Adesso, per poter costruire un partito che sappia “stare a tavola”, che viva di programmi e di obiettivi, che sia affidabile per la gestione del governo nazionale e nei consessi internazionali, bisogna che la Lega si liberi, al più presto, del suo inconcludente agitatore da osteria padana che, già pochi mesi fa, aveva portato nella delicata e soffusa trattativa per eleggere il capo dello Stato lo stesso stile di un vaccaro del mercato boario
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Pur ritendendolo uno dei più grandi giornalisti del Novecento, non abbiamo mai simpatizzato per Eugenio Scalfari a causa del suo essere di parte e col vizietto – lui ex collaboratore di riviste fasciste – di somministrare pillole di morale agli altri. Oggi, sebbene a distanza di qualche annetto, dobbiamo ammettere che il fondatore de la Repubblica aveva ragione quando, durante il governo gialloverde, definì “Ministro del tweet” l’allora reggitore degli Interni, Matteo Salvini.
Sì, in effetti il segretario della Lega ha la propensione a ridurre immani, annose, questioni politiche e sociali ai minimi termini per poi ridurle ulteriormente in un tweet. Insomma il nostro uomo, nel trattare le questioni italiane, si comporta come un lettore che avendo letto soltanto il titolo e il sottotitolo di un articolo, si dichiari poi un esperto del problema trattato. Beninteso che il segretario della Lega non è il solo politico che ha questo tipo di approccio con le questioni serie, anche se lui tale metodo lo ha portato a sublimi altezze.
Purtroppo, noi amministrati non siamo migliori di coloro che fingono di amministrarci, perché sono secoli che continuiamo a innamorarci di tragici demiurghi e dei loro slogan. Ve ne scodelliamo soltanto alcuni: “Il socialismo è il sole dell’avvenire – Il duce ha sempre ragione – L’Esercito scuola della nazione – Chi si ferma è perduto – Credere, obbedire, combattere – Vinceremo! – Lavorare meno, lavorare tutti – Creerò un milione di posti di lavoro – Farò dell’Italia un Paese normale – L’Euro sarà la nostra ricchezza – L’Italia riparte – Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Peraltro, tutti questi slogan hanno avuto un destino comune: nessuno di essi ha mai prodotto nulla di buono per gli italiani!
Eppure, invece di lasciarsi ammaestrare dagli insegnamenti della storia, Salvini ha scelto di proseguire sulla strada dell’esibizione dei rosari, delle madonne, delle parole d’ordine e di slogan, servendosi di un mezzo che è perfetto per concentrare il nulla in poche parole, il tweet appunto. Bisogna dire che, fino a un certo punto, il metodo ha funzionato perché, per un popolo civicamente immaturo quale noi italiani siamo, questo tipo di comunicazione superficiale era l’ideale: ci dava l’illusione di fare esercizi civici non con approfonditi studi, con arricchenti discussioni o con ponderate analisi politiche, ma semplicemente con un “clic” sulla tastiera del computer o dello smartphone.
Sennonché sono sopraggiunte due guerre a scuotere questo circuito perverso: la pandemia da Covid-19 e l’aggressione militare russa all’Ucraina. Ma per vincere le guerre ci vogliono condottieri capaci e allora, dopo i disastri combinati da Giuseppe Conte, il presidente della Repubblica, con una procedura magari necessaria ma non proprio ortodossa, ha imposto al Parlamento Mario Draghi quale premier.
Nella circostanza, con una decisione a sorpresa, Salvini ha fatto un’altra delle sue giravolte, stavolta in versione “governista” dopo il suicidio del Papeete, decidendo di appoggiare l’esecutivo Draghi, salvo minacciare almeno una volta al giorno di farlo cadere.
Ma è sulla guerra in Ucraina portatavi dagli aggressori russi, che il segretario della Lega ha reso il meglio della pericolosa confusione che ha in testa, pericolosa perfino per il Paese. Proprio lui, che avrebbe voluto armare perfino i benzinai per potersi difendere dalle rapine, adesso ha da ridire sul fatto che, con l’aiuto del nostro Paese, della Nato e dell’Unione europea, l’Ucraina stia tentando di fare la medesima cosa e, anzi, si è addirittura offerto di andare a Mosca per trattare col suo amico Vladimiro Putin, cioè con l’aggressore, ponendosi in un solo colpo contro l’azione del governo che appoggia e di due alleanze sovrannazionali delle quali facciamo parte: chapeau!
Ma il segretario della Lega le cazzate non le fa mai una alla volta. Infatti, nonostante nel 2021 avesse scelto di raccogliere le firme per appoggiare i cinque referendum sulla giustizia promossi dai radicali, poi – come tutte le persone pronte ad abbracciare ogni causa senza amarne nessuna – ha dimenticato che bisognava mobilitare il partito su tutto il territorio nazionale per portare la gente a votare, salvo ricordarsene una settimana prima del voto.
Sicché, assieme ai media, che dalle soffiate di certe Procure dipendono per i loro cosiddetti scoop, alla Rai e a quei partiti che alla Magistratura faziosa devono il fatto di governare anche quando non vincono le elezioni, Salvini è stato uno dei colpevoli del mancato raggiungimento del quorum referendario e non crediamo che, domani, allo spoglio delle schede delle amministrative per la Lega andrà meglio seppure nell’ambito di una buona affermazione del Centrodestra. Potrebbe anche capitare che FdI superi la Lega anche al Nord! Ma, a nostro avviso, un contributo forte alla sconfessione dell’operato di Salvini lo ha dato la sua performance filo-Putin. Insomma, la malmessa barca del “capitano” ha finito per inabissarsi nel fiume Moscova e non ci sarà tweet capace di riportarla in galleggiamento. E pensare che, appena tre anni fa, alle elezioni europee la Lega aveva preso il 34,3% dei consensi di quell’Italia moderata che, dopo la lenta, progressiva evaporazione di Forza Italia, stava cercando un nuovo e più sicuro approdo.
E adesso?
Adesso, per poter costruire un partito che sappia “stare a tavola”, che viva di programmi e di obiettivi, che sia affidabile per la gestione del governo nazionale e nei consessi internazionali, bisogna che la Lega si liberi, al più presto, del suo inconcludente agitatore da osteria padana che aveva, già pochi mesi fa, portato nella delicata, soffusa trattativa per eleggere il capo dello Stato lo stesso stile di un vaccaro del mercato boario.
Conclusione: a via Bellerio devono sbrigarsi perché il sistema politico italiano nel nuovo dopoguerra del XXI secolo dovrà incentrarsi sul bipolarismo – conservatori contro progressisti – se vorrà essere solido abbastanza da poter contrastare, assieme agli altri Paesi della Nato, la vera vincitrice della guerra in corso, la Cina. E questo obiettivo richiederà certamente la presenza di un partito a forte connotazione identitaria come la Lega.
Ma è la Lega a non aver bisogno di Salvini. Anzi.
(Copertina di Laura Zaroli)
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