Perché oggi non possiamo non dirci Israeliani

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Israele, unica democrazia esistente in Medioriente, senza saperlo in queste ore si trova a combattere anche per l’indipendenza di Taiwan, per l’esistenza dell’Ucraina libera, per gli armeni, per le donne iraniane tenute in condizione di minorità dal regime pretesco degli ayatollah e, per quanto la Chiesa non lo ammetterà, sta combattendo anche per la libertà di culto dei cristiani e di ogni altra religione in quell’area

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Dopo l’abbandono dell’Afghanistan in mano ai talebani, dopo la deliberata – e fin qui impunita – invasione russa dell’Ucraina e la ripresa degli scontri nel Kosovo tra la popolazione serba filorussa e quella albanese filoccidentale, dopo che l’Azerbaijan ha invaso e distrutto il Nagorno Karabakh armeno, proprio in queste ore è toccato a Israele essere attaccata massicciamente dai terroristi palestinesi di Hamas che, ebbri di sangue come dei famelici lupi, si sono avventati sulla popolazione civile dei kibbutz di confine – donne, vecchi e bambini – e su dei ragazzi che partecipavano a un rave nel deserto massacrandoli a sangue freddo. Per adesso si parla di un migliaio di vittime che per un Paese piccolo e accerchiato da nemici come Israele sono un fatto inconcepibile e inaccettabile. Tra l’altro, i collaudati sistemi di allarme e di difesa israeliani, così come pure i servizi di intelligence, quali il Mossad e lo Shin Bet, hanno fatto fetecchia in un momento di grande debolezza politica del governo guidato da Benjamin Netanyahu e di frazionamento della solitamente compatta società israeliana, in questo periodo divisa sulla riforma della Corte Suprema da parte del governo.

A riguardo soggiungiamo molto sommessamente che, a parte i suoi problemi con la giustizia, l’intendimento di Netanyahu era teso a impedire che la Corte Suprema si sostituisse alla Knesset, cioè al Parlamento eletto dai cittadini in un Paese privo di Costituzione. In ogni caso, e comunque andrà questa guerra, la carriera politica di Netanyahu è giunta al capolinea perché come capo politico e militare (in Israele i due ruoli si sovrappongono fin dai tempi di Abramo) di un Paese perennemente sotto attacco ha dimostrato di non valere granché.

Ma passiamo subito oltre perché il nostro obiettivo è teso a occuparsi di altro, del fatto che la storia ci sta riproponendo, come un déjà vu rosso sangue, il periodo che precedette la II Guerra Mondiale, anche se questa volta a innescare un conflitto militare globale potrebbe essere non più la litigiosa Europa ma l’Oriente del mondo, l’Asia Meridionale, il Sudafrica e il Sudamerica, in pratica i Paesi del cosiddetto Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) quasi tutti allergici alle democrazie liberali. Non a caso uno dei suoi membri, quell’Iran che sta aiutando Putin a massacrare le popolazioni ucraine con i droni kamikaze Shahed, si è detto entusiasta delle bestialità perpetrate dai terroristi di Hamas in Israele, salvo aggiustare il tiro il giorno dopo per paura, pensiamo, di qualche raid aereo israeliano tipo quello che il 7 giugno del 1981 distrusse il reattore atomico del dittatore iracheno Saddam Hussein. Non a caso quando il premier israeliano ha promesso che “La nostra risposta all’attacco di Hamas cambierà il Medio Oriente”, a Teheran hanno messo le mani avanti: “In caso di mosse folli la nostra risposta sarà distruttiva”. Due domande sulle quali magari ci soffermeremo nei prossimi giorni: perché Hamas (sostenuta dall’Iran) ha voluto suicidarsi in modo così bestiale? L’obiettivo degli ayatollah di far fallire la normalizzazione in atto tra Israele e l’Arabia Saudita sua storica nemica è stato raggiunto? Per adesso sembrerebbe proprio di no.

Per il resto le turbolenze interetniche e territoriali di oggi sono simili a quelle che precedettero la II Guerra Mondiale, come pure lo stesso è l’appetito di dittatori corrotti e senza scrupoli, la cecità dei governi occidentali nei loro confronti e il tasso d’irresponsabilità di coloro che stanno reggendo le sorti dei nostri Paesi ad ogni livello. Un esempio? Mentre la popolazione d’Israele era sotto attacco terroristico, a Busto Arsizio, un dissociato imbecille di dirigente locale di FdI ha postato un’immagine di Hitler sulla sua pagina Facebook. Purtroppo, quanto sta accadendo nel mondo ci consegna un’altra similitudine con gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso: pure adesso v’è un handicappato alla Casa Bianca che dovrebbe farsi capofila dei difensori delle sorti dell’Occidente, un handicappato non come quella lucidissima mente di Franklin Delano Roosevelt benché seduto su di una sedia a rotelle, ma come un claudicante, incerto vecchio ottantaduenne incapace perfino di salire le scale senza ruzzolarvi sopra perché affetto da un evidente principio di demenza senile.

