L’antica sete della Sicilia è figlia soltanto dei cambiamenti climatici?

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Dodici anni fa in Sicilia venne chiuso l’unico dissalatore ancora funzionante, quello di Porto Empedocle perché, si disse, i costi di gestione erano molto alti. Insomma, sic et simpliciter si decise la chiusura di un manufatto che implementava le risorse idriche della provincia di Agrigento, e cioè di mezzo milione di persone, come fosse l’inutilizzata fontanella di un parco cittadino

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Vuoi per la sua orografia, vuoi per la posizione geografica, vuoi per l’incuria-incapacità della classe politica a provvedervi, il nostro Sud vanta una storica sete d’acqua, una sete che in Sicilia negli ultimi anni si è trasformata in persistente siccità fino al punto che, mentre scriviamo, la nave cisterna “Ticino” della Marina Militare, dal porto di Licata, sta pompando il prezioso liquido negli acquedotti dell’agrigentino e del gelese. Le spiegazioni fornite dai vari livelli di responsabilità politico-amministrative per l’ennesima emergenza siccitosa sono le stesse di sempre, ovvero il cambiamento climatico e una rete di distribuzione che perde per strada oltre la metà dell’acqua che dovrebbe erogare ai cittadini. Si tratta, insomma, di spiegazioni che dovrebbero assolvere un po’ tutti: gli amministratori locali, la Regione Sicilia, i governi che si sono succeduti alla guida del Paese nell’ultimo secolo e i siciliani stessi che, ancora oggi, sono abulici e fatalisti come li descrisse Tomasi di Lampedusa nel romanzo “Il Gattopardo”.  Ma sono soltanto quelle sopra citate le cause del disastro? Secondo noi no, perché ve n’è una che le surclassa tutte: la scientifica, pessima gestione delle risorse idriche.

La Regione Sicilia, ad esempio, ha mai steso (e realizzato!) un progetto finalizzato alla costruzione di una capillare rete di dissalatori per immettere acqua potabile nei rubinetti dei suoi amministrati? Eppure l’isola in particolare e le regioni del Sud in generale a riguardo dispongono di una risorsa inesauribile: l’acqua del mare. E invece, dodici anni fa venne chiuso anche l’unico dissalatore ancora funzionante dei tre esistenti in Sicilia, quello di Porto Empedocle perché, si disse, i costi di gestione erano molto alti. Perché lasciare le città e gli agricoltori senza acqua avrà costi più bassi? Le solite sciocchezze autoassolventi dei nostri incapaci amministratori perché, ad oggi, la siccità siciliana ha già fatto oltre due miliardi di danni al solo settore agroalimentare (Fonte: AgroNotizie). Eppure, sic et simpliciter dodici anni fa si decise la chiusura dell’ultimo dissalatore che implementava le risorse idriche della provincia di Agrigento – mezzo milione di persone – come fosse l’inutilizzata fontanella di un parco cittadino.

Ma c’è un episodio che la dice lunga su quanto è accaduto in Sicilia dall’Unità ad oggi a proposito della gestione di un bene collettivo come l’acqua, che possiamo riferire senza tema di smentite. Uno dei miei fratelli nel 1984 comandava una Tenenza dei Carabinieri in provincia di Caltanissetta, e per carità di patria non specificherò quale. Ebbene, una sera d’estate, mentre egli tornava nel proprio alloggio, fu insospettito dal fatto che un’autocisterna del Comune, normalmente impiegata per rifornire la popolazione di acqua, stava rifornendo un villino privato, anzi con l’acqua potabile si stava irrigando il giardino di quel villino.

Contestati a volo tre o quattro reati all’innaffiatore (che, manco a dirlo, era un dipendente del Comune) e invitatolo a presentarsi in Tenenza l’indomani, quella calda sera siciliana mio fratello poté constatare che il problema dell’acqua in Sicilia affonda le proprie radici innanzitutto nella concezione notabilare del potere di molti, troppi, reggitori di enti locali, politici alla Marchese del Grillo per intenderci,  che poi, quando viene a mancare anche l’acqua da loro dilapidata, se la prendono con Roma invece che con se stessi. Al punto in cui sono arrivare le cose, suggeriamo al governo di metterci mano una volta per sempre nominando un commissario ad acta per la siccità magari sfruttando i fondi del PNRR per costruirvi tanti dissalatori. Ovviamente il commissario non dovrà essere un politico, men che mai un politico siciliano.

Chiudiamo con una riflessione che è anche una curiosità. Troviamo strano che il presidente Sergio Mattarella, un siciliano doc proveniente da una famiglia di notabili palermitani della fu Democrazia Cristiana, che ha sempre da lanciare frecciatine contro il governo in carica non appena qualcuno sbadiglia storto, non abbia ancora detto una parola sul problema che sta mettendo in ginocchio la sua regione di origine. E, intanto, i siciliani sono sempre più incazzati, a fronte del fatto che, grazie ai dissalatori, appena dall’altra parte del Mediterraneo, gli israeliani hanno reso rigoglioso e produttivo perfino il deserto del Negev.

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