Le corna che fecero l’Unità d’Italia

August 10, 2019 Wisconsin State Fair, Milwaukee County, USA. Dead animal - taxidermy - mounts and animal pelts sold at the Agricultural fair.

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Nonostante gli scarsi mezzi di comunicazione allora esistenti, la notizia delle corna rimediate da Garibaldi si diffuse con una certa rapidità in Italia e in Europa, sommergendolo sotto una valanga di corbellature e di risate, ma l’aspetto della vicenda che lo fece soffrire di più era che lui, l’indomito guerrigliero delle pampas, l’intemerato marinaio, il brando del Risorgimento, si era fatto abbindolare da una diciottenne

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Da Nizza, dove nacque il 4 luglio del 1807, Garibaldi, prima come mozzo e poi come Comandante in seconda, iniziò a battere le rotte del Mediterraneo e del Levante, maturando quell’esperienza marinara che avrebbe fortemente connotato i suoi trascorsi sudamericani. Il nostro primo Giuseppe nazionale (il secondo era Mazzini) s’infilò in tutte le guerre che, dal 1836 al 1848, agitarono il Brasile, l’Argentina e l’Uruguay, alternandosi nel ruolo di ladro di cavalli, di guerrigliero, di sciupafemmine, di ammiraglio e di bucaniere. In quegli agitati frangenti il nostro erratico eroe trovò anche il tempo di scegliersi una compagna ma, poiché era Garibaldi, non poteva che scegliersela alla maniera di Garibaldi: togliendo la moglie a un altro, al calzolaio brasiliano Manuel Giuseppe Duarte.

La II Guerra d’Indipendenza il nostro eroe la combatté nei paraggi di Como, Luino e Varese, dove con i suoi Cacciatori delle Alpi rifilò un sacco di legnate agli austriaci del Generale Urban ma incontrò anche la marchesina Giuseppina Raimondi, figlia di secondo letto del Marchese Giorgio Raimondi e l’origine dei suoi guai coniugali. 

«Ch’io vi amo… e vorrei vedere chi fosse capace d’avvicinar voi senza amarvi! Dunque… io vi amo!… ed amor d’uomo non poteva poggiarsi su più bella, più vezzosa, più attraente creatura!… Il desiderio di possedervi avea seguito l’affetto che mi ispirò la vostra prima vista […] Ma non dite – per Dio! – che vi sono indifferente!». Questo era il tenore delle lettere che Garibaldi, 53 anni, inviava alla imperturbabile Giuseppina di appena 18 anni e che di lui proprio non ne voleva sapere. Poi, finalmente, gli arrivò un (troppo) repentino via libera dalla marchesina che un po’ avrebbe dovuto insospettirlo: «Ti amo, fammi tua!».

Uno
Due
Tre
4

Siccome, a modo suo, Garibaldi era coscienzioso e pure con la puzza sotto il naso, mise subito le cose in chiaro con la giovane druda comasca: «Ecco la voce del dovere: io ho nell’isola [Caprera – n.d.a.] una donna plebea e da quella donna ho una bambina: questo sarebbe il minore ostacolo perché io non posso più amarla e non devo unirmi a lei giammai!». Quel giammai era, in realtà, un caso mai perché con la plebea di Caprera l’eroe dei due mondi concepirà altri due figli. Comunque, messi da parte gli insoliti scrupoli per la “plebea”, un Garibaldi ringalluzzito e raggiante come in genere sono gli uomini anziani che si mettono con donne molto più giovani di loro, alla fine impalmò la sua Giuseppina il 24 gennaio del 1860 a Fino Mornasco, nella cappella della tenuta marchesale del papà della sposa.

All’uscita della cappella, però, nella calca dei presenti, qualcuno che non voleva farsi i fatti suoi, mise in mano al trepidante sposo un biglietto, rigorosamente anonimo come ancora oggi si usa in Italia, con il quale lo informò che la sposa portava nella pancia il figlio di un altro uomo che, massimo della figura di merda, era pure un suo garibaldino!

