Uno dei polmoni verdi cittadini negli ultimi tempi è stato un po’ trascurato. Lo si capisce dai cestini porta rifiuti divelti e non sempre svuotati con tempestività, dagli alberi potati male o non potati affatto, dalle canne infestanti e non ancora estirpate, dalle biciclette scorrazzanti nei vialetti e dai cani portati a defecare sui prati, dove poi si rotoleranno per giocare i nostri bambini. E tutto questo nonostante i divieti posti in bella vista all’entrata e dentro il parco di Gallarate. Forse ci vorrebbe la presenza di un vigile urbano ogni tanto per far rispettare almeno le elementari regole igieniche
– Enzo Ciaraffa –
Credo che in questi mesi di dramma sanitario globale e del relativo bombardamento mediatico, anche i più piccoli, i bambini in età prescolare, abbiano capito che intorno a loro sta accadendo qualcosa di non ben decifrabile ma devastante. Lo hanno capito, non tanto dalle mascherine che tutti portiamo incollate sul viso, ma dall’incupimento dello stato emotivo dei loro genitori, un incupimento del quale essi si sentono in qualche modo responsabili perché pensano che stia avvenendo per colpa loro, perché hanno fatto “i cattivi”. E così, al vago senso del pericolo incombente, della morte perfino, nei nostri bambini è andato ad assommarsi il senso di colpa, come dire concetti lontani dalla loro comprensione fino a qualche anno fa e oggi, invece, ben presente perfino nei loro giochi.
Al mattino presto, facendo attività fisica, consentita nel parco Bassetti di Gallarate, mi è capitato d’incocciare in molte cose, soprattutto in manufatti di giochi infantili lasciati lì da qualche giorno. Si trattava di giochi semplici, costruiti con i cocci delle tegole del muro di cinta e con mazzettini di erba da bambini che, probabilmente, non avranno più di quattro o cinque anni di età.
Ebbene, fermandomi ad ammirare quei piccoli capolavori della creatività infantile, non ho avuto la sensazione di trovarmi al cospetto di un gioco ingenuo e spensierato, come di solito sono i giochi dei piccolini, perché quelli che avevo sotto gli occhi somigliavano dannatamente a dei tumuli funerari, a delle tombe. Poveretti – ho subito pensato – perché mi meraviglio? È da un anno che la loro vita sta girando al ritmo della morte, la cui orchestra è voluttuosamente diretta da media e talk show! È un anno, poi, che li stiamo tenendo lontani dalla scuola, dai loro amichetti e perfino dai nonni; è un anno che essi non stanno giocando più all’aperto; è un anno che li teniamo lontani da amici e parenti. Ed è, infine, un anno che, mentre siamo a tavola assieme a loro, i tiggì ci costringono a fare la triste conta dei morti da coronavirus. In altre parole, la loro percezione esistenziale è stata stravolta dalla comunicazione pandemica.
Una conclusione esagerata? Può darsi, non sono un esperto di psicologia infantile e, tuttavia, sono tanto vecchio, tante volte padre e tante volte nonno da riuscire a capire i segnali provenienti da un’area della vita che, soltanto apparentemente, potrebbe sembrare lontana anni-luce dalla mia. In realtà, noi vecchi, ritorniamo – almeno un po’ – alla stessa dimensione dei bambini e perciò siamo certamente in grado di compenetrare agevolmente il loro mondo emotivo da “coetanei funzionali”. Sicché, mai come in questo periodo, dobbiamo sforzarci di capire i segnali che ci lanciano i ragazzi, i nostri bambini, per poterli supportare emotivamente con le nostre certezze di adulti e, laddove non ve ne siano, bisogna perlomeno riuscire a dare un senso al difficile momento che essi stanno attraversando, sennò a che cosa serviranno tutti futuri i progetti di Next Generation?
Ma il senso di tutto il problema, cioè il mondo materiale ed esistenziale nel quale i nostri ragazzi non dovrebbero vivere, era anche intorno a me: parco un po’ trascurato, cestini porta rifiuti divelti e non sempre svuotati con la necessaria tempestività, alberi potati male o non potati affatto, canne infestanti non ancora estirpate, biciclette scorrazzanti nei vialetti e cani portati a defecare sui prati dove poi si rotoleranno per giocare i nostri bambini. E tutto questo nonostante i divieti posti in bella vista all’entrata e dentro il parco di Gallarate. Forse ci vorrebbe la presenza di un Vigile Urbano ogni tanto per far rispettare le regole?
Si, perché se i piccolini si limitano a giocare quando si recano al parco con i genitori, gli adolescenti osservano e giudicano. Basta leggere cosa, alcuni di loro, hanno lasciato scritto col pennarello rosso su di un ciottolo: «La terra è la nostra casa, teniamola pulita».
Che poi è proprio questa la prima cura per la buona esistenza di grandi e piccini nell’era del coronavirus.
Potrebbe interessarti anche È pericoloso Vladimiro o l’ansia da prestazione di Sleepy Joe?