Il male oscuro degli adolescenti della provincia italiana

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Buon reddito, asili nido che aprono alle sette del mattino, scuole primarie a tempo pieno, palestre, oratori efficienti, ricchi ed organizzati che si prendono cura dei ragazzi, le diverse tipologie di campus estivi. Si direbbe un modello di società perfetto se non fosse per due semplici domande: dove si colloca la famiglia in questo circuito apparentemente virtuoso? In chi si riconoscono i ragazzi allevati in una sorta di multinazionale della crescita?
– Enzo Ciaraffa –

Riguardo a ciò che sta accadendo nell’universo adolescenziale e giovanile, senza avere la pretesa di voler fare un’analisi sociologica, né fare come Totò che si riteneva un uomo di vasta esperienza soltanto perché aveva avuto come amico un tizio che aveva fatto il soldato a Cuneo, posso affermare che, avendo lavorato con giovani meno che ventenni per quasi mezzo secolo, presumo di avere una discreta conoscenza dei loro problemi.

A tal proposito mi sento pervadere ancora di doloroso stupore al ricordo di quando un mio soldato, un alpino delle nostre valli, venne nel mio ufficio di comandante di compagnia per parlarmi in privato di quello che per lui era diventata una tragedia interiore: «Mia madre è un’adultera». Disse proprio così! Per farla breve, era successo che, avendo colto in flagrante la madre con un altro uomo, il ragazzo era combattuto tra il desiderio di punirla per averli traditi, lui e il padre, e il terrore di mandare gambe all’aria la famiglia. Lui, il “ragazzo”.

Non so che cosa ne sia stato di quel giovane e della sua famiglia dopo che si congedò e gli auguro tutto il bene del mondo, ma ricordo che un paio di volte dopo quella sofferta confessione nel mio ufficio, dovettero accompagnarlo in infermeria perché rientrato ubriaco dalla libera uscita, lui che non aveva mai bevuto. Molti anni sono passati da allora e nel frattempo mi sono trasferito nella provincia di Varese che, ahinoi, è diventata un po’ il paradigma del male oscuro che sta consumando gli adolescenti e i giovani italiani.

Il 5 gennaio del 1987, la studentessa ventenne Lidia Macchi fu violentata e uccisa da uno studente, suo amico e coetaneo, in un bosco di Cittiglio, in provincia di Varese. L’omicida peraltro è stato scoperto circa trent’anni dopo.

Le bestie di Satana era una setta di giovani assassini seriali che dal 1998 al 2004, operando nella zona tra Somma Lombardo, Dairago, Busto Arsizio e Golasecca, uccise quattro persone allo scopo di farne dono al principe delle tenebre.

Suor Maria Laura Mainetti da Chiavenna, la sera del 6 giugno del 2000, fu attirata in un tranello da tre ragazze che lei stessa seguiva nella sua opera missionaria a favore dei giovani, le quali la massacrarono di coltellate per offrirla, anch’esse, in sacrificio a Satana.

Lo scorso 9 novembre quattro adolescenti di Varese, in un garage, per spiccioli affari di droga – già alla loro età! – hanno torturato per molte ore un loro coetaneo. Il più grande dei torturatori aveva soltanto quindici anni.

Giorni dopo, esattamente il 20 novembre, alle Canarie dove si era recato assieme ad una complice, un culturista di Busto Arsizio ha sfregiato con l’acido l’ex fidanzata venticinquenne perché questa lo aveva lasciato.

Dopo solo cinque casi di aberranti violenze accadute in tempi relativamente brevi in Lombardia, di cui quattro solo nel Varesotto, ritengo non si possa ragionevolmente sostenere che il nichilismo violento stia impadronendosi dell’animo di tutti i giovani e gli adolescenti, anche se nella nostra provincia un tale deterioramento interiore sta avvenendo più velocemente che in altre parti d’Italia. Ed è certamente strano che episodi del genere non siano accaduti in una zona disagiata, o socialmente degradata, ma in una delle più organizzate, efficienti e ricche provincie italiane la quale, secondo una graduatoria redatta dall’Università La Sapienza, si trova la 31° posto su 107 province italiane per qualità di vita.

Male oscuro giovanile e provincia ricca ed efficiente… sembra un ossimoro, eppure le tre cose sono più legate di quanto si pensi, anzi sono uno l’effetto collaterale delle altre. Mi spiego meglio. Per arrivare ai livelli produttivi e di benessere attuali, per continuare a mantenere alto il proprio trend esistenziale, il Varesotto (che, ripeto, prendo soltanto come esempio) ha dovuto creare negli anni una cornice sociale che consentisse ad ambedue i coniugi di lavorare. E parlo di asili nido che aprono alle sette del mattino, di scuole primarie a tempo pieno, di palestre, di oratori efficienti, ricchi ed organizzati che si prendono cura dei ragazzi, le diverse tipologie di campus estivi. Si direbbe un modello di società perfetto se non fosse per due semplici domande: dove si colloca la famiglia classica in questo circuito virtuoso? In chi si riconoscono i figli allevati da una sorta di multinazionale della crescita?

Ebbene, perché allevati da una siffatta multinazionale, bombardati come sono da stimoli violenti perfino alla mensa scolastica, credo che questi ragazzi alla fine non si riconoscano più in niente perché del tutto privi, ormai, di punti di riferimento. Allora il senso d’impunità del branco va a sostituire l’amicizia, le emozioni, i sentimenti e la famiglia divengono entità sempre più distanti e meno interagenti, quando non addirittura dei disvalori a causa della loro latitanza. È come se, dentro e fuori casa, i nostri ragazzi camminassero su di un terreno friabile del tutto privo di quelle radici valoriali che un tempo nascevano e si coltivavano in famiglia, come anche sta avvenendo nelle istituzioni, nelle loro diverse espressioni, e nella scuola.

Insomma i nostri ragazzi incominciano a sentirsi insignificanti, trascurati e pressoché invisibili ad una società sempre più litigiosa e distante da loro, ad una famiglia assente, ad una scuola che ha smarrito la vocazione di formare. E allora per ritornare visibili, per sentirsi forti e decisivi, ma anche per suonare la diana della sveglia a chi dovrebbe prendersi cura di loro soprattutto sul piano affettivo, non trovano di meglio che esibire una violenza comportamentale, una trasgressione che in fondo non è la loro vera natura o, come lo sfregiatore di Busto Arsizio, legarsi morbosamente a quelle poche persone che, per un lasso di tempo breve, eppure meraviglioso, li hanno fatti sentire amati.

Che cosa fare adesso per recuperare alla normalità questa sfortunata generazione di ragazzi è un problema la cui soluzione è, ancora una volta, nelle mani di quella che, almeno fino a questo momento, si è rivelata la cinquina più fallimentare nella storia dell’umanità, dai primordi ad oggi: famiglia – Chiesa – politica – scuola – Stato.

E che nessuno pensi di potersi tirar fuori perché non si sente compreso nella cinquina, perché la famiglia, la Chiesa, la politica, la scuola e lo Stato siamo noi, tutti noi, ognuno di noi.