Le aree tematiche nelle quali si concentra la maggior conflittualità sui social sono quelle relative alla legge, al governo e alla politica. In sostanza, un quarto degli hate speech si concentra su questi temi mentre un’altra bella fetta è costituita dal settore delle news, che offrono lo spunto per scatenare odio e violenza contro comunità, etnie, politici e personaggi di spicco del mondo della politica e dell’informazione
– Patrizia Kopsch* –
Chi non ricorda la bonaria parodia “Piove, governo ladro” nata negli anni del secondo Risorgimento? Ebbene, si potrebbe riassumere così anche il risultato di una ricerca condotta da DataMedia Hub e Kpi, un hub di giornalismo aggregatore di dati, temi e prestazioni, che ha analizzato le conversazioni svoltesi su Twitter dal 25 aprile al 17 giugno di quest’anno, cercando di compenetrare la ragione della diffusione di quel fenomeno denominato “hate speech”, letteralmente “discorsi d’odio”. Si tratta delle espressioni che diffondono, incitano, promuovono od anche giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo e altre forme di intolleranza basate sulla discriminazione e sull’ostilità verso i minori, i migranti e le persone di origine straniera, giusto come da definizione del Consiglio d’Europa del 1997.
E come non citare, a riguardo, la guerra dichiarata dal presidente Trump ai social media quando si è visto bannare i post pubblicati su Twitter e su Facebook per incitamento alla violenza?
Ma tornando alla ricerca con la quale abbiamo aperto, si rileva che le aree tematiche nelle quali si concentra la maggior conflittualità sono quelle relative alla legge, al governo e alla politica. In sostanza, un quarto degli hate speech si concentra su questi temi mentre un’altra bella fetta è costituita dal settore delle news, che offrono lo spunto per scatenare odio e violenza. Un’altra area che vede una certa concentrazione di hate speech, il 13% del totale, è quella dello sport dove l’arbitro cornuto degli anni pre-social sembra quasi un termine gentile a confronto degli insulti e delle minacce di oggidì che partono verso alcuni calciatori, rei di aver cambiato società o, peggio ancora, di avere un colore della pelle non gradito.
Tra le categorie nelle quali sono stati raggruppati i discorsi d’odio, ne spiccano sette: hate speech generici, sessisti, omofobi, razzisti, antisemiti, di discriminazione territoriale oppure legati alle ideologie politiche. A generarli sarebbero principalmente i maschietti tra i 25 e i 44 anni, che rappresentano oltre i due terzi dei protagonisti di tali prodezze. I loro bersagli preferiti? Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Conte, ça va sans dire, seguiti da Matteo Renzi e Luigi Di Maio. Ma ce n’è anche per Carlo Calenda e per Claudio Borghi.
Ironia a parte, l’hate speech è un grosso problema che, se anche non è nato con i social media, da questi è stato certamente potenziato e portato a livelli devastanti. Pensiamo per esempio al cyberbullismo che miete così tante vittime specialmente tra i giovani.
E quindi, ancora una volta, indugiamo a dare un consiglio a chi ama essere interconnesso: «Prima di pubblicare qualcosa, pensaci almeno dieci volte e, soprattutto, pensa a come ti sentiresti se certe cose fossero dirette a te».
* Giornalista freelance, blogger, formatrice digitale
Trovo oltremodo interessante ciò hai scritto, cara Kopsch, tant’è che il contributo mi solletica alcune domande: chi decide quando un pensiero è da oscurare-censurare perché incitante alla violenza? I controllati dai governi (o almeno dovrebbero esserlo…) come Twitter e Facebook possono ergersi anche a controllori di quegli stessi governi? Chi ha tracciato il confine esistente tra un pensiero violento e una veemente, libera opinione? Le etichettature tendono davvero a nobili fini?
Enzo Ciaraffa
Caro Enzo, posso solo risponderti rimandandoti al pezzo che ho registrato l’11 giugno proprio su questo argomento qualche tempo fa sul mio podcast DigitalNews, anche se, al momento, temo che nessuno possa rispondere con certezza a quello che costituisce uno dei temi più dibattuti dei social media negli ultimi anni…
Patrizia Kopsch
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