Lo scenario economico che il nostro Paese si trova davanti è grave, tanto da richiedere urgenti interventi in termini di programmazione economica e industriale con relativa copertura finanziaria. Non possiamo, perciò, considerare appropriati gli interventi governativi dipendenti dalle decisioni di Bruxelles in punto di provvedimenti finanziari, non giustificati da un’analoga adozione di politiche decise a livello centrale europeo e in grado di condurre gli Stati membri nella medesima direzione e nel rispetto dei medesimi tempi che, in ogni caso, devono essere molto rapidi
– Giuseppa Alessandro* –
L’Italia è ufficialmente entrata in recessione tecnica con un crollo del PIL del primo trimestre 2020 superiore alle aspettative che davano un meno 4%, mentre nella relazione annuale del governatore della Banca d’Italia, Visco, la perdita è stata stimata tra il meno 9% ed il meno 13%. La perdita registrata nel primo trimestre è imputabile ad un meno 4% dei consumi e ad un meno 1,5% degli investimenti.
Subito dopo l’imminente, e speriamo definitiva, conclusione del lockdown si potranno calcolare meglio le stime negative della situazione economica che, dopo la riapertura delle attività, ha visto modificare, e in alcuni settori anche in maniera sostanziale, le abitudini dei consumatori. I nuovi scenari non agevolano la ripresa ma costringono a ripensare parte delle iniziative commerciali ed economiche, pena la stessa uscita dal mercato e la definitiva chiusura.
Il lungo periodo di quarantena, peraltro non conclusosi del tutto, modificherà significativamente le abitudini e le modalità lavorative di persone-aziende e determineranno la permanenza sul mercato delle realtà economiche più adeguatamente impostate per affrontare il cambiamento.
Lo scenario economico che il Paese si trova davanti è tristemente grave tanto da richiedere urgenti interventi in termini di programmazione economico-industriale e relativa copertura finanziaria. Non possiamo, quindi, considerare appropriati gli interventi governativi dipendenti dalle decisioni di Bruxelles in punto di provvedimenti finanziari non giustificati da un’analoga adozione di politiche decise a livello centrale europeo e in grado di condurre tutti gli Stati membri nella medesima direzione e nel rispetto dei medesimi tempi. È ciò che, invece, sta accadendo; lo abbiamo visto attraverso l’adozione di strumenti quali il SURE o il MES dipendenti da misure di approvvigionamento finanziario collocabili sul mercato e che a loro volta si traducono in sussidi a favore dei Paesi richiedenti.
Le imprese nel frattempo non possono aspettare guardando i propri concorrenti ricevere i veri sussidi dai governi delle rispettive nazioni; le nostre aziende più deboli saranno costrette a chiudere non avendo potuto avere accesso neanche agli strumenti interni di intervento finora erogati con il contagocce e grandi difficoltà di tipo burocratico.
Nelle ultime ore stiamo assistendo ad una massiccia campagna di informazione in seguito all’approvazione, da parte dell’esecutivo europeo, di uno “stanziamento” di 750 miliardi di euro a supporto dei Paesi che più sono stati colpiti dalla pandemia Covid-19, una decisione che dovrà essere approvata dai 27 Paesi membri nel cui interno serpeggia una certa contrarietà, soprattutto per quanto concerne i “grants” od erogazioni in conto capitale (c.d. a fondo perduto). In effetti è tutto da verificare, da costruire e ciò lascia immaginare che prima del 2021 non si potrà ottimisticamente pensare di potervi attingere.
Tuttavia le problematiche riguardanti il Recovery Fund – Next Generation EU di 750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto e 250 di prestito, al momento sono ben diverse da quello che ottimisticamente può apparire. Intanto perché lo strumento di accesso alla liquidità da parte della Commissione Europea si prevede possa essere l’emissione di bond con accesso al mercato grazie ad un rating elevato e, pertanto, con tassi di interesse ragionevolmente contenuti. A sua volta la Commissione erogherà finanza ai Paesi che ne faranno richiesta.
Dal punto di vista tecnico il ricorso ai mercati con emissione di obbligazioni fa nascere automaticamente l’onere di rimborso al quale dovranno far fronte i singoli Stati, a prescindere dalla richiesta di utilizzo, nell’ambito del bilancio comunitario del prossimo settennio 2021-2027, in funzione di ciascuna quota di partecipazione al bilancio stesso. Pertanto, nell’ambito del bilancio previsionale dei prossimi sette anni, verranno previsti versamenti tali da assicurare il rimborso in funzione delle quote dei singoli Stati partecipanti.
L’Italia è il terzo Paese contributore netto con una quota del 17,8% calcolata in funzione del Prodotto Interno Lordo, nel senso che versa a Bruxelles più di quanto le viene erogato. Tecnicamente l’Italia, se prendesse 82 miliardi di euro a fondo perduto, dovrebbe restituirne 89. Qualora fosse esatto l’ammontare di 172,7 miliardi che ci spetterebbe – ricordo che è d’obbligo il condizionale in quanto gli strumenti non sono stati ancora approvati in sede comunitaria e le notizie che circolano sugli stessi sono incomplete – la differenza di circa 91 miliardi sarà rappresentata da un prestito con un preciso piano di rimborso e adeguate garanzie nonché obblighi di spesa.
Ritornando all’analisi del Recovery Fund è stato stabilito, in linea di massima, che la Commissione raccoglierà capitali sui mercati finanziari garantendoli con un adeguato gettito fiscale e garanzie sui cespiti, un gettito fiscale deciso a livello comunitario. Naturalmente tale gettito graverà sugli Stati membri, immaginiamo soprattutto o solamente su quelli che ne faranno richiesta, mentre l’utilizzo della liquidità dovrà necessariamente rispettare le linee di intervento dettate da Bruxelles: green deal, digitalizzazione, salute dell’ambiente, resilienza delle società, eccetera, che potranno o non potranno essere di interesse di ciascun Paese che ricorre a tali azioni di risanamento.
In definitiva, al momento non sono di poco conto le critiche da sollevare a tale iniziativa comunitaria che, a differenza di quanto si legge, ha partorito un topolino, non solo, ma ha adottato una narrazione dei fatti tale da distorcere l’effettivo contenuto degli strumenti che altro non sono che prestiti, diretti o indiretti, gravati da condizioni che ci verranno imposte ancora una volta dall’UE con imprimatur dato dagli Stati del notoriamente contrari a qualsiasi politica di solidarietà. Il tutto infarcito da tempi di gestazione troppo lunghi per fronte alla grave situazione di crisi che si è già concretizzata. Queste scelte non si giustificano con il fatto che l’Italia è un Paese con un’economia forte in temporanea difficoltà, dotata di enormi potenzialità di crescita e quindi di ripresa, in grado di collocare con successo i propri titoli sui mercati finanziari internazionali a tassi ragionevolmente contenuti come da sempre dimostrato.
Ricorrendo autonomamente ai mercati dei capitali, nonostante l’immutato onere di rimborso, saremmo almeno liberi di adottare una politica economica non imposta, senza correre il rischio di essere assoggettati, un giorno o l’altro, ad un commissariamento o ad azioni di infrazione imposte dall’esterno.