E così, mentre il mondo, privo di quei centri decisionali globali che furono Mosca e Washington ai tempi della guerra fredda, sembra volere esplodere da un momento all’altro, non s’intravede all’orizzonte un altro Winston Churchill capace di guidare moralmente la crociata contro le nuove dittature, in presenza di un’Unione Europea che non si capisce più a cosa serva, perché senza una forza militare in comune e una monolitica politica estera, essa non conta un cazzo sullo scacchiere mondiale dove ormai le partite si giocano in termini di  forza militare e materiale.

In Europa, peraltro, ci sono molti, troppi leader che, come disse Neville Chamberlain di Hitler, sono convinti che Putin, Xi Jinping e gli ayatollah iraniani siano dei gentiluomini con i quali si possa parlare di indipendenza dei popoli, di democrazia, di uguaglianza tra uomini e donne, di diritti umani e del fatto che i guerriglieri palestinesi non sono degli agnelli ma dei biechi assassini. Eppure dovrebbe essere chiaro che cotanti abbagli, il non decidere in modo netto sulle scelte di campo in politica estera non pagano se, com’è emerso dalle elezioni regionali in Assia e in Baviera, le forze di governo dell’ambiguo premier tedesco Scholz hanno rimediato una sonora mazziata. Va bene che le coalizioni di governo non sono mai forti abbastanza per poter prendere decisioni epocali, ma il vero problema è che a Scholz, come alla maggior parte dei leader occidentali, mancano le palle delle quali pare essere dotata l’unica persona che non dovrebbe possederle per dettato biologico, ovvero Giorgia Meloni. Questa donna, infatti, è riuscita a mettere la pavida Europa di fronte alle sue responsabilità sul tema dell’immigrazione, riuscendo anche a fare asse con Inghilterra e Francia il che è tutto dire, e qualche minuto dopo le truci notizie provenienti da Israele ha assunto subito una posizione ufficiale netta e chiara, senza se e senza ma: noi stiamo con Israele!

In tutta sincerità e con grande preoccupazione, noi non crediamo che l’Occidente in generale e l’Europa in particolare abbiano realmente capito quale sia la posta in gioco al confine con la striscia di Gaza. Infatti, se Israele dovesse uscire male da questo ennesimo attacco o se dovesse lasciare spazio ai soliti mediatori alla Erdogan (un altro ambiguo integralista), che pensano possa discutersi di pace con coloro che sognano una shoah senza fine, la prossima invasione sarà quella di Taiwan, protetta dagli americani, da parte di un altro emerito Paese del nuovo asse del male o Brics, la Cina. A quel punto la III Guerra Mondiale sarebbe pressoché certa e non è sicuro che la vincerebbe l’Occidente. Ecco perché Israele stavolta deve picchiare duro su Hamas e Hezbollah, allo scopo di far capire a chi deve che certe azioni non sono mai a costo zero per chi le intraprende, neppure per la Cina in caso d’invasione di Taiwan. Il gabinetto di guerra israeliano potrebbe veramente decidere di dare una lezione anche al principale sponsor dei terroristi palestinesi, cioè l’Iran? Non possiamo dirlo con certezza, anche se non siamo del tutto persuasi che ciò sia da sconsigliarsi, se non altro per dissolvere l’aspettativa sospesa di chi in questi brutti giorni sta pensando a come sfruttare per il proprio tornaconto quanto sta accadendo. Sicché in Israele, l’unica democrazia esistente in Medioriente, in queste ore si sta combattendo anche per l’indipendenza di Taiwan, per l’esistenza dell’Ucraina libera, per gli armeni, per le donne iraniane tenute in condizione di minorità dal regime pretesco degli ayatollah e, per quanto paradossale possa sembrare, per la libertà di culto del cristianesimo. Ecco perché, prendendo spunto da un’iconica frase che il presidente americano JF Kennedy pronunciò a Berlino Ovest il 26 giugno del 1963, in questi giorni dovremmo tutti gridare “Ich bin Israeli”. E, invece, c’è chi in queste ore sta manifestando a Milano e in altri Paesi occidentali in sostegno dei macellai di Hamas che sono i veri nemici del popolo palestinese. Immaginiamo sia inutile dirvi qual è  la collocazione politica di costoro, alcuni dei quali (come quel  Patrick Zaki di cui avevamo con piacere perso le tracce) pensano di potersi guadagnare la candidatura al Parlamento Europeo mestando nel sangue degli ebrei e dei palestinesi.

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