L’Italia è perduta?

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Le forze politiche pare abbiano dimenticato che, dopo la melassa di queste settimane, dovranno ritornare a confrontarsi sui programmi e passare dal finto ecumenismo alle battaglie cazzute del futuro prossimo, perché dopo l’uscita di scena dell’attuale premier il quadro politico e istituzionale sarà ancora più deteriorato di quello di oggi. Ciò a causa di un debito pubblico che sarà diventato un’incolmabile voragine, con un Pil coerente con il sistema produttivo che è, a dir poco, a pezzi, con le varie multinazionali che, approfittando di questa congiuntura “favorevole”, stanno comprando a tocchi il nostro Paese e con la Cina che incombe su tutti noi
– Enzo Ciaraffa –

Sulla politica italiana esiste un abisso siderale tra il mio pensiero e quello di Andrea Scanzi e, tuttavia, non posso che dirmi d’accordo con lui quando, qualche settimana fa nella trasmissione “Otto e Mezzo” ha sostenuto che, in fondo, il governo Draghi non è foriero di grandi cambiamenti rispetto al suo predecessore: «Se mi dite che abbiamo cambiato un governo, dentro una pandemia, per cambiare l’orario del Consiglio dei Ministri, comincio a ridere adesso e finisco domani». E in effetti, almeno fino a questo momento, l’unico segno di discontinuità che il governo in carica ha dato rispetto a quello precedente è stata la nomina di un Generale al posto del super commissario Arcuri, la sostituzione di un economista con un ingegnere alla Protezione Civile e, come sostenuto da Scanzi, il cambio di orario del consiglio dei ministri. Il neo premier avrebbe potuto fare di più considerando anche che è in carica da meno di un mese? Secondo me, nemmeno in dieci anni l’ex presidente della BCE, o qualsiasi altro soggetto pescato nel panorama politico e dirigenziale nazionale, sarebbe riuscito a far di più. Eppure quel “di più” richiesto al taumaturgo Draghi era soltanto l’avvio – finalmente! – di una seria campagna vaccinale e l’inserimento in un programma produttivo coerente dei soldi del Recovery Fund in arrivo da un’Unione Europea in preda, anch’essa prima di noi, al marasma dei vaccini. Anzi, a volere esternare sinceramente il mio pensiero, sono persuaso che, da come si vanno imbrodando il miserevole spessore della classe politica, i diversi problemi istituzionali, costituzionali e strutturali sul tappeto, la politica, l’economia e un’Europa vittima soprattutto della sua ottusa burocrazia, soltanto Domineddio potrebbe salvare il nostro Paese dall’implosione ideale, morale ed economica mentre annaspa nel tempestoso mare della globalizzazione.

In altre parole temo che l’Italia sia perduta. A meno di un miracolo.

Per arrivare a maturare cotanto convincimento, d’altronde, non c’è voluta chissà quale fine analisi, è bastato soltanto mettere uno appresso all’altro gli avvenimenti che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni per capire dove sta andando a finire un Paese la cui classe politica, dalla caduta del Muro di Berlino in poi, non ha fatto altro che riciclarsi. Ma lo ha fatto sempre senza coraggio, posizionandosi ogni volta a metà del guado, senza mai riuscire a sostituire la vecchia identità con una che fosse nata in Italia e passabilmente coraggiosa.

Ancora non si era sedimentata la polvere prodotta dalle macerie della caduta del Muro di Berlino, che iniziò a cambiar pelle il Partito Comunista Italiano nella cosiddetta svolta della Bolognina con la quale – in un clima di generale riprovazione per le malefatte dei regimi comunisti – pensò bene di cancellare la paternità marxista dal suo certificato di nascita. Infatti, prima si trasformò in Partito Democratico della Sinistra, poi in Democratici di Sinistra e, infine, in Partito Democratico: quattro mutamenti che, fino ad oggi, non hanno prodotto nessuna, autentica, svolta culturale nella Sinistra italiana che, per diventare convintamente “democratica”, dovrebbe iniziare a misurarsi con la democrazia senza l’aiuto dei suoi infiltrati nella magistratura e nei media ma, soprattutto, dovrebbe misurarsi col male che l’affligge sin dal 1921: la “scissionite”.

