Nella società umana primordiale non esisteva qualcosa di simile al matrimonio perché gli individui erano soliti accoppiarsi quando ne avevano voglia e opportunità con ogni femmina disponibile del branco, senza nessun coinvolgimento emotivo. A un certo punto della loro evoluzione, però, accadde qualcosa che indusse maschi e femmine della nostra specie a farlo in modo diverso e cioè accoppiarsi vis a vis, gettando così le basi per la nascita di quello che oggi definiamo sentimento di coppia
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Speriamo che al più presto il nostro Paese possa recuperare la normalità – e soprattutto le sue incomprimibili libertà – di un tempo, quando organizzare una cerimonia nuziale non era un problema di salute pubblica anche se, a pensarci bene, l’istituto del matrimonio se non proprio per ragioni di salvaguardia della sanità pubblica, nacque certamente per motivi di ordine nella comunità alla quale si apparteneva.
Ci spieghiamo meglio.
Nella società umana primordiale non esisteva qualcosa di simile al matrimonio perché gli individui erano soliti accoppiarsi quando ne avevano voglia e opportunità con ogni femmina disponibile del branco, senza nessun coinvolgimento emotivo. A un certo punto della loro evoluzione, però, accadde qualcosa che indusse maschi e femmine della nostra specie a “farlo in modo diverso” e cioè ad accoppiarsi vis a vis, gettando così le basi per la nascita di quello che oggi definiamo sentimento di coppia, come dire una situazione nuova e foriera di nuovi problemi per l’organizzazione della società umana che si andava costituendo.
Sì, perché per quanto inedita potesse essere la nuova situazione dei rapporti tra i membri di sesso diverso del branco/tribù, essa andava disciplinata con regole e riti, per evitare che avvenisse tra i maschi umani ciò che avveniva nei maschi animali che lottavano per il possesso delle femmine, mettendo a soqquadro l’assetto societario del branco.
Ecco, crediamo che così sia nata l’esigenza/usanza del matrimonio, e dei riti ad esso connessi tra gli esseri umani, anche se nel tempo l’usanza si è adeguata ai costumi, alla religione ed al livello di cultura dei popoli come dimostrano i riti matrimoniali celebrati presso le due civiltà che hanno avuto il potere d’improntare la storia dell’Occidente, cioè la civiltà greca e quella romana.
Il matrimonio presso gli antichi greci avveniva così: era steso un contratto tra il padre della sposa e il futuro genero, contratto che, però, diventava valido soltanto quando i due nubendi iniziavano a vivere sotto lo stesso tetto. La parte rituale delle nozze dei greci antichi nacque, in effetti, soltanto per comunicare ai membri della propria fratria (tribù) il consenso paterno dato a quell’unione. Come si vede, eccetto i riti propiziatori celebrati dai genitori degli sposi e il lavacro purificatorio di questi ultimi presso una fonte ritenuta sacra, il rituale delle nozze presso i greci era piuttosto semplice ma, in verità, anche privo di pathos.
A proposito del bagno purificatorio, poi, a noi viene il sospetto che esso dovesse essere soltanto un’energica strigliata agli sposi prima di autorizzarli a giacere insieme, ciò perché le donne dell’antica Grecia non dovevano emanare un buon odore per noi oggi, poiché usavano la pasta di spremitura delle olive come cosmetico per il corpo; ma non profumavano neppure gli uomini che, invece, utilizzavano l’olio di oliva come tonico per i muscoli. Se aggiungiamo che la dieta-base dei greci era costituita da olive, cipolle, aglio e formaggio, si capisce che il nostro sospetto sul loro “profumino” ha una qualche fondatezza storica. Per farla breve, presso gli antichi greci la cerimonia delle nozze si riduceva a un semplice contratto tra le parti, contratto in cui la sposa non aveva nessuna voce in capitolo.
Diversamente avveniva nella società Romana e romanizzata. «Ubi tu Gaius, ego Gaia», come dire «Ovunque tu sia, lì io sarò» oppure «Dovunque tu sarai felice, lì sarò felice». Questa era la formula rituale con la quale gli sposi dell’antica Roma contraevano matrimonio davanti a un sacerdote, e non crediamo esista al mondo una formula matrimoniale più bella, romantica e profonda di questa.
