L’ineluttabilità strategica o tattica di dover ricorrere a un ordigno termonucleare sarebbe una decisione che, in estrema ratio, dovrebbero proporre e gestire i “tecnici” cioè i generali che, al contrario di Macron-dottor Stranamore, sono stati preparati a soppesare bene e in anticipo i costi di certe scelte
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È indubbio che l’avvento di Trump alla Casa Bianca abbia dato, nel bene e nel male, una smossa alla stagnante politica globale e, in particolare, a quella addirittura marcescente dell’Unione europea. I suoi vertici e la maggioranza di centro sinistra che li regge, infatti, pervicacemente impegnati ad arricchire la Cina a discapito dell’industria automobilistica continentale e a occuparsi della misura delle zucchine o della calibratura dei piselli, non hanno mai trovato il tempo per tentare almeno d’immaginare il futuro del Vecchio Continente. L’assurdo è andato in scena allora che, al cospetto di politiche tese a regolamentare anche l’aria fritta (una fissazione questa che avvantaggia il Dragone, il quale sforna tecnologia e manufatti al di fuori di ogni regola per la salvaguardia della salute dei lavoratori e dell’ambiente), la presidente delle Commissione Europea, Ursula von der Leyen, conferiva all’ex presidente della Bce, Mario Draghi, l’incarico di redigere un rapporto sul futuro della competitività europea. Come se non si conoscessero già le principali ragioni della sofferenza economica e industriale dell’Unione. Il famigerato Green Deal non le ricorda niente? E come se non bastassero tali errori, a fronte del ventilato disimpegno USA l’impavida Ursula si è fatta fautrice di un riarmo europeo stimato in 800 miliardi.
Ebbene, per farvi capire in quali mani potrebbe andare a finire la guida di tale riarmo, non potremmo essere più efficaci dell’avvocato Giuseppe Sardini sulla sua pagina di Facebook del 7 marzo scorso: «E qui bisogna necessariamente aprire una parentesi, quella del “Rearm Europe” siete certi di sapere chi sia? Oggi la stampa tedesca si chiede se a pretendere 800 miliardi per il riarmo sia l’ex ministro della Difesa degli anni 2013-2019, o una omonima? La stampa italiana non si chiede mai niente. La stessa dei contratti che la Corte dei Conti definì “milioni di spese non necessarie”? Quella indagata dal Bundestag per i contratti miliardari affidati a Katrin Sauder, figura di congiunzione tra le multinazionali e gli apparati governativi? Ricorda Die Welt che erano assegnati senza gara. E Der Spiegel scrive che il Bundestag aveva rivelato che con quei contratti la Kpmg e la Accenture erano passate in 4 anni da 460mila euro di ricavi a circa 20 milioni. Negli stessi anni erano stati assegnati anche 182 contratti di consulenza per circa 200 milioni! Ursula aveva provocato un disastro: solo 42 Thyphoon su 109 erano operativi; su 89 bombardieri Tornado la metà era inutilizzabile. Di 244 carri armati Leopard solo 9 erano standard Nato. Mancava il 31% di fucili, il 41% di pistole e 3/4 dei preziosi visori notturni. I normali furgoncini ‘Mercedes Vivio’ (quelli che consegnano il latte) avevano sostituito le autoblinde. È la stessa che si è presa una denuncia penale per aver cancellato i dati dai suoi telefoni prima di consegnarli al ministero della Difesa? “Bild am Sonntag” la definì «La seconda persona più incompetente del governo tedesco». Il “Financial Times” scrisse: «È una buona notizia per la Germania e l’esercito che se ne vada». È lei o non è lei che oggi chiede ai governi della Ue 800 miliardi di euro? Tutti zitti, allineati e coperti… speriamo in Del Debbio!».
Peraltro, siccome 22 dei 27 Paesi che compongono l’Ue fanno parte anche della Nato, abbiamo tentato di trasferire i defilamenti e la stanchezza degli europei anche in questa alleanza militare, tentativo destinato a naufragare perché, come ha detto chiaramente il vice presidente Vance a Monaco lo scorso 14 febbraio, in America è cambiato lo sceriffo. Ancora più chiaro nella sostanza è stato il segretario di stato alla Difesa americano, Pete Hegseth, il quale ci ha spiegato che il suo finto-chiomato presidente si è rotto i coglioni di dover provvedere alla difesa militare dell’Europa con un contributo del 16% del totale. Questa la sua conclusione: dovete finanziare la vostra difesa militare con il 5% del Pil in modo da poter fronteggiare la Russia in Europa, mentre gli Stati Uniti se la vedranno con la Cina nell’indopacifico. E dal punto di vista americano il discorso non fa una piega anche se pone subito il primo, grande interrogativo: ma se i Paesi aderenti alla Nato non sono riusciti a impegnare per la difesa neppure il 2% del loro Pil, com’è pensabile che arrivino al 5%? Ed è stato a questo punto che si è fatto avanti l’ex garçon prodige dell’Eliseo.