Poi venne la stagione di Tangentopoli – Mani Pulite e si sperò che l’inchiesta di un oscuro PM della Procura di Milano potesse costringere ad una palingenesi morale la classe politica e, invece, dovemmo prendere atto che l’inchiesta era stata “parziale” e che il PM che voleva abbattere il re mirava, in realtà, a prenderne il posto dandosi alla politica dove, ancora una volta, si dimostrò che il consenso emotivo non sempre si trasforma in consenso elettorale. Questo, oggi, vorrei ricordarlo soprattutto ai laudatori del presunto appeal elettorale di Giuseppe Conte a capo di un partito.

Stranamente, tra i primi ad avvertire la necessità di cambiar pelle dopo la caduta del Berliner Mauer, vi fu un partito di Destra come il Movimento Sociale Italiano che, con la svolta di Fiuggi, rinnegò la sua origine postfascista riciclando velocemente il Movimento Sociale Italiano in Alleanza Nazionale. L’operazione non fu del tutto priva di senso perché, se almeno nel nome non esisteva più il suo acerrimo nemico rosso, nemmeno il MSI aveva più ragione di esistere. Anche in questo caso, la rapidità con la quale avvenne una tale operazione disorientò gli iscritti e non portò neppure bene al suo segretario Gianfranco Fini che, dopo i fasti dell’alleanza con Silvio Berlusconi poi finita a pesci in faccia, si lasciò prima irretire dalla Sinistra e poi travolgere dall’affaire della casa di Montecarlo fino a sparire completamente dalla scena politica.

Dunque, dopo il vuoto lasciato dai partiti tradizionali ormai decimati dalla magistratura, oppure riciclatisi, i nostri connazionali si ritrovarono così smarriti e sconcertati che non esitarono a seguire l’ennesima chimera, quel nuovo sogno italiano lanciato da un ex palazzinaro che, in realtà, mirava soltanto ad accomodare gli affari delle sue televisioni. Lo spessore democratico di costui, senza parlare di quello morale, era così labile che, dopo aver vinto le elezioni nel 1994, nella formazione del nuovo governo voleva collocare alla Giustizia il suo avvocato personale … un tentativo così spregiudicato che per poco non gli procurò uno sputo in faccia dall’allora presidente della repubblica Scalfaro al quale pure non mancava la spregiudicatezza. Il resto della storia del Cavaliere fu soltanto una vistosa caccia all’uomo, altrettanto immorale, da parte di una magistratura vistosamente schierata a favore dei suoi avversari politici. Fino ad arrivare all’estate del 2011, quando esplosero le difficoltà interne del governo Berlusconi IV che sarebbe caduto di lì a poco, dopo i maliziosi sorrisini di Sarkozy e di Angela Merkel a Bruxelles, dopo le bocciature delle agenzie di rating, dopo l’esplosione del debito pubblico e l’impennata del differenziale Btp – Bund. Fu a quel punto che, con una mossa senza precedenti negli annali della Repubblica, il presidente Giorgio Napolitano prese un quasi oscuro professore della Bocconi come Monti e – novello Caligola – lo nominò prima senatore a vita in quattro e quattr’otto, poi lo inviò a costituire un governo con il castrante plauso di buona parte del Parlamento, che non si rese conto di essere stato estromesso. E fu il primo colpo di Stato appoggiato da coloro che lo stavano subendo, dalle vittime insomma.

Poi, più o meno con lo stesso criterio Napolitano mise le sorti del governo prima in mano ad Enrico Letta, poi a Matteo Renzi, ed infine in mano a Paolo Gentiloni. Come a ribadire quella che pare essere diventata un’anticostituzionale prerogativa del Quirinale: scegliere motu proprio il capo del governo e perfino i ministri. Mattarella, infatti, ha fatto la stessa operazione col Conte I e II e, dulcis in fundo, con Mario Draghi. Per carità, dal punto di vista della forma ci siamo perché Mattarella ha scelto Draghi, mentre il Parlamento, nella quasi totalità, ha avvallato la nomina fingendo di non capire che Draghi sarebbe stato l’emblema vivente della sua estromissione dal circuito decisionale della democrazia. Ed è stato il secondo colpo di Stato appoggiato dalla sua stessa vittima, il Parlamento.

A questo punto, però, s’impone una domanda non di poco conto: nel nostro ordinamento è ancora il presidente della Repubblica che deve prendere atto delle decisioni del Parlamento e nel caso avvallarle, oppure è diventato vero l’incontrario? Questo nuovo modus operandi sta producendo delle ferite alla nostra Costituzione che sarà difficile far rimarginare: ricordiamoci che sia Conte che Draghi hanno potuto sequestrare sessanta milioni di cittadini, dall’oggi al domani, con un semplice atto amministrativo, il famigerato DPCM.

