Messina Denaro: la vittoria dello Stato in Sicilia è stata un’altra

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La borghesia siciliana fin dall’Unità d’Italia si era sempre servita della politica e di alcuni settori dello Stato per istituzionalizzare i suoi rapporti con il potere centrale e con quello mafioso locale e, se come dichiarato dal Procuratore di Palermo essa ha iniziato a supportare la mafia in prima persona significa che, conventio ad excludendum, non ha più sul suo libro paga i referenti politici  e funzionari dello Stato corrotti, ma soltanto ragionieri, prestanome e qualche zona d’ombra

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Come la maggior parte degli italiani, al momento non conosciamo i reali antefatti e i fatti che hanno portato (dopo trent’anni di latitanza) alla cattura presso la nota Clinica Maddalena di Palermo del super ricercato boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, e certi aspetti della sua latitanza ci lasciano perplessi, a partire dal primo: le sue sembianze erano più note di quelle del fondoschiena di Jennifer Lopez eppure, indisturbato, viveva da tempo, forse da anni, in uno dei territori più controllati d’Italia da Polizia e Carabinieri, nel caso specifico tra Campobello di Mazara e Palermo.

Com’è stato possibile che nessuno lo riuscisse a trovare?  che nessun Carabiniere, medico o infermiere della clinica Maddalena si era mai accorto della vera identità del paziente spacciatosi per il geometra Andrea Bonafede?

Com’è nello stile dell’informazione nostrana, intorno a questa cattura, che peraltro arriva nel momento in cui il governo è ancora in luna di miele col Paese e la Sinistra italiana allo sbando, nasceranno infinite polemiche e migliaia di talk show, fintanto che non si troverà un altro Generale Mori (quello messo in croce per l’inesistente trattativa Stato-mafia degli anni Novanta) sul quale incentrare un’altra stagione di veleni e di tesi precostituite, di quelle che fanno vendere copie di giornali, procurano avanzamenti di carriera e nella confusione che creano  impediscono di vederci chiaro. Infatti, se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo già affermare di essere punto e a capo, anzi stavolta veleni e teoremi sono iniziati a circolare addirittura prima della cattura di Messina Denaro, in obbedienza all’antico rito mediatico dello sputtanamento preventivo delle istituzioni.

 Lo scorso 5 novembre, il pentito di mafia in libertà Salvatore Baiardo, nel corso di un’intervista rilasciata (immaginiamo a pagamento) al programma televisivo di approfondimento Non è l’Arena di Massimo Giletti, aveva pronosticato l’arresto di Messina Denaro, ritenendolo imminente e frutto di un’ipotetica trattativa trattativa tra lo Stato italiano e la mafia. Prove di tali affermazioni: nessuna. Persi appresso a tesi fantasiose come questa, pochi media si sono soffermati su di una frase del Procuratore Capo di Palermo, Maurizio De Lucia, che assieme al collega Paolo Guido ha condotto le indagini che hanno portato alla cattura di Messina: «Una fetta della borghesia lo ha aiutato». Ed è questo, a nostro avviso, il dato più importante che è emerso dalle indagini palermitane.

Perché?

La borghesia siciliana fin dall’Unità d’Italia si era sempre servita della politica e di alcuni settori dello Stato per istituzionalizzare i suoi rapporti con il potere centrale e con quello mafioso locale  e, se come dichiarato dal Procuratore di Palermo essa ha iniziato a supportare la mafia in prima persona, significa che,  conventio ad excludendum, questa non ha più sul suo libro paga i referenti politici, e i funzionari dello Stato corrotti, ma soltanto ragionieri, immobiliaristi e geometri come il prestanome Bonafede e, talvolta, forze di polizia distratte.

Questa, più che la cattura di Messina Denaro, è stata la vera vittoria dello Stato in Sicilia e,a sua insaputa,  della politica. Che poi in questi anni tutti i rappresentanti dello Stato in Sicilia e la politica l’abbiano anche agevolata questa vittoria, non ne siamo del tutto persuasi.

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