Dai rituali ufficiali giunti fino a noi e sui quali s’innestarono quelli del matrimonio cristiano, parrebbe che la morale matrimoniale e familiare presso la società greca e romana fosse molto rigida ma, nella realtà, non era affatto così. Giusto per fare un esempio tra i più calzanti, gli antichi greci nel campo della morale erano, a dir poco, piuttosto elastici tant’è che s’inventarono divinità che erano ancora più elastiche di loro: se essi concupivano una fanciulla, o rapivano la moglie di un altro, state tranquilli che lo aveva già fatto qualche dio del loro affollatissimo Pantheon. Non deve meravigliare, perciò, il fatto che – nonostante la morale di Stato – nella società greca e romana fiorissero riti orgiastici collettivi come i Baccanali, ovvero delle cerimonie pseudoreligiose così oscene e violente nei confronti delle donne che, nel 186 a.C., il Senato di Roma dovette proibirle pena la morte.
Poi subentrò il Cristianesimo e allora il clima si fece più pesante per quei crapuloni e fornicatori dei nostri antenati i quali, oltre alla morte in questo mondo, da quel momento rischiarono anche l’inferno nell’altro: potevano sì aspirare ai piaceri della carne, ma con una sola donna e non prima di averla sposata!
Fino a quel punto pazienza, gli uomini si acconciarono a diventare, almeno ufficialmente, monogami e non ci pensarono più, ma il guaio (e la fortuna dei ristoratori) fu che le nozze dovevano essere testimoniate dalla comunità cristiana alla quale appartenevano gli sposi, ossia una moltitudine di persone da ospitare e nutrire per la circostanza. Se, però, gli sposi della parabola evangelica delle nozze di Cana – beati loro! – poterono contare sull’intervento miracoloso del Redentore il quale trasformò l’acqua in ottimo vino, quelli di oggi, se vogliono offrire ai loro invitati almeno un bicchiere di Rosso di Angera, devono mettere mano al portafoglio. Il vino, ovviamente, deve poggiare su qualcosa di solido e questo ha dato origine alla tradizione del pranzo di nozze, croce e delizia di sposi e genitori che, in genere, sono quelli che pagano.
Sorvolando sull’aspetto più prosaico di una cerimonia nuziale, ossia quello mangereccio, passiamo a uno dei suoi lati romantici come quello dell’usanza dell’abito nuziale. Tale usanza risale – tanto per cambiare – agli antichi genitori romani che regalavano alla figlia che andava in sposa una tunica bianca e un velo che le ricoprisse i capelli il giorno delle nozze. Tanto più la tunica era impreziosita da ricami e ornamenti, tanto più il velo della sposa era lungo e tanto più ricca e importante era la sua famiglia. Furono, però, la figlia di un re d’Inghilterra, Enrico IV, e una regina di Scozia, Maria Stuart, le prime donne che poterono permettersi un abito da sposa così sfarzoso da essere ancora ricordato ai nostri giorni, come l’abito da sposa con le maniche d’ermellino della principessa inglese, e il manto di pelliccia di ermellino per la regina scozzese, abiti che ai tempi dovettero costare una fortuna.
La moda degli abiti nuziali sfarzosi durò fino al periodo della Rivoluzione Francese che abbatté la monarchia e che, per ironia della storia, si chiamò “Stile Impero”, anche se poi un Impero arrivò davvero con Bonaparte la cui prima moglie, Giuseppina, ne fu la campionessa. Si trattava di abiti semplici che mettevano in risalto gli attributi femminili grazie a un bustino corto che arrivava fin sotto il seno da cui, morbida, scendeva una gonna di tessuto leggero. Ma fu col matrimonio della regina inglese Vittoria che, celebrato nel 1840, ebbe una enorme eco sui giornali del tempo che diffusero bozzetti e le approssimative fotografie dei regali sposi, facendo sì che l’abito nuziale divenisse di uso comune. Sì, perché, fatta la tara sulle capacità economiche dei nubendi ed a giudicare dalle foto di matrimoni famosi, lo stile e la funzione dell’abito da sposa non è molto cambiato dal tempo della regina Vittoria ad oggi.
Ebbene, visto che il presidente dell’Istat in persona lo scorso mese di gennaio ha anticipato il dato secondo il quale, a causa del Covid-19, nel semestre gennaio – luglio 2020 in Italia si è celebrato appena un terzo dei matrimoni rispetto all’anno prima, forse il governo dovrebbe incominciare a pensare ad una sorta di “ristoro” anche per le promesse spose, anzi ad un vero e proprio contributo fisso, a fondo perduto, per l’acquisto dell’abito nuziale. E non sarebbe neppure una grande spesa perché si stima che, non appena sarà reso possibile, ci saranno più o meno 100.000 signorine che andranno a rimettere mano ai loro progetti nuziali, accantonati a causa della pandemia.
Sarebbero riconoscenti al governo tutte le Marie, le Rosalie, le Nannine e le Katie d’Italia che sono decise a dire il fatidico sì. Ma, più di tutti sarebbero riconoscenti i genitori della sposa che, di solito, si accollano il costo dell’abito nuziale.
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