Trump, Biden, il Covid e le politiche sociali fatte con i piedi

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In Italia siamo nelle stesse condizioni politiche e sociali dell’America perché, a parte la latitanza della democrazia in un Paese come il nostro dove ormai governa chi perde le elezioni e non chi le vince, il ceto medio moderato e moderatore è stato massacrato dai democratici nostrani negli ultimi anni e di quel che ne resta si cerca di fare strame con tasse, balzelli e corvè per fronteggiare i costi della pandemia. Ciò mentre il Centrodestra sta tentando di accreditarsi come portatore di istanze sociali, ma in maniera poco convincente e per niente coinvolgente
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Che il giornalismo italiano stia dando il peggio di sé è sotto gli occhi di chiunque non sia attossicato dalla partigianeria, anche se Massimo Giannini, il direttore del quotidiano torinese “La Stampa”, giornale controllato dalla famiglia Agnelli, a proposito della vittoria di Biden stavolta l’ha sparata proprio grossa: «…è il 25 aprile d’America. È una festa di Liberazione». Gli fanno eco le Borse che in questi giorni sono tutte in euforico rialzo: c’è mancato soltanto che tutti insieme si mettessero a cantare Bella ciao. Capiamo che i minacciati dazi di Trump di qualche anno fa abbiano spaventato a morte gli Agnelli-Elkann che hanno perciò il dente avvelenato con lui, ma anche a voler tirare la volata ai propri padroni-editori un giornalista dovrebbe farlo con un minimo di cognizione di causa.

E invece Giannini, che forse non conosce molto bene la storia del suo Paese, si è andato a scegliere il paragone più ammiccante ma anche il più sbagliato per fare il suo lavoro di aedo di Biden: per gli americani il nostro 25 aprile non fu altro che il tentativo dei partigiani di creare in Italia una repubblica socialista sul modello sovietico. Sicché, man mano che essi liberavano il nostro Paese dai nazifascisti, la prima cosa che facevano era disarmare e sciogliere le formazioni partigiane, amministrando direttamente le zone liberate tramite l’Amgot o Amministrazione militare alleata dei territori occupati. Anzi spesso e volentieri gli americani cercarono di condizionare i pubblici poteri man mano che essi si costituivano, allo scopo di tagliar fuori dalla gestione della cosa pubblica la Sinistra ritenuta troppo filosovietica. Perciò, dire a un americano mediamente acculturato che l’elezione di Biden è stato il suo 25 aprile, è beccarsi di sicuro un vaffanculo.

Noi, invece, per tutte le incognite che reca in sé l’elezione di un presidente privo di “fantasia” che in campagna elettorale non ha trovato di meglio che promettere più tasse e regolamentazioni agli americani, come un qualunque comunistello nostrano, temiamo che nel giro di qualche anno ricorderemo l’entrata di Biden alla Casa Bianca (se ci entrerà vista la montante accusa di brogli elettorali) come l’8 settembre del ceto medio e, molto probabilmente, della democrazia rappresentativa occidentale. A sostenerlo non siamo noi, che non abbiamo salutato con piacere l’elezione di Joe Biden, ma un intelligente e onesto intellettuale di Sinistra, il professore Massimo Cacciari sempre sul quotidiano di Giannini, La Stampa: «… il conservatore Biden, comprenderà che è venuto anche per lui il momento di essere, almeno un po’, “rivoluzionario” […] se il pluriverso del lavoro dipendente, delle professioni, del ceto medio vede minacciata la propria stabilità e vanificarsi le prospettive di crescita del proprio benessere (non solo, e forse neppure prioritariamente, sotto il profilo economico), è impossibile funzioni quella “virtù” di moderazione e giusto compromesso che regge la politica democratica».

Il noto, e poco ascoltato, professore veneziano, è riuscito a dar corpo ai nostri pensieri sostenendo che è tempo di rivoluzione, nel senso che la crisi globale in atto non si risolve facendo i moderati ma, semmai, i rivoluzionari, cioè affrontando con realismo le questioni poste sul tappeto da leader come Trump che – magari Giannini non sarà d’accordo – secondo noi ha fatto molto per il ceto medio. Poi è arrivato il coronavirus…

In Italia siamo nelle stesse condizioni dell’America perché, a parte la carenza di democrazia in un Paese che riesce a governare, ormai, soltanto chi perde le elezioni e non chi le vince, il ceto medio moderato e moderatore è stato massacrato negli ultimi anni e di quel che ne resta si cerca di fare strame a suon di tasse, balzelli e corvè. Sicché si pone il problema di chi dovrebbe fare la “rivoluzione” auspicata dal professor Cacciari, laddove – con un capovolgimento di fronte clamoroso –  la Sinistra italiana ha iniziato a perseguire finalità che hanno poco, o nulla, a che vedere con il ceto popolare, figuriamoci con quello medio.

Ciò mentre il Centrodestra sta tentando di accreditarsi come portatore di istanze popolari, ma in maniera poco convincente e per niente coinvolgente o rivoluzionaria che, per come crediamo abbia inteso il termine Cacciari, rivoluzionario sta per “anticonformista”. E invece Salvini, Meloni e Berlusconi sono la quintessenza del conformismo politico di centrodestra, un conformismo che sta pian piano soffocando ciò che resta della vecchia destra sociale… quella sì anticonformista!

Ma si metta l’animo in pace il professore veneziano, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, di rivoluzioni non se ne faranno perché, come sosteneva Indro Montanelli, gli italiani le rivoluzioni vorrebbero farle, anche quelle culturali, con il permesso della Questura.

O col permesso del papa aggiungiamo noi.