Le operazioni militari in Ucraina non stanno andando come aveva previsto l’uomo del Cremlino: nessuna città importante è stata ancora pienamente presa, come pure nessun porto importante escluso un paio di aeroporti. Sicché le truppe russe si ritrovano ad assediare le grandi città dove – ed è questa la principale ragione della loro lentezza – hanno timore ad entrare perché sanno che farebbero la fine dei topi, con molotov e cecchini in ogni palazzo, dietro ogni finestra
– dalla Lituania Silvio Cortina –
Il 30 novembre del 1940 l’Unione sovietica, dopo che le sue assurde pretese territoriali su alcune zone di confine con la Finlandia furono respinte, attaccò a tradimento il piccolo Paese scandinavo che all’epoca aveva poco più di tre milioni di abitanti. Possedendo sulla carta una schiacciante superiorità numerica nelle fanterie e assoluta supremazia delle forze corazzate e aviazione, i sovietici pensarono che avrebbero fatto una passeggiata. Infatti, in proposito così scrisse l’ex segretario del Partico comunista dell’Unione sovietica (Pcus) Nikita Chruščëv nelle sue memorie: «Tutto ciò che avevamo da fare era alzare appena un po’ la nostra voce e i finlandesi avrebbero obbedito. Se ciò non avesse funzionato, ci sarebbe bastato sparare un colpo e i finlandesi avrebbero alzato in alto le mani e si sarebbero arresi. O almeno così noi credevamo […] Nessuno di noi pensava che ci sarebbe stata la guerra. Eravamo sicuri che i finlandesi avrebbero accettato le nostre richieste senza costringerci alla guerra […] Ci si potrebbe chiedere se avevamo qualche diritto legale o morale per le nostre azioni contro la Finlandia. Di certo non avevamo alcun diritto legale. Per quanto riguarda la moralità, il nostro desiderio di proteggere noi stessi era una sufficiente giustificazione ai nostri occhi».
La passeggiata si rivelò, invece, un massacro perché i russi invasori furono fermati su tutti i fronti di attacco, con intere divisioni annientate e altre poste in fuga. Nel mese di dicembre del 1940 l’esercito finlandese che era guidato dal generale Mannerheim, passò addirittura alla controffensiva e i russi furono costretti a sospendere le operazioni per tutto gennaio, facendo affluire nel frattempo un’enorme quantità di truppe, artiglieria e di carri armati.
A febbraio ripresero l’offensiva ma ci volle ancora un mese e mezzo, fino al 13 marzo successivo, per piegare la resistenza finlandese. La vittoria costò ai russi 150.000 morti, 250.000 feriti e 1.800 carri armati distrutti. Quella volta L’Europa non poté fare nulla per i finlandesi in quanto era in corso la guerra contro la Germania nazista, anche se s’ipotizzò un intervento inglese attraverso la Norvegia, che poi per ragioni logistiche e politiche non si concretizzò.
Pensiamo che Vladimir Putin abbia fatto più o meno lo stesso ragionamento della buonanima di Chruščëv: pensava che sarebbe bastato alzare la voce e tutti gli ucraini si sarebbero impauriti. Meno che mai si sarebbe aspettato che l’Unione europea arrivasse ad approvare l’erogazione di fondi per l’acquisto di armi da inviare ai combattenti ucraini, contrariamente a quanto accadde nel 1940.
Comunque, sembra proprio che l’esercito russo sia diventato l’ombra di quello che era una volta l’Armata rossa perché si ha l’impressione che, invece di un’operazione militare, sia stata preparata una gitarella fuori porta e pure improvvisata, con mezzi corazzati che rimangono senza benzina, col dubbio che siano gli stessi soldati a vuotare i serbatoi per evitare i combattimenti, soldati affamati che prendono i viveri in negozi ucraini, coscritti a cui era stato fatto credere che erano ancora in esercitazione. Tutti segnali di una faciloneria indotta dalla presunzione di una vittoria rapida e facile. Evidentemente neppure Vladimir Putin è più lo stesso. Infatti, il lungo periodo al potere lo ha cambiato in peggio, come spesso succede, o il Covid ha avuto effetti postumi disastrosi sulla sua mente.
D’altronde, vedere come umilia in pubblico i suoi collaboratori più stretti, tipo il capo dei servizi segreti e i generali, è impressionante, non sembra più neppure il tiranno omerico, capo insindacabile e indiscutibile, ma soltanto un cupo dittatore. Ma non tutti i suoi uomini sono con lui. In questo senso sono assordanti il silenzio del ministro degli esteri Sergej Lavrov e le perplessità dal capo dei servizi segreti russi.
Di tutti gli argomenti addotti da Vladimir Putin per giustificare la sua aggressione, non ne sta in piedi nemmeno uno, perché l’ingresso dell’Ucraina nella Nato era stato formalmente escluso in conferenza stampa mondiale e le armi nucleari ucraine puzzano lontano un miglio come le armi chimiche mai esistite di Saddam Hussein. E, poi, la regione separatista russofona del Donbass non era affatto nella morsa dell’oppressione ucraina. A dimostrazione che non erano questi i motivi dell’invasione, basta sentire il discorso fatto da Vladimir Putin ai russi l’ultimo dell’anno del 2021: un invito alla prosperità, ai giovani a sposarsi e a fare figli, alle famiglie a volersi bene. Dal che si deduce che le motivazioni erano altre, altrimenti li avrebbe menzionati per cominciare a preparare il suo Paese alla guerra. Quindi, l’idea gli è venuta certamente dopo, forse durante il concentramento di truppe per l’esercitazione. Purtroppo per lui, la maskirovka (inganno militare) in questi tempi di satelliti anche sul comignolo del camino di casa nostra non funziona, e gli Usa hanno scoperto le sue carte abbastanza per tempo grazie a droni e satelliti, ma lui ha continuato a negare che avrebbe attaccato, accusando gli americani d’isteria. Ed è andato avanti, vuoi per impreparazione militare, vuoi perché sperava che quel 25% di popolazione di origini russe che vive in Ucraina insorgesse a suo favore e che l’Ucraina crollasse come un castello di carta.
Evidentemente le operazioni non stanno andando come previsto: nessuna città importante è stata presa, come nessun porto importante, giusto un paio di aeroporti. Sicché le truppe russe si ritrovano ad assediare le grandi città dove hanno timore a entrare perché sanno che farebbero la fine dei topi, con molotov e cecchini in ogni palazzo, dietro ogni finestra. Il tempo lavora contro di lui perché una catena logistica lunga e linee di comunicazione vulnerabili alla guerriglia in un Paese così vasto, provocheranno carenze logistiche sempre più gravi con l’aggravante per lui che gli aiuti militari dei Paesi Ue e della Nato arriveranno prima.
Ed ecco che in mancanza di una vittoria veloce Vladimir Putin è stato costretto a chiedere trattative di pace, tutt’ora in corso. Speriamo che questo serva di lezione ai pacifisti “de noantri” che per tutti questi anni hanno tagliato le spese militari pensando che ormai non ci fossero più minacce: la guerra è una brutta faccenda, da evitarsi ad ogni costo, la Nato e l’Ue non sono una meraviglia, ma vivere in schiavitù di un pazzo criminale è molto peggio.
Credetemi, ve lo dice uno che per conto dell’Onu o della Nato si è trovato spesso a essere, assieme a tanti altri colleghi di altri Paesi, l’unico schermo tra la libertà e la dittatura di interi popoli.
(Copertina di Donato Tesauro)
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