Ed è di comodo ma fuorviante la giustificazione che Mattarella, gli affezionati di Conte prima e di Draghi dopo, hanno addotto per tentare di giustificare la estromissione del Parlamento ed evitare la resa dei conti nelle urne: la battaglia contro il Covid-19 che, in verità, continua ad impazzare come prima e più di prima perché senza vaccini ogni battaglia per contenerlo è persa.

Vedete, invocare il pericolo pandemico, chiamare – come ha fatto Sergio Mattarella – la classe politica alle armi per la lotta contro questo temibile nemico proveniente, sembra, dalla Cina, è stata una mastodontica presa in giro per non farci andare a votare. Ciò perché, fino all’arrivo di Mario Draghi, non era stato adottato un solo provvedimento logistico sensato e Mattarella non se n’era preoccupato, anzi, il ministro della salute non conosceva neppure il piano pandemico nazionale, sennò si sarebbe accorto che era arretrato di quindici anni. Mette tanta rabbia in corpo e tristezza nel cuore, il costatare che quello stesso ministro che non si era letto un documento così importante per la nostra salute, mentre morivano migliaia di persone, trovava il tempo per scrivere un libro, dal titolo così loffio e fuori luogo che è stato valutato prudente ritirarlo dalle librerie. Ma in tali, nefasti, frangenti anche il fu portavoce di Conte, il prode Rocco Casalino, trovava il tempo di scrivere un libro. E questo vi sembra il modo giusto di fare la guerra a un nemico subdolo e cattivo di come non ne avevamo più avuti dalla II Guerra Mondiale? Conte, Speranza e Di Maio erano i Generali che ci occorrevano per vincere questa guerra?

La risposta è nei numeri: lamentiamo, al momento, quasi centomila morti e manco siamo stati ancora capaci di schierare le “truppe” contro il nemico! È stato per questa ragione che Draghi, appena messo piede a Palazzo Chigi, ha dovuto precettare un Generale vero in fretta e furia, per abbozzare un efficace piano di guerra contro il Covid-19 e le sue proliferanti variabili.

Ma ciò che darà il colpo di grazia alla nostra già malmessa democrazia si chiama assuefazione, quella di noi cittadini e di una classe politica ben lieta di godere dei vantaggi del potere senza doversene accollare gli oneri e le responsabilità. Esagero? Ma anche in questo caso tenterò di rispondere con dei fatti oggettivi. E i fatti sono questi: un bel giorno, e forse concordato di nascosto da tempo, il duo Renzi – Mattarella ha deciso (meritoriamente per una volta…) che Giuseppe Conte e la sua corte dei miracoli dovessero andarsene a casa prima che il Paese finisse definitivamente a gambe all’aria. Questo perché si era giunti ad un punto in cui i defenestranti non sapevano più che pesci prendere per governare il Paese e la pandemia ed erano andati in bambola perfino per fare un decente Recovery Plan da inviare a Bruxelles allo scopo di avere il finanziamento-prestito di 209 miliardi tant’è che, per emendarlo dai casini fatti da Conte-Gualtieri, il governo dei tecnici si è rivolto ai “più tecnici” di loro della Mckinsey, il colosso americano della consulenza strategica. Di tutta la congerie di avvenimenti ruotanti intorno alla caduta del Conte Due, mi ha colpito la docilità, il senso di liberazione con il quale i trombati hanno accettato il sacrificio della loro testa, l’aria rilassata da fine scampagnata con la quale se ne sono ritornati negli scranni del Parlamento a fare le uniche cose che sanno fare bene: scannarsi tra di loro nei partiti di appartenenza, schiacciare un pulsantino e intascare il pingue stipendio di 20.958,45 ogni mese (Fonte: Money.it).

La verità è che, per una tale compagine di zompafossi imbranati e pure in malafede, l’estromissione dalle responsabilità di governo è stata una liberazione. Non vedevano l’ora che arrivasse un altro a cavar loro le castagne dal fuoco. È esemplificativo, infatti, che in questi giorni si sentano orfanelli di Conte più il Travaglio de “il Fatto Quotidiano” che l’ex ministro Azzolina, più Rai3 che l’ex ministro Boccia, quello delle abortite ronde sanitarie.

