La globalizzazione prometteva un sogno e ci sta dando angoscia

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Ormai dovrebbe apparire in tutta evidenza il fatto che un mondo omologato, anche se adesso s’inclina a definirlo globalizzato per non dire lobotomizzato, non dagli insegnamenti provenienti dalla storia umana ma dai clic su di una tastiera, prima o poi è destinato a scomparire sotto le sue stesse macerie. Sarà soltanto una questione di tempo. E, purtroppo, lo farà nel modo peggiore, sotto il cataclisma di due guerre: la guerra alla pandemia e quella di risposta economica alla Russia di Putin

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Il primo mondo globalizzato della storia umana fu quello edificato dall’Impero romano, che fece lievitare in sé le ragioni della sua rovina man mano che cresceva. Ciò perché sulle conquiste militari non s’innestò un progetto etnologico capace di amalgamare la cultura dei diversi popoli conquistati, ma fu semplicemente applicata l’idea di uniformarla a quella di Roma che, già di suo, era uno Stato ma non una nazione. Sì, è vero che poi nacquero l’Iberia romana, l’Africa romana e la Gallia romana, dove si parlava il latino e si adoravano gli dei dell’Urbe, alla quale si versavano anche tasse e tributi, ma un (non) progetto politico imposto sulla punta delle lance delle legioni, dal punto di vista militare non sarebbe potute durare per sempre, anche se l’universalità di Roma durò abbastanza e, in un certo senso, dura ancora oggi per il tramite di quella pacifica della Chiesa. Più o meno per le stesse ragioni del passato, sta implodendo anche la globalizzazione che conosciamo noi, che fummo i figli del dopoguerra ai quali già avere la televisione, il telefono e la lavatrice in casa sembrò un miracolo, che è continuato fino ad arrivare al medico di famiglia che ci misura le pulsazioni cardiache standocene noi a casa e lui nel suo studio.

Poi è bastato che un cinese di Wuhan mangiasse un pipistrello arrostito (da quelle parti è una prelibatezza assieme alla carne di cane…), per farci precipitare nel più cupo degli incubi medioevali: la peste di Sars-cov-2.  Ebbene, da quel preciso momento e fino all’introduzione di un controverso vaccino, la comunità scientifica, la classe politica e quella dirigente hanno perso la testa ricorrendo a provvedimenti inefficaci per frenare la propagazione del virus, oltre che essere anche incostituzionali e liberticidi.

“Ma come – abbiamo pensato – è bastato davvero così poco per distruggere il nostro mondo di certezze un po’ stortignaccole eppure popolato da divinità immanenti da tutti conosciute, come Linkedin, Instagram, Facebook, Twitter e, ultima nata, Tik Tok?”. Interrogativo evidentemente dettato dalla paura e/o dalla disperazione perché, a mente fredda, dovrebbe apparire in tutta evidenza il fatto che un mondo omologato – anche se adesso s’inclina a definirlo globalizzato per non dire lobotomizzato – non dagli insegnamenti provenienti dallo studio della storia umana ma unicamente dai clic sulla tastiera del computer, prima o poi è destinato a scomparire sotto le sue stesse macerie. Sarà soltanto una questione di tempo perché, stando alle premesse, quel mondo sarà bello e scomparso alla fine delle due guerre in atto: quella alla pandemia e la guerra di risposta alla Russia di Putin, quale che sarà il tipo di risposta.

Oggi, applicata all’economia ed ai rapporti tra le diverse nazioni, per globalizzazione intendiamo la facoltà/possibilità di accrescere gli scambi economici e commerciali su scala mondiale, globale appunto. Sicché, tra gli aspetti positivi immediati della globalizzazione possiamo includere celerità delle comunicazioni, nuove opportunità di crescita economica per tutti i Paesi, la diminuzione della distanza spazio-tempo e la riduzione del costo dei prodotti per l’utente finale, grazie allo sviluppo della concorrenza, anche se su quest’ultimo punto ci sarebbe molto da discutere in altra sede. Poiché noi esseri umani riusciamo dare molti nomi creativi all’egoismo mercantilista (qualcuno osa chiamarlo addirittura svolta green), non abbiamo voluto vedere anche gli aspetti deterioranti della globalizzazione. Parliamo dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che ancora avviene in molti Paesi il nostro incluso, il degrado ambientale che di solito precede e segue la crescita tecnologica, l’aumento delle disparità sociali, la lenta ma progressiva perdita delle identità nazionali, che la globalizzazione si porta appresso come fatale corollario. Tuttavia, sebbene a malincuore, la maggior parte di noi si era acconciata a “perdere qualcosa” pur di poter vivere in una sorta di melting pot che, consentendo la commistione d’interessi non sempre limpidi tra stati, individui, religioni e culture, avrebbe consentito alla società umana di andare avanti su strade sufficientemente pacifiche in nome dell’interesse economico.

Eppure di segni premonitori di quanto fosse sbagliata l’idea che l’abolizione dei confini e la globalizzazione potessero portarci alla pace universale e anche a una riduzione dei costi di beni e servizi ne avevamo avuti già nel periodo 2006-2008, quando incominciò a sgonfiarsi la bolla immobiliare americana e molti possessori di mutui subprime andarono in default a causa del rialzo dei tassi d’interesse da pagare. Per avere un’idea di che cosa stiamo parlando, basti pensare che, all’epoca dei fatti, il mutuo non più onorato da un operaio di Cincinnati, finì con l’incidere negativamente su quello che aveva contratto l’impiegato di Pescasseroli e per il quale ogni mese pagava la sua brava rata alla banca.

