Militari, figli di ogni opposizione e orfani di tutti i governi

Share

Coloro che oggi si dicono fautori dei professionisti con le stellette, quando sono stati al potere o si sono completamente disinteressati dei problemi delle forze armate, o hanno contribuito a distruggerle un po’ alla volta

***

Confessiamo di non essere sentimentalmente contrari alla ripresa della leva obbligatoria (che non è mai stata abolita) auspicata da Salvini, a patto però che essa sia ripensata come supporto logistico alle forze operative. Nel senso che – giusto per fare un esempio semplice – se un battaglione di professionisti dovesse recarsi in operazione o in addestramento non dovrà più sottrarre alle attività operative aliquote di personale da lasciare nella sede stanziale per assicurare la vigilanza e la manutenzione ordinaria della caserma perché a ciò penserebbe la leva obbligatoria.

Ci rendiamo conto, tuttavia, che non è così semplice ritornare all’antico anche se, in verità, non tutte le obiezioni dei favorevoli all’esercito di mestiere ci stanno convincendo… è come se esse avessero paura non tanto del ripristino parziale della leva di popolo ma soltanto di ciò che è popolare. Insomma è come se una parte della classe politica e dirigente nostrana avesse paura del popolo di cui è espressione, eppure il suo patrimonio ideale e storico fonda su istanze popolari, su di una visione popolare delle forze armate.

Nel 1947 in seno alla Costituente, il parente scomodo dei partiti e partitini dell’attuale sinistra, Palmiro Togliatti, così rispose a chi propugnava un esercito nazionale di volontari: «…una categoria di professionisti delle armi che potrebbero rappresentare la rovina di una società e la rovina dello Stato». Volendo significare che soltanto la leva popolare è garanzia di pace e democrazia. Ma in Costituente non la pensò molto diversamente da Togliatti neppure colui che sarebbe diventato il più evocato nume tutelare dei centristi e dei popolari odierni, Aldo Moro: «La gerarchia militare soffoca la dignità della persona umana».

E adesso nella sinistra tutti a dare addosso a Matteo Salvini che, sebbene con pensieri meno elaborati, vorrebbe veder realizzato oggi ciò che i loro progenitori propugnavano ieri e, anzi, a starli a sentire sembrerebbe che soltanto la gerarchia militare e un esercito di mestiere potranno salvare la Patria da sciagure incombenti.

Tra l’altro, coloro che oggi si dicono supporter dei professionisti con le stellette, quando sono stati al potere hanno fatto soltanto due cose: si sono completamente disinteressati dei problemi delle forze armate e hanno, invece, contribuito a demolirle.

Sicché, grazie soprattutto a loro, oggi l’organizzazione militare è uno stipendificio che, fatta la tara sul valore individuale dei singoli professionisti, è di passabile efficienza operativa anche perché ha più comandanti che comandati. Infatti, secondo la Ragioneria generale dello Stato – conto annuale del Tesoro, nel 2010 le nostre forze armate avevano in ruolo 480 generali su 174.000 arruolati, come dire uno ogni 380 militari una roba che, in proporzione, neppure l’esercito americano che ha 1.500.000 uomini potrebbe permettersi.

Pur senza addentrarci nella fittissima selva di ulteriori numeri e di grafici, stando ad un altro documento ufficiale, il “Libro bianco della Difesa” del 2014, la situazione oggi dovrebbe essere all’incirca la seguente, se negli ultimi quattro anni non è peggiorata:

  • gli ufficiali sono in sovrannumero nella misura del 1%;
  • i marescialli sono in sovrannumero nella misura del 11%;
  • i sergenti sono in sotto numero nella misura del 45%;
  • i volontari sono in sotto numero nella misura del 22%.

Stante questi pochi ma significativi dati e considerato che quando sono state al governo, cioè fino all’altrieri, se ne sono impipate di provvedere a questo marchiano disequilibrio dei quadri militari, le forze politiche cosiddette popolari dovranno trovare più solide argomentazioni per spiegarci perché sono contrarie a riaprire a un esercito di popolo e parimenti convincerci della loro disinteressata affezione all’esercito professionale e del patriottico intento di volerlo migliorare.