L’attentato a Capitan America, una pallottola che cambia la scena  

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La presidenza degli Usa, la più grande potenza militare attualmente esistente al mondo, se la stanno disputando un semi-demente probabilmente affetto da Parkinson e un candidato che i suoi avversari, criminalizzandolo oltre ogni ragionevolezza, hanno consegnato al mirino degli esaltati e, molto probabilmente, alla Casa Bianca per la seconda volta. Se ci arriverà vivo

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In questi giorni ci siamo occupati, forse in modo esagerato, delle elezioni recentemente tenutesi in Inghilterra e in Francia, come se la netta vittoria dei laburisti e quella pasticciata dell’incredibile duo Macron-Mélenchon avesse il potere di cambiare qualcosa in un’Europa sempre più lontana dai suoi cittadini e in una Nato che, dopo appena 75 anni di età, non riesce più a riassicurare neppure i suoi membri, figuriamoci spaventare Putin e i suoi compari con gli occhi a mandorla. Ebbene, la situazione è tale che per fotografare il decadente, pericoloso immobilismo dell’Occidente, del suo primo campione, gli Usa, e perfino l’attentato a Donald Trump di poche ore fa, ci è bastato andare a riciclare l’articolo che scrivemmo il 30 ottobre del 2020 sulle elezioni americane… non è cambiato niente se non in peggio. Ciò perché la presidenza degli Usa, la più grande potenza militare attualmente esistente al mondo, se la stanno disputando un semi-demente probabilmente affetto da Parkinson e un candidato che i suoi avversari, criminalizzandolo oltre ogni ragionevolezza, hanno “consegnato” al mirino degli esaltati e, molto probabilmente, alla Casa Bianca. Se ci arriverà vivo.

Eppure, quando alcuni politici con la puzzetta sotto il naso, che è ormai invalso chiamare radical chic, parlano dei rituali della democrazia italiana, sono soliti indugiare nel luogo comune che tali rituali non sono comparabili alle grandi democrazie di tradizione anglo-sassone. E, invece, tra i tanti effetti che produsse l’elezione di Donald Trump nel 2016 vi fu proprio la frantumazione di quel luogo comune, laddove, in presenza di un particolare meccanismo elettorale, seppur con meno voti complessivi rispetto alla sua rivale Hillary Clinton, il Tycoon divenne il 45° presidente degli Stati Uniti. In ogni caso tale affermazione ebbe del prodigioso anche perché egli entrò alla Casa Bianca nonostante avesse contro l’establishment americano ed europeo, i media di mezzo mondo e perfino il Papa, smentendo ogni pronostico dei cosiddetti sondaggisti che, dopo essersi già sputtanati con la Brexit, raggiunsero il punto più basso di credibilità con quelle elezioni presidenziali.

In verità pure i democratici italiani, il Pd intendiamo, all’epoca fecero la loro brava brutta figura durante la campagna elettorale americana visto che l’allora presidente della Camera (la terza carica dello Stato), Laura Boldrini, assieme a Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, a luglio del 2016 non ebbero neppure la decenza di fingersi super partes in quanto figure istituzionali, e si recarono come se niente fosse alla Convention democratica di Filadelfia a tifare per la Clinton, cioè per una delle fazioni politiche di una nazione alleata.

Come se non bastasse una tale improntitudine protocollare da parte italiana, non appena si ebbe la certezza che Trump aveva vinto le elezioni, in alcune città americane scoppiò la protesta degli sconfitti democratici al grido di “Not my president”, i quali non si rendevano conto dell’assurdità della loro posizione: dei democratici che non accettavano uno dei pilastri sui quali fonda la democrazia, e cioè il responso delle urne. Esattamente come sta succedendo in Italia da quando è al governo il Centrodestra. Purtroppo, la supponenza di essere “i migliori”, è elevatissima nei democratici americani, che dal 2020 a oggi hanno fatto di tutto, anche le cose più infami, come – nihil novi sub sole – innescare contro Trump la Magistratura amica e l’odio dei facinorosi, oltre che le rivendicazioni razziali per sovvertire l’affiorante volontà della maggioranza degli americani di riportarlo alla Casa Bianca il prossimo mese di novembre. Ma il Donald più famoso al mondo dopo Paperino di Disney, è stato soltanto un puttaniere mascalzone e incapace come inclinano a presentarlo i suoi avversari di là e di qua dell’Atlantico?

