Lo smartphone e i trasalimenti del cuore

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Quando incontro dei ragazzi che in ricercata solitudine smanettano con lo smartphone ho la sensazione di aver già visto i loro visi, di aver già visto quelle espressioni trasognate, fu tanti anni fa, quando non esisteva il telefonino

– Enzo Ciaraffa –

Come nell’iconografia ottocentesca non si rappresentava un uomo delle caverne che non fosse armato di clava, così oggi sarebbe impossibile immaginare un essere umano civilizzato senza lo smartphone in mano: dall’invenzione dei caratteri di stampa ad oggi non era mai capitato che un piccolo oggetto potesse modificare i comportamenti e l’immaginario dell’umanità così tanto! Sì, perché questo piccolo computer, che quasi ognuno di noi porta in tasca ormai, non ci permette soltanto di parlare con chiunque, in qualsiasi parte del mondo, ci consente anche di vivere le stesse emozioni visive del nostro interlocutore, come in un incontro reale.

Perciò, quando incontro dei ragazzi che in ricercata solitudine smanettano con lo smartphone, ho la sensazione di aver già visto i loro visi, di aver già visto quelle espressioni trasognate, fu tanti anni fa, allora che non esisteva neppure il telefonino. Mi dicevano fosse la mia espressione quando dall’altra parte d’Italia chiamavo il mio grande amore dalla cabina telefonica della caserma di Orvieto dove prestavo servizio, un telefono che un po’ odiavo perché il “trac” dei gettoni che inesorabilmente cadevano nella gettoniera scandivano il tempo di una conversazione che volevo non finisse mai, una conversazione pudica, ingenua e, col metro di oggi, anche un po’ sciocca. Ma era, però, logico in fondo, poiché l’amore non si nutre di cose intelligenti ma soltanto di comunione nella follia tra due esseri umani.

Sarà la vecchiaia, sarà la suggestione del ricordo, ma quando incontro dei ragazzi “smartphonizzati” (questa l’Accademia della Crusca non me la perdonerà…) sento ancora nelle orecchie i “trac” della gettoniera della caserma di Orvieto. Ma forse sono soltanto i trasalimenti del cuore.