E poi, che la globalizzazione possa diventare anche uno strumento di aggressione sull’uomo è nel fatto che servendosi di essa, è da oltre un mese che un capo di stato dalla mente bacata sta giustificando col suo popolo e con il mondo una guerra di aggressione assurda, che se ne impipa dell’universalità della pace e che, anzi, vuole ridisegnare i confini del mondo a cannonate. Ciò mentre l’utente finale, giusto per rimanere ancora nel campo economico, si è ritrovato con la bolletta elettrica aumentata del 55%, quella del gas del 41,8% e con un’inflazione in crescita che si avvia a toccare il 6,1% con una poderosa spinta al rialzo dei prezzi. In tutto questo, a nostro avviso, la guerra in Ucraina ha fatto soltanto da esaltatore e, comunque, non abbiamo intenzione di ritornare su quanto in proposito abbiamo scritto in tempi non sospetti, il 27 luglio del 2021, sulla prevedibilità della crisi economica ora in atto e circa l’introvabilità sul mercato delle principali materie prime (https://www.vincenzociaraffa.it/nel-nostro-futuro-ci-saranno-carestia-e-fame/), perché è sulla degenerazione della globalizzazione in sé che vorremmo spendere ancora qualche parola prima di chiudere il contributo.

Iniziamo col precisare che la globalizzazione, come base di un progetto di ordine mondiale avente quale bibbia i social e come sacerdoti i vari Zuckerberg, Musk, o Bezos, è destinata a fallire come quella che tentarono anche la Spagna e l’Inghilterra dopo Roma, e per la medesima ragione che è riassumibile in un sostantivo: estraneità. Infatti, pochi tra i suoi miliardi di fruitori hanno sentito come una roba nata in casa loro il progetto più o meno palese di un nuovo ordine mondiale, perché la rutilante estraneità del popolo ai processi decisionali è il frutto bacato dell’universalità imposta dall’alto. Ma, capite le sue possibilità di dominio su popolazioni inebetite dalla sensazione di essere libere, di potere esprimere il loro pensiero, di “contare” insomma, il sistema di potere non ha voluto perdere la grande occasione di ingabbiare, suo tramite, gli amministrati con una selva di norme politicamente corrette e con provvedimenti liberticidi tali per cui anche scendere a manifestare in piazza contro i governi è diventato un fatto illegale. Ciò per ragioni di salute pubblica, sostengono i politici, ma non ci credono neppure loro, visto che fin da inizio pandemia, da ognuno dei quattro punti cardinali continua ad arrivare in Europa e in Italia gente che non ha mai fatto un vaccino in vita sua, alcuni dei quali provenienti anche dalla martoriata Ucraina: gli unici che stanno veramente scappando da una guerra!

È stato proprio in questo mese di ogni violazione dei diritti dei popoli e di sovvertimento di già complicati rapporti multipolari che per la globalizzazione è iniziata la fine, così come per la presunta eticità dei social e della digitalizzazione. Infatti, ogni giorno arrivano nelle nostre case le immagini inquietanti di battaglioni corazzati russi in azioni di guerra, di bombardamenti miranti alla coventrizzazione delle città, di indiscriminati attacchi contro i civili, di bambini uccisi, delle testimonianze di donne sopravvissute allo stupro da parte dei militari russi, di popolazioni delle città assediate prive di cibo, di medicine e di acqua. Insomma, ogni giorno assistiamo a scene che sembrano arrivare direttamente dagli anni bui e tremendi della Seconda Guerra Mondiale, anche se propagate con il supporto di una tecnica digitale da guerre stellari, dove la morte e la distruzione diventano le parti di un videogioco, dove i giocatori alla tastiera si divertono a distruggere gli armamenti del nemico. Il non trascurabile dettaglio è che, nel nostro caso, ciò che vediamo è dannatamente vero, la gente muore veramente tra le lamiere ardenti di un carro armato T-80, o sotto le macerie degli edifici bombardati: la realtà ha superato perfino la perversa fantasia dei creatori dei giochi di guerra digitali! Ormai tutto il reale rischia di trasformarsi in un gioco informatico perché le nostre vite, il futuro del mondo possono essere violentati in ogni momento essendo impercettibile la differenza tra i due universi. E poi, per evitare il peggio, dobbiamo iniziare a prendere atto di una pericolosa realtà: se il veicolo di diffusione della globalizzazione è l’informatizzazione, allora è come se la tecnologia spinta si trovasse in mano a dei trogloditi del paleolitico superiore.

Esagerati? Non crediamo proprio.

Dopo tre dosi di vaccino, chi scrive e la consorte hanno contratto puntualmente il coronavirus sicché, come prevede la legge, il medico di famiglia ha prescritto telematicamente il tampone e per la stessa via è stato prenotato. Un Dio di servizio penserete voi, se non fosse per un preoccupante dettaglio: nonostante avesse tutti i suoi recapiti informatici e telefonici, peraltro richiesti e ribaditi il giorno del tampone, l’Ats competente la rilevata positività non l’ha comunicata all’interessata, cioè mia moglie, ma a… mio genero.

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