Ma una democrazia per essere tale ha bisogno di pesi e contrappesi nell’ambito di un circuito costituzionale definito e rispettato, come dire una forza politica che governa e di un’altra che controlla, più banalmente di maggioranza e di opposizione. Ma dal Parlamento italiano l’opposizione è sparita nel giro di una settimana, e se non fosse per il partito di Giorgia Meloni che sta tentando di fare almeno un’opposizione di principio, saremmo già tecnicamente in dittatura. Anche se, per potere esercitare questo suo legittimo diritto-dovere, la poveretta si è beccata ogni tipo di offesa personale, inclusi oscenità come zoccola, scrofa e pesciaiola.

Sul medio periodo, l’ecumenismo parlamentare di cui sopra è l’inizio della definitiva fine della centralità dei partiti, perché offerte politiche diverse e contrapposte, che senza patemi si sono amalgamate in un batter d’occhio soltanto per poter gestire una montagna di soldi, il Recovery Fund, a questo punto sono da considerarsi quantomeno complementari, e scegliere una oppure l’altra sarà relativo, forse addirittura inutile.

A tutto questo va ad aggiungersi la coglionaggine – scusate, quando ci vuole, ci vuole – di un ceto politico certamente incapace di prendersi delle responsabilità, ma capacissimo di tagliarsi i cosiddetti da solo. A riguardo faccio un altro esempio e vi giuro che sarà l’ultimo. Quando è risultato chiaro che Giuseppe Conte stava per essere defenestrato, il M5S nella sua gestione collegiale, quasi impersonale, e il PD nella sua gestione monocratica, quasi una dependance del M5S, hanno alzato le barricate perché, a loro dire, l’ex avvocato del popolo era bello, buono, capace e di pura razza ariana, in altre parole insostituibile.

Poi, quando si è finalmente realizzato che Salvini poteva divenire il bardo di un governo di salvezza nazionale dopo essersi dichiarato più europeista di Ursula von der Leyen, i giallorossi hanno fatto marcia indietro, ma ormai il “danno” era fatto. Risultato: adesso il vero leader di grillini e piddini è lui, l’insostituibile Conte. E questo è accaduto anche grazie alla propaganda dell’ondivago Zingaretti che, appena un mese fa, gridava “Conte o morte!”. Ecco perché il PD pretende la sua testa perché, se è stato un campione nel fare la propaganda per l’ex premier, è stato un pessimo facitore della risorgenza del suo partito che, sotto la sua segreteria, è precipitato ai minimi storici del consenso, addirittura, si dice, dietro la Destra.

Purtroppo, nonostante la mole di tali e tanti presupposti, nessun partito, eccetto forse FdI, ha in testa una strategia di recupero ideale – che in periodi di decadenza di un “sistema” è imprescindibile dalla strategia – per il dopo Draghi. Le forze politiche dovranno per forza ritornare a confrontarsi sui programmi e passare dalla melassa di questi mesi alle battaglie cazzute del futuro prossimo, perché dopo l’uscita di scena dell’attuale premier il quadro politico e istituzionale sarà ancora più deteriorato di quello di oggi. Ciò a causa di un debito pubblico che sarà deducibilmente diventato un’incolmabile voragine, con un PIL coerente con il sistema produttivo che è, a dir poco, a pezzi, con le varie multinazionali che, approfittando di questa congiuntura “favorevole”, si stanno comprando a tocchi il Paese, con una generazione di ragazzi alienata, con gli adulti inebetiti e privi di quella volontà creativa e combattiva che li ha contraddistinti nei secoli, assuefatti ormai ad ogni schifezza di una classe politica e dirigente che è caritatevole definire indecente. Anche perché, un “sistema” costruito e commisurato alla loro mediocrissima misura, pensava di poter fare a meno di costruirsi una classe dirigente sicché, in questi anni, ha allevato sciacalli invece di lupi della finanza e iene invece di leoni della Pubblica Amministrazione spacciandoceli per grandi manager.

Con una tale linea di tendenza, con queste premesse storiche, politiche, economiche e umane, di là delle ragioni del cuore e del patriottismo nazionalista, ditemi, come si fa ad indugiare in un ottimismo di maniera? Come si può, ditemi, non pensare che l’Italia sia perduta?

Soltanto un cieco, a questo punto, potrebbe non vedere che la democrazia è bella che morta e la dittatura del sistema tecnocratico è dietro l’angolo.

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