Secondo noi qualsiasi persona intellettualmente onesta, anche se non nutre una particolare propensione per Trump, dovrebbe ammettere che quelli della sua presidenza furono anni buoni. Sotto di lui l’America seppe contrapporsi allo strapotere economico e militare della Cina e, allo stesso tempo, far da paciere e da deterrente nel mondo senza ricorrere alla sua grande forza militare: la Corea del Nord abbassò i toni battaglieri, l’Iran integralista fu messa con due piedi in una scarpa dopo le cazzate di Barack Obama sulle sanzioni, di riflesso Hamas ridusse le sue attività terroristiche e alcuni Paesi musulmani importanti riallacciarono relazioni con Israele, grazie al lavorio diplomatico della Casa Bianca che sfociò negli Accordi di Abramo dell’11 settembre 2020 con gli Emirati Arabi.

Purtroppo, la vicenda umana è costellata di avvenimenti che sono capaci di cambiare il corso della storia. Fin da subito e nonostante fossero certi di sloggiare Trump dalla Casa Bianca, i democratici americani, grazie al sopravanzare della pandemia da Covid-19, saltarono in groppa al cavallo dell’emergenza sanitaria che, secondo loro, Trump non stava gestendo per niente bene, bollandolo perfino come un pericoloso negazionista. Eppure, anche in quella circostanza il presidente repubblicano non aveva avuto paura di prendere una decisione tra le uniche due che aveva a disposizione: fermare l’industria e la società americana, oppure scegliere di andare avanti con la produzione industriale. Scelse la seconda soluzione, ma non alla cow boy, come sostenevano i suoi avversari, visto che il Dipartimento del Lavoro (rilevazione di settembre 2020) gli diede ragione stimando che, nonostante tutto, gli occupati erano aumentati di 1,37 milioni e la disoccupazione scesa al 8,4%. Certo, tutto questo ebbe un costo perché salì il deficit commerciale, ma non si poteva oggettivamente sostenere che il Tycoon non sapesse gestire la pandemia, anche perché egli fece molto di più: seppe gestire l’America in un momento terribile della storia del mondo nonostante la canizza che aveva alle calcagna in America e fuori.

Ma Trump (ed è la cosa che i suoi nemici gli perdonano meno…) ebbe anche il grande merito di dare uno scossone all’impero del politicamente corretto globale, un coacervo d’interessi economici e politici, di false politiche green e del verbo millenarista di Greta Thunberg fatto proprio da capi di Stato e di governo come fosse un oracolo, e che in effetti sta tentando di narcotizzare l’umanità per portarla docilmente tra le braccia delle multinazionali del green e, peggio ancora, in quelle della Cina.

Donald Trump non è certamente un genio rinascimentale, ma durante la presidenza si rivelò pacifico ed efficace perciò, se l’unica scelta è tra lui e Biden, specialmente dopo l’ attentato subito auspichiamo che gli elettori americani lo premino, scegliendo lui al posto di un molto anziano democratico affetto da demenza senile tant’e che lo stanno invitando a fare un passo indietro sempre più finanziatori e sostenitori. Gli ultimi a pronunciarsi in tal senso sono stati gli attori George Clooney e Michael Douglas, come dire due rappresentanti di quella Hollywood storicamente vicina al partito democratico.

Scegliendo Trump tra le uniche opzioni al momento possibili, gli americani farebbero un piacere a se stessi e all’Occidente che, senza una presidenza americana energica e decisa, scivolerà sempre più verso le fauci del Dragone cinese che, proprio mentre scriviamo, ha inviato il proprio esercito in Bielorussia per “…un’esercitazione congiunta contro il terrorismo”, hanno detto gli interessati, secondo noi per costituire un avamposto in Europa. Ma i nostri media, la nostra classe politica erano troppo presi ad accapigliarsi sui proclami cretini di Ilaria Salis e sui sessanta ovuli di droga trovati dalle autorità egiziane nella pancia del trafficante italiano Luigi Giacomo Passeri, per accorgersene.

Ma l’ attentato a Donald Trump mentre partecipava a un comizio elettorale nella città di Butler, in Pennsylvania scompagina la strategia elettorale dei democratici americani e di quelli di casa nostra che, se non riusciranno a raccogliere il monito che arriva da questo ennesimo atto di violenza politica, prevediamo brutti tempi per il nostro Paese perché, anche se vi circolano meno armi rispetto agli Usa, gli emulatori cretini sovrabbondano specialmente tra quei giovani aizzati dai cattivi maestri che nella sinistra radicale non sono mai mancati.

A proposito di cattivi maestri, non più tardi dell’altrieri, dal Michigan, Biden aveva attribuito a Trump, tra i tanti epiteti ingiuriosi, anche quello di stupratore e sarà stato un caso ma, puntuale come un acquazzone dopo tanto tuonare, un ventenne che si è armato di fucile per fargliela pagare e per poco non v’è riuscito. Il risultato pratico? Trump leggermente ferito, un suo simpatizzante ucciso, due colpiti in parti non vitali e con la porta della Casa Bianca ormai spalancata per lui che per i sostenitori è il nuovo, immortale Capitano America.   

(Copertina di Donato Tesauro)

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