Mentre una Cina atea si accinge a diventare la maggiore potenza tecnologica e militare sulla terra, quella parte del mondo islamico, sua alleata di comodo, continua a rapportarsi a un testo sacro che sul piano civile e religioso gli impone di vedere il mondo con la medesima visuale del VII secolo dopo Cristo. E questi due mondi così antitetici, materialista il prima, teocratico il secondo, prima o poi verranno ai ferri corti e, quando ciò accadrà, sarà una lotta senza quartiere che potrà concludersi soltanto con l’apocalisse nucleare nel volgere di due, tre generazioni: giusto il tempo che occorre all’Iran sciita per diventare una grande potenza nucleare
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Da quando è cominciata la guerra in Ucraina si sono deteriorati, come non mai dal 1945, i rapporti tra Occidente e Oriente, e questo fa temere a molti una possibile apocalisse nucleare innescata dai due (ex?) capofila, Russia e Stati Uniti. Anche noi, in verità, siamo persuasi che l’apocalisse nucleare ci sarà, ma non domani e non a causa di russi o americani, ancora portatori di valori che potremmo definire sbiaditamente post comunisti e liberisti, i quali, nel bene e nel male, si stanno sopportando da quando nacque il concetto di proprietà privata, ma non sono mai arrivati alla resa dei conti finale dei loro rispettivi campioni, né pensiamo vogliano farlo adesso. Anche perché il comunismo e derivati sono diventati sinonimi di oppressione senza, peraltro, aver realizzato la palingenesi economica della società di riferimento. Purtroppo è fallito anche il liberismo perché, coloro i quali avevano additato ai loro popoli l’esortazione «Arricchitevi e fottetevene delle regole!», sono stati i primi a non capire che il denaro è il simbolo della ricchezza, non la ricchezza: le transazioni, il gioco di borsa, la compravendita di titoli, diventano ricchezza soltanto se fondano su di un sano sistema politico e produttivo, fatto di regole chiare e di snelle procedure amministrative. E quanto siano determinanti per il sistema produttivo e per il Pil la chiarezza e la snellezza delle procedure amministrative, lo stiamo vedendo in queste settimane col Pnrr perché, a causa delle lungaggini tipiche della nostra borbonica burocrazia, dei quasi novanta miliardi messi a nostra disposizione dall’Ue, siamo riusciti a spenderne a malapena ventitré!
Mentre tutto questo accade si vanno scolorendo i miti fondanti nostri e dell’Occidente perché, dalla caduta dell’Impero Romano in poi, tali miti non hanno fatto altro che annullarsi a vicenda. Infatti, il sanguinolento amalgama sul quale la caput mundi aveva basato il suo imperio fu sostituito dall’evangelico “Porgi l’altra guancia”; la certezza della fine del mondo che avrebbe dovuto seguire all’anno Mille svanì il 1° gennaio del 1001 e il Dio sopra tutto medioevale venne soppiantato dal Dio insieme a tutto rinascimentale. Poi siamo arrivati ai giorni nostri dove il Dio assoluto, il Supremo Reggitore di tutto ciò che a noi umani è incomprensibile, ha assunto la stessa dignità di un feticcio degli indigeni della Tasmania da quando è in carica l’attuale papa, un abborracciato prete di campagna, una specie di don Abbondio con la tiara laddove in questo momento la Chiesa avrebbe bisogno di un papa con la verve di Giulio II, con la capacità politica di Giovanni Paolo II e la conoscenza teologica di Benedetto XVI. Insomma, hanno fallito un po’ tutti i reggitori politici e spirituali delle società occidentali.
Ma i tempi che stiamo vivendo sono anche la conseguenza di un altro avvenimento piuttosto trascurato dalla storiografia: dopo l’eclissi dell’impero latino e l’affermarsi del cristianesimo, nel deserto della penisola arabica nacque una religione che oggi senza che ce ne accorgiamo, sta pian piano “militarizzando” la crisi economica e spirituale nella quale versa oggi l’Occidente: l’Islam. Il testo fondante di questa religione, il Corano, agli inizi prevedeva semplicemente l’obbligo di osservare quelli che il Profeta aveva indicato come i cinque doveri da compiersi per guadagnare il paradiso. Ma da quando i successori di Maometto a questi cinque doveri ne aggiunsero un sesto, il Jihad o guerra santa contro gli infedeli, la nuova religione è diventata un pericolo mortale per l’Occidente cristiano. La forsennata cavalcata delle armate islamiche della prima conquista, infatti, minacciò la sopravvivenza stessa dell’Europa perché ridusse il Mediterraneo a uno specchio d’acqua chiuso da ogni lato, trasformandolo da dinamica via d’incontro in una disprezzata entità geografica, il bahr al-rum, ovvero il mare dei romani. Stante la situazione, quale che fu la contingenza storica nella quale esse maturarono, le Crociate divennero l’inevitabile risposta dell’Occidente europeo al mortifero accerchiamento degli eserciti islamici. Purtroppo anche il mito di quelle imprese, peraltro tutte fallite, è stato cassato nel momento in cui la Chiesa ne ha chiesto scusa all’Islam, salvo poi lamentarsi del fatto che la Carta Costituzionale Europea misconoscesse le radici giudaico – cristiane del Vecchio Continente.
