La logica del Creato

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Gli antropologi ritengono che l’uomo, passando per lo stadio di ameba, pesce, anfibio, rettile, scimmia e homo sapiens, sia emerso dai flutti primordiali per colonizzare la terra e per stadi successivi diventare ciò che è oggi e che, molto probabilmente, non sarà domani per effetto dell’evoluzione. Questa congerie di teorie non collide affatto con i convincimenti religiosi di coloro i quali credono che il Creato sia opera di Dio e non frutto del caso

– Enzo Ciaraffa –

Oggi non va di moda parlare di Dio, neppure nella Chiesa che pensa di essere la sua succursale terrestre, eppure del conforto del divino oggi ce ne sarebbe particolarmente bisogno visto che, solitari e senza speranza, annaspiamo in quel mare magnum privi di appigli di ideali e di valori, che Zygmunt Bauman definì “modernità liquida”. Il problema, però, è che quando un normale credente vuol parlarne spesso non sa da dove partire perché Dio non entra nei nostri cuori, né se ne allontana dall’oggi al domani. E parlo per esperienza personale.

Infatti, pur essendo credente mi sono allontanato dalla Chiesa molti anni fa, dopo un lungo e tormentato percorso fatto di confronto critico e revisione dei valori etici e religiosi che mi avevano fin lì guidato. Ebbene, su tale scelta, che dal punto di vista cattolico è una contraddizione, parecchi amici, uomini di chiesa e familiari mi hanno spesso esternato le loro perplessità, soprattutto per il fatto che io creda in Dio ma non nel suo figliuolo incarnato. Senza stare a dilungarmi su quella che per me è la logicità dell’esistenza di Dio, opposta all’illogicità dell’esistenza di un uomo-dio nato da una vergine rimasta tale anche dopo averlo partorito, ai perplessi per la mia posizione religiosa posso soltanto ribadire ciò che a riguardo ne scrissi alcuni anni fa.

Sull’origine dell’universo esistono diverse teorie ma, essendo interessato al perché e non al come esso si sia formato, le accetto tutte anche se, per comodità di ragionamento, prenderò in esame soltanto quella che si riferisce al Big Bang. Secondo questa diffusa teoria, 14 miliardi di anni fa l’universo era compresso in una bolla d’inimmaginabile energia, anche se non più grande di una pallina da pingpong, bolla che deflagrando scagliò schegge di materia in ogni direzione dell’universo immobile, quelle stesse schegge che si trasformarono in astri, pianeti e satelliti.

Poi, anche se non si è ancora capito bene da dove provenisse, sul nostro pianeta, che è appunto una scheggia di stella raffreddata in superficie, comparvero l’acqua e tutti i fenomeni atmosferici a essa correlati, combinati tra di loro in modo tale da consentirvi la vita: un altro insondabile mistero della Creazione. Dal canto loro gli antropologi ritengono che l’uomo, passando per lo stadio di ameba, pesce, anfibio, rettile, scimmia e homo sapiens, sia emerso dai flutti primordiali per colonizzare la terra e per stadi successivi diventare ciò che è oggi e che, probabilmente, non sarà domani per effetto dell’evoluzione.

Questa congerie evoluzionistica non collide affatto con i miei convincimenti religiosi, anzi li va ad integrare perché, secondo me, è anch’essa figlia del progetto che ne è alla base e questo mi porta a formulare due semplici domande. «Che cosa c’era prima del Big Bang? Chi creò la materia con la quale era fatta la bolla originante?».

Ebbene, una risposta accettabile a queste due domande può essere soltanto di tipo metafisico, come quella che – paradossalmente – diede un fisico abituato a credere nelle cose dimostrabili, Albert Einstein: «Esiste una Potenza Superiore, ragionante, che si è rivelata nell’incomprensibile universo».

Anche Einstein, dunque, trovò – come me – Dio nella “non risposta” a quelle due domande. Confortato dal pensiero di uno dei più grandi scienziati mai esistiti, posso ritenere che tutte le cose esistenti siano state originate da una potenza superiore o, se vogliamo, da quella che gli antichi greci chiamavano Archè, l’energia primigenia dalla quale ogni cosa viene e ritornerà. Io chiamo quest’energia primigenia semplicemente Dio, anche se credo che possa chiamarsi con tanti altri nomi. Se a tutto questo aggiungiamo l’incontrovertibilità del fatto che il Creato è stato concepito a nostra perfetta misura, possiamo anche dedurre che, quella evocata da Einstein, sia soprattutto una Potenza di altruismo e d’infinito amore nei confronti del genere umano.

