andamento di mercato.
Ad oggi i BOT e i CCT vengono collocati dal Tesoro attraverso un’asta competitiva che agisce sul mantenimento di un tasso d’interesse basso fissato dall’emittente escludendo il sottoscrittore dalla possibilità di determinarne un aumento attraverso il meccanismo della domanda ed offerta.
Il Tesoro emette anche i BTP, ossia Buoni del Tesoro Poliennali (di lunga durata che può anche arrivare a 50 anni), a tasso fisso collocati sul mercato con un’asta marginale. Gli investitori sottoscrittori di quest’ultima categoria di titoli sono soggetti istituzionali internazionali (spesso grosse banche di affari) che investono con l’unico scopo di far profitto. Pertanto, qualora i tassi di mercato aumentassero l’investitore dovrà liberarsene per aggiornare il portafoglio con nuovi titoli a rendimento più elevato.
Attraverso il sistema dell’asta marginale i titoli vengono collocati al tasso di rendimento più alto proposto da una fascia di sottoscrittori, appunto, marginale. Il tasso finale così determinato sarà per tutti quello più alto indicato dai sottoscrittori finali. Con l’aggravante che l’ultimo tasso (più alto) verrà applicato indistintamente a tutti gli acquirenti.
Consiglio di volpi, danno per i polli in vista
Il meccanismo attraverso il quale si agisce sul tasso di interesse è lo spread, comunemente noto come differenziale tra i nostri titoli di stato e il bund tedesco, ossia le obbligazioni pubbliche emesse dal Tesoro della Germania.
Lo spread rappresenta pertanto il vero e proprio rischio a carico dell’emittente in quanto, in termini di servizio del debito, ha un rilevante impatto sul saldo del bilancio statale, stante l’elevata percentuale (80%) delle emissioni rappresentata dai BTP.
Il servizio del debito infatti influenza a tal punto la differenza tra entrate ed uscite del bilancio statale, a causa dell’elevato livello di indebitamento, che l’avanzo primario, vale a dire la differenza tra entrate ed uscite al lordo degli interessi sul debito che da circa dieci anni caratterizza i bilanci pubblici italiani, passa nell’area negativa generando deficit.
Si pensi che la bilancia dei pagamenti italiana fin dai primi anni 2000 registra un costante avanzo primario medio pari all’1,3% del PIL. Da qui se ne deduce che, se il debito pubblico italiano venisse remunerato ad un tasso di interesse molto basso, come ad esempio quello della Germania, il saldo della nostra bilancia sarebbe positivo: vale a dire che si registrerebbe un surplus.
Ora si comprenderà quanto sia significativa l’influenza dello spread non solo in termini di bilancia dei pagamenti ma, anche in termini di “controllo” esercitato dai mercati finanziari internazionali e agenzie di rating, di influenzare le politiche economiche degli stati sovrani ed essere in grado deliberatamente di pilotare le crisi finanziarie.
Ma cambiare si può e si fa ancora in tempo.
La latitanza della coerenza …
Si pensi alle dimensioni devastanti che il fenomeno può assumere se, per esempio, si volesse etero dirigere forzatamente il governo nella scelta di attuare una politica fiscale anziché un’altra, o di voler intervenire sulla spesa pubblica influenzando determinate politiche sociali.
Si pensi quanto possa essere devastante per uno Stato sovrano soggiacere alle decisioni dei mercati dai quali dipendono le sorti di una democrazia i cui presupposti affondano, tuttora, le radici nella tutela dei diritti garantiti ai popoli dalle loro Costituzioni.
Quanto sopra può spiegare il perché del rifiuto e il timore, di cadere ostaggio di determinati meccanismi finanziari, come il MES, controllati da politiche rigoriste esterne, che il più delle volte si sono rivelate sbagliate (vedi il caso Grecia), in grado di far crollare definitivamente i sistemi economici di Paesi sovrani.
L’influenza finanziaria dei mercati è pericolosamente determinante. Al punto che potrebbero spingerci verso l’ingresso nel MES che, per definizione, è soggetto a “condizionalità” con tutte le conseguenze che già conosciamo.
Mai come in questo momento si può avvertire il grande pericolo di vedere il sistema economico italiano correre gravi pericoli di caduta; il governo arranca nell’incapacità di concepire un programma di salvataggio economico proprio e nella forte dipendenza che sente verso l’Europa che, peraltro, ha dato prova della propria inconsistenza e incapacità di essere un unico organismo pronto ad affrontare unitariamente le emergenze che hanno coinvolto tutti gli Stati membri.
Il recupero è tutto da vedere
Dal Consiglio Europeo dello scorso 23 aprile, che ha dato l’ennesima prova che ciascun componente si muove autonomamente e, anzi, contro gli altri Paesi dell’Unione, è emerso che dopo lunghe settimane di attese e di rimandi, è stato delineato uno strumento finanziario (il Recovery Fund) per fronteggiare la devastante crisi economica che sta colpendo l’Europa e non solo, per il quale tuttavia si dovranno individuare le risorse.
Accanto al danno, che l’Europa sta procurando nel dimostrarsi incapace di applicare i presupposti politici ed economici su cui si fonda, anche la beffa di sentirsi dire che si deve aspettare. Fino a quando?
L’Italia non può più aspettare; non può più assistere inerme alla distruzione del proprio sistema che, fino a pochi anni fa, le dava il rango di uno dei sette Paesi più industrializzati al mondo.
Il Ducato emesso da Castellino del Biferno
Si può cambiare e si deve cambiare a costo di “fare da soli”.
I tempi sono maturi ma purtroppo mancano le capacità della classe politica e dirigente. I cittadini sono pronti per ripartire, ma ci deve essere la necessaria condizione di farlo in presenza di un governo guidato da persone capaci, con le idee convogliate verso un’unica direzione: la rinascita a qualsiasi costo e con le risorse che un Paese come il nostro, possiede a partire dal proprio DNA.
Dobbiamo solo ricominciare tutto daccapo ma subito.