«Signora, siete una zoccola». Queste furono le parole con le quali Giuseppe Garibaldi si congedò per sempre dalla sposina traditrice sul limitare dell’altare, non conscio, probabilmente, di essere l’unica persona al mondo ad avere “divorziato” qualche minuto dopo il sì. Nonostante gli scarsi mezzi di comunicazione allora esistenti, la ghiotta notizia delle corna rimediate da Garibaldi in Lombardia si diffuse con grande rapidità in Italia e nelle Cancellerie di mezza Europa, sommergendolo sotto una valanga di corbellature e di risate, ma l’aspetto della vicenda che lo fece soffrire di più era che lui, l’indomito guerrigliero delle pampas, l’intemerato marinaio, il brando del Risorgimento, si era fatto fare le corna e abbindolare da una ragazzina come un vecchio e allupato coglione.

Anche per una serie di fatti politici come la cessione della sua città natale, Nizza, alla Francia che ci aveva aiutata a vincere la Seconda Guerra d’Indipendenza, il momento che Garibaldi stava attraversando non era dei migliori, perché alle corna della marchesina si aggiunsero quelle dei suoi concittadini i quali, all’unanimità, si espressero per l’annessione di Nizza. Poveretto, era decisamente a pezzi come si capisce da un pensiero tratto dalle sue memorie sotto la data del 25 aprile 1860: «Tutto mi schiaccia ed atterra. L’anima mia è piena di lutto, che debbo fare?».

Lo sconsolato interrogativo di Garibaldi oggi sembrerebbe quello di un fallito ma, in realtà, egli già era a caccia di qualche impresa che lo potesse riaccreditare presso gli italiani per ricacciare, così, in gola a Vittorio Emanuele II e a Cavour le risate che si stavano facendo sulle sue intemperanze senili. Ebbene, questa particolare esigenza psicologica ebbe una parte di non secondaria importanza nella raffazzonata pianificazione della sua più grande avventura, quella dei Mille.

Per farla breve, il 5 maggio del 1860, Garibaldi, desideroso dunque di far dimenticare il fattaccio di Fino Mornasco, si imbarcò su due malmessi piroscafi con 1089 uomini di ogni risma e mestiere e, partendo da Quarto, si diresse a liberare il Regno delle Due Sicilie che disponeva di un esercito di quasi centomila uomini. Ciononostante, per tutta una serie di maneggi e complotti organizzati da Cavour per staccare la classe dirigente meridionale e gli alti gradi dell’esercito dai Borbone, ma anche grazie all’aiuto degli “uomini d’onore” siciliani che avevano già fiutata l’aria che tirava, il successivo 7 settembre Garibaldi in veste di prodittatore era a Napoli, comodamente sistemato a Palazzo d’Angri in via Toledo… appena 120 giorni per conquistare un regno!

Pertanto, la marchesina Giuseppina Raimondi dovrebbe essere ricordata come una delle figure femminili più importanti dalla nostra storia patria perché, senza le sue corna a Garibaldi non sarebbe venuto l’uzzolo di andare a conquistare il nostro Meridione.

Ritornando al suo privato, dopo la disavventura con le corna della marchesina il nostro eroe dovette realizzare che era meglio stare alla larga dai nobili talami e continuare a farsela con le donne di popolo molto più veraci e più sincere. Infatti, la sua vita sentimentale che era iniziata con una servetta della natia Nizza, terminerà a Caprera con un’altra servetta, Francesca Armosino, la donna plebea che stando a quanto aveva scritto alla Raimondi per convincerla a sposarlo, «…io non posso più amarla e non devo unirmi a lei giammai!».

Insomma, di là della sua innegabile capacità di saper trascinare gli uomini in battaglia e di tenerceli anche quando la situazione si faceva disperata come a Calatafimi, Garibaldi era coraggioso, irruento, fantasioso, donnaiolo, bugiardo e un po’ parvenu. Come dire che incarnava al meglio il prototipo di noi italiani.

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