Essa, infatti, ha creato l’universo non per sé ma per noi, ci ha fatto esseri ragionanti non per essere idolatrata ma perché possedessimo i mezzi intellettuali per concorrere al suo progetto e ci ha, infine, dotati del libero arbitrio affinché potessimo scientemente scegliere tra il bene e il male, accettando le conseguenze dell’uno e dell’altro. Peraltro, salvo sfumature e criteri di applicabilità, è proprio per indagare sulla consapevolezza o meno di questa scelta che è nata la giurisprudenza delle società civili.

Nel 2010, la prestigiosa rivista americana Science rese noto che il biologo Craig Venter aveva creato in laboratorio la prima cellula controllata da un Dna sintetico, cioè capace di scindersi e di moltiplicarsi come tutte le cellule viventi in natura e, perciò, in molti iniziarono a pensare che il sogno dell’uomo di divenire immortale stesse per realizzarsi. All’epoca rilevai, e tutt’oggi rilevo, che su questa scoperta, scienziati, politici e perfino la Chiesa, fin dal primo momento, hanno assunto un atteggiamento equivoco perché, per paura di apparire oscurantisti nell’era del politically correct, hanno frettolosamente liquidato il tutto come la scoperta di una vita artificiale.

E che cosa significa esattamente vita artificiale?

Se nessuno scienziato potrà mai trasformare il male in bene, né rendere giusto l’ingiusto, se nessuna scienza potrà distruggere il mondo del sentimento, sostituire l’odio con l’amore, o spiegare quei dubbi metafisici che sono il travagliato retaggio del nostro intelletto, non capisco che cosa si debba immaginare per vita artificiale. Peraltro, dal punto di vista storico, oltre che fisico-chimico, anche l’imitazione di una cellula in laboratorio avrebbe comunque quale punto di partenza il “materiale” fornitoci dal Big Bang. 

Ovviamente non pretendo di essere un teologo e nemmeno un filosofo ma da come la vedo io, aver creato una cellula artificiale in laboratorio non è certo aver creato la vita, perché in modo artificiale si potrà dare origine a degli impulsi, a delle scissioni, a dei disastri, come pare sia avvenuto in un laboratorio cinese di Wuhan due anni fa, non certo a dei sentimenti.

E ammesso anche che dall’iniziale duplicazione di una cellula artificiale si arrivi a creare un essere simil-umano, la scienza saprà resistere alla tentazione di creare degli esseri che siano perfetti esecutori di ordini, privi di sentimenti e di emozioni? Sì, perché vivere è pensare, sperare, gioire, soffrire, amare, odiare, progettare, commuoversi e perfino sbagliare: tutto questo sarebbe possibile a un “individuo artificiale”? Dubito fortemente che – in questo momento della sua travagliata storia – la Chiesa abbia interesse a intavolare un dibattito con la scienza su questa domanda, anche perché per gli scienziati il problema, ormai, non è più l’eticità della ricerca ma i soldi, il successo personale, la vendita di se stessi al migliore offerente.

Sul piano pratico non sono in grado di prevedere quali conseguenze avrà sulla vita degli esseri umani la manipolazione della cellula mediante Dna sintetico, però conosco l’effetto che ha avuto su di me: mi ha avvinghiato ancora di più a quei 270 giorni durante i quali fluttuai nel grembo di mia madre, frutto di una combinazione biogenetica che era in perfetta armonia con il creato, con il progetto della «Potenza superiore ragionante» di Einstein.

Ebbene, ora che sono giunto all’autunno della vita, confido un giorno di potermi ricongiungere a essa, per essere riassorbito in un altro progetto, in questa o in un’altra dimensione.

Pertanto, allora che un velo mi scenderà lentamente sugli occhi per annunciarmi che sono giunto alla fine del mio percorso materico, sarò consapevole e sereno per avere avuto l’incommensurabile dono di una vita reale, pur se breve e fragile. Ma è stato proprio tra le pieghe della mia fragilità che ho incontrato Dio.

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