Nel suo discorso alla nazione dello scorso 5 marzo Emmanuel Macron ha detto alcune cose giuste come il fatto che la sua generazione politica non godrà più del dividendo della pace, e molte altre che secondo noi non hanno nessun significato pratico come, per esempio, la proposta di condivisione dell’ombrello nucleare francese con i Paesi dell’Unione europea. Ma la Francia, con i suoi traballanti governi e la crisi economica in atto, come potrebbe essere credibile a capo di una coalizione militare? In che modo si può “condividere” un pulsante nucleare? E all’occorrenza chi deciderebbe di premerlo? Qualcuno potrebbe obiettare che oggi sarebbe Washington e non noi europei nella Nato a decidere quando premere il pulsante nucleare. Questo è vero, ma un conto è andarsi a rincantucciare (si fa per dire…) sotto l’ombrello atomico dell’America con le sue 5.550 testate e il supporto di un apparato tecnologico e militare da guerre stellari, altro è farsi irretire dalla poco tranquillizzante verve napoleonica di Emmanuel Macron con le sue 290 bombe che, in caso di una minaccia proveniente dalla Russia, sarebbe come contrapporre gli zolfanelli ai lanciafiamme.
Il guaio è che Macron, avendo appena 47 anni, il che ne fa uno dei più giovani leader europei, nutre delle ambizioni politiche di medio termine che sono di gran lunga superiori alle sue reali capacità e, pertanto, dopo i casini militari e politici combinati nel suo Paese e in Africa, dove si è fatto cacciare dal Mali che ha preferito la Brigata Wagner ai francesi, adesso sta cercando di ritagliarsi una dimensione politica fuori dalla Francia dove è odiato tanto a Destra, quanto a Sinistra. Il nostro sospetto è che egli miri a prendere il posto della baronessa Ursula al giro del 2029, e per questa recondita ragione potrebbe fare o proporre mosse azzardate come, per esempio, il dispiegamento di truppe europee sul teatro russo-ucraino, un progetto che la nostra capo del governo non prende molto in considerazione, a maggior ragione perché il suo patrocinatore nella veste del dottor Stranamore è il presidente francese che ella ama, ed è riamata, come le emorroidi dolenti.
Per fortuna, l’utilizzo, la necessità strategica o l’impellenza tattica di dover ricorrere a un ordigno nucleare è in mano ai “tecnici”, cioè ai generali che in tutti i Paesi nuclearizzati a democrazia avanzata, al contrario di Macron tirato su dall’insegnante nonché attuale première dame Brigitte Trogneux e dalle banche d’affari, sono stati professionalmente preparati a soppesare bene e in anticipo i costi sul terreno dell’offesa e della difesa, tenendo ben presente i pericoli di un’escalation che possono derivare dall’utilizzo di certe armi e talvolta anche soltanto di certe parole. Meno male che i militari francesi sono più sgamati del loro presidente che non amano alla follia tant’è che, nel 2021, i più alti ufficiali a risposo delle forze armate gli diressero, per il tramite del settimanale “Valeurs Actuelles”, una lettera aperta che non diceva bene del suo operato e gli snocciolava le vere, trascurate esigenze della Francia: territori quasi estranei alla nazione quali sono diventate le banlieue, le fallimentari missioni militari all’estero e la minaccia islamista con alle viste l’evenienza di una vera a propria guerra civile.
Infine, mette a pensare – perché in essa è racchiuso il vero dramma europeo – una delle frasi pronunciate dal bellicoso Macron nel suo discorso ai francesi: «L’avvenire dell’Europa non si decide né a Washington, né a Mosca». È vero, ma il guaio è che non si può decidere nemmeno nella Parigi del novello Luigi XVI prossimo a essere “ghigliottinato” dagli elettori francesi. Tantomeno potrebbe essere deciso in una Unione europa affatto unita, bottegaia e impreparata che, dopo le politiche green ispirate dal verbo di quella grande scienziata a nome Greta Thunberg, ha scoperto che le produzioni connesse al riarmo (finanziabili con 800 miliardi, ricordiamolo) potrebbero ridare ossigeno, riconvertendole, a quelle stesse industrie che essa ha distrutto. E nel frattempo che cosa sarebbe saggio fare? Una cosa che sia saggia non possiamo dirlo, ma inevitabile lo è di certo: dobbiamo aumentare il budget per la difesa almeno di un paio di punti e soprattutto, costi quel che costi, dobbiamo restare al fianco degli Stati Uniti, perché i presidenti passano ma le alleanze vitali restano e vanno curate. Anche a riguardo pensiamo di poter anticipare un’osservazione: «Ma i soldi messi sul riarmo, come vorrebbe Trump, non li toglieremo, in tutto o in parte, al welfare che già sta inguaiato? Lo temiamo, è probabile, anzi è sicuro, ma non ci risulta che i popoli finiti sotto il tacco delle tirannie abbiano più avuto la possibilità di lamentarsi per siffatte “quisquilie”. In ogni caso, per una provvida gestione del finanziamento della difesa europea noi ci fidiamo più, molto di più, del Tycoon che della baronessa Ursula e di Macron messi insieme.
Ma se non Ursula, quale rassicurante personaggio sarebbe idoneo a coordinare questa gigantesca spesa? A riguardo proponiamo il nome di un tizio che non ci è mai stato particolarmente simpatico e che di cose strettamente militari probabilmente non ne capisce un cazzo, ma gli riconosciamo di essere un efficace, coraggioso, ascoltato e lucido economista che, quando ve n’è stato bisogno ha saputo impugnare il bazooka metaforico del quantitative easing per salvare l’eurozona: Mario Draghi. Un altro personaggio che, nel suo campo, è un generale vero.
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