Ma oggi che – a partire dal papa in carica – tutti parlano entusiasticamente di accoglienza, di tolleranza e di coesistenza con gente che proviene principalmente dall’orbe islamico, ci siamo chiesti quale coesistenza sia possibile tra un mondo che fonda la concezione dell’esistenza umana su di un testo sacro irriformato e irriformabile, fermo al VII secolo d.C., e il Cristianesimo che ha avuto la capacità di mettersi in discussione per ben 21 volte attraverso altrettanti Concili Ecumenici? Quali diritti omologabili con quelli nostri potrebbero sussistere nel mondo islamico se in lingua araba neppure esiste un termine che possa indicare il diritto autonomo, dal momento che il Corano è allo stesso tempo codice civile, codice penale e codice morale?
Alle nostre porte, dunque, premono una nuova religione e un comunismo ibrido, quello cinese, una confusione identitaria e ideale, dei principi di democrazia enunciati e poco praticati, e un capitalismo in grande affanno: intorno a quali valori, a quali nuovi miti può fare oggi quadrato l’Occidente per arrestare il tracollo, per cambiare il proprio destino? Intorno a un mito che vorrebbero strapparci dal cuore a ogni costo, ed è probabile che, prima o poi, ci riusciranno: il mito della Nazione, l’unico che può contrastare i subdoli tentativi di sterilizzazione delle nostre caratteristiche identitarie da parte di un sistema di potere globale che sta tentando di trasformarci in consumatori prefetti, in docili sherpa dell’economia e della finanza. Riprova ne è che, in Occidente e in particolare in Europa, dove i cittadini si recano alle urne eleggono a governarli puntualmente coalizioni di Destra o di Centrodestra come anche è avvenuto poche ore fa in Finlandia.
E ripristinare il mito della Nazione non farebbe di noi dei nazionalisti chiusi a qualsiasi criterio di accoglienza ma, anzi, ci spingerebbe ad accogliere tutti quelli che premono alle nostre frontiere con l’intento d’integrarsi perché, con l’identità al sicuro, saranno essi a uniformarsi ai valori civili occidentali e non noi a quelli musulmani o cinesi.
Purtroppo, questa evoluzione ordinata e ragionevole delle società occidentali non ci sarà perché il sistema di potere globalizzato, per poter sopravvivere e prosperare, ha bisogno dello spersonalizzante caos identitario assicuratogli dai regimi di sinistra che, mentre ebbri ballano intorno al corpo dei due moribondi (gli Usa e l’Occidente), non si rendono conto di essere a pochi minuti dalla fine per l’inarrestabile orologio del tempo.
Nel frattempo, la Russia e gli Stati Uniti, il cui declino è iniziato già da un trentennio, diverranno due potenze regionali con scarse possibilità d’incidere sui destini del mondo, al cospetto di un’alleanza militare tra l’impero cinese, che si ostina a definirsi comunista, e l’Islam antioccidentale capitanato dell’Iran. Ed è in una tale alleanza che vediamo prendere forma la causa della prossima apocalisse nucleare.
Perché?
Perché, mentre una Cina atea si accinge a diventare la maggiore potenza tecnologica e militare sulla terra, quella parte del mondo islamico, sua alleata di comodo, continua a rapportarsi a un testo sacro che, sul piano civile e religioso, gli impone di vedere la società umana con la medesima visuale del VII secolo dopo Cristo. E questi due mondi così antitetici, materialista il primo, teocratico e oscurantista il secondo, prima o poi verranno ai ferri corti e, quando ciò accadrà, sarà una lotta all’ultimo sangue, che potrà concludersi soltanto con l’apocalisse nucleare nel volgere di due, tre generazioni: il tempo che occorre all’Iran sciita per diventare una grande potenza nucleare. E il randello nucleare in mano a gente che concepisce la catarsi per la fede come una salvifica purificazione è estremamente pericoloso.
Oddio, è anche probabile che, nel giro di qualche anno, Cina e Stati Uniti inizino già a spararsi addosso per la faccenda di Taiwan, ma nessuno dei due Paesi, secondo noi, utilizzerà ordigni nucleari tattici o strategici, se non altro perché i cinesi sanno bene che gli americani hanno vettori basati nella Corea del Sud, in Giappone, in Australia e nella stessa Taiwan… praticamente sono accerchiati dalle bombe atomiche. E mentre attendiamo l’Armageddon, che cosa faremo? Probabilmente, continueremo a comportarci come gli spettatori del Circo Massimo dell’antica Roma mentre i primi cristiani venivano sbranati dalle bestie feroci: applaudiremo le bestie.
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