Il Grande Fratello che non esiste

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Non si capisce come, da più parti evocato, quel vecchio arnese del Kgb di Putin potrebbe inquinare le notizie che ci riguardano meglio e più di quanto già non facciamo noi stessi

Il responsabile della sicurezza di Facebook, Alex Stamos, ha recentemente dichiarato: «Facebook ha rilevato una serie di spese sospette effettuate da una rete di pagine e profili fasulli per fare propaganda e interferire indirettamente nelle elezioni

presidenziali statunitensi del 2016. Questi account erano riconducibili all’Agenzia per la ricerca su Internet, un’organizzazione che ha stretti legami con il Governo russo ed è nota per le sue campagne online e le attività dei suoi troll […]. La nostra analisi indica che questi profili e pagine erano collegati tra loro e probabilmente gestiti fuori dalla Russia».

Si è guardato bene dal dire, però, che quelle inserzioni pubblicitarie non contenevano nessun tipo di riferimento alle elezioni presidenziali americane, tanto meno invitavano qualcuno a votare per Donald Trump o per Hillary Clinton. Gli annunci contenevano, assicurano sempre da Facebook, soltanto notizie e commenti controversi o falsi per alimentare discussioni e polemiche su temi molto sentiti, come per esempio i diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, e il proliferare delle armi.

Se le cose stanno realmente così, scusate, ma l’offensiva dei cyber-attacchi cosacchi, la grande operazione di turbativa del Social network posta in essere dalla Russia dov’è? Queste stesse, identiche cose non le fanno anche i media occidentali? Non è forse in Italia che si sta montando ad arte il pericolo delle fake news in modo da porre sotto il controllo della politica la libertà di pensiero? Tra l’altro, si occupa di fake news una classe politica che ce ne propina in quantità industriali. A tal proposito facciamo un esempio a noi molto vicino. Dopo che nei giorni scorsi, a Como, un gruppetto di naziskin aveva fatto un’irruzione – bravata in un centro di migranti, la Sinistra ha organizzato una manifestazione antifascista nella città lariana, cui ha partecipato financo la terza carica dello Stato, la presidente della Camera Laura Boldrini. Pare che gli intervenuti alla manifestazione fossero 10.000, un numero sul quale, però, bisogna fare la tara perché fornito dagli stessi organizzatori. Ma, quand’anche fosse vero, analizziamolo questo numero e vediamo dove si annida la distorsione della verità.

Ebbene, gli abitanti di Como sono oltre 85.000 con l’aggiunta di 12.000 immigrati residenti, dei quali almeno la metà avrà partecipato alla manifestazione perché direttamente coinvolta. Se a questo numero aggiungiamo anche un migliaio di persone arrivate da fuori perché, come d’uso, mobilitate dalla Sinistra, vuol dire che il giorno 9 dicembre a Como c’erano si è no 3.000 partecipanti indigeni alla manifestazione antifascista. Ciò significa che i comaschi sono fascisti? No, significa che è solida, disincantata gente di frontiera, che non si fida più delle strumentalizzazioni della politica nostrana. Dunque, non vedo come quel vecchio arnese del Kgb di Putin potrebbe inquinare le notizie che ci riguardano meglio e più di quanto già non facciamo noi stessi. Il discorso si potrebbe chiudere qui sennonché il direttore di Rmf Radio Missione Francescana mi ha chiesto se, secondo me, in occasione delle prossime elezioni italiane ci dovremo aspettare dei cyber-attacchi russi con lo scopo di creare caos e, così, indebolire la Nato. Indebolirla?  Essa è già debole di suo, trattandosi di un residuato della “guerra fredda”. Inoltre, l’Unione Europea prima o poi dovrà dotarsi di un esercito, e siccome quasi tutti i Paesi comunitari fanno parte anche della Nato, essi non vorranno svenarsi due volte per fornire uomini e risorse a due eserciti intra-nazionali. In questo modo si è venuta a determinare una perfetta situazione di stallo: non nasce l’esercito europeo e non si ridefinisce la Nato! E non bisogna essere per forza Carl von Clausewitz per capire quanto ciò sia pericoloso per un’alleanza militare multinazionale che fonda sull’armonizzazione dei diversi sistemi di difesa. Peraltro, della Nato fanno parte da poco anche Paesi appartenenti al defunto Patto di Varsavia capeggiato dalla Russia sovietica, come Polonia, Cechia, Ungheria, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania e Romania. È mia opinione che se Putin volesse indebolire la Nato tenterebbe di manipolare l’informazione informatica di uno di questi Paesi di cui i servizi russi conoscono molto bene procedure, tradizioni e cultura. Non certo quelli italiani.

La verità è che il “sistema di potere” (come dire media, finanza, politica, Chiesa) non può ammettere di essersi fatto sfuggire di mano le dinamiche che regolano la vita della gente comune. Ormai non ne comprende più pensieri e desideri, perciò inclina ad attribuire al grande fratello russo défaillances che sono proprie del sistema. Ricordate le certezze sull’esito della Brexit e sull’elezione di Hillary Clinton alla Casa Bianca? È stata la gente comune a frantumare tali certezze, non certo il nuovo zar di Mosca. Quella gente che non si sente più ascoltata dal potere centrale.

D’altronde le uniche violazioni avvenute con nome e cognome di hacker operanti in Italia risalgono all’anno scorso e riguardano due sprovveduti fratelli della Roma bene, Francesca e Giulio Occhionegro. Questi finirono in galera perché, servendosi del dominio Eyepyramid.com – cosa che non avrebbe fatto neppure un badilante dell’informatica – avrebbero violato alcuni sistemi informatici di personaggi politici nostrani. La notizia perse, però, di ogni attendibilità quando si appurò il nome degli spiati: Piero Fassino, Paolo Bonaiuti, Mario Canzio, Vincenzo Fortunato, Ignazio La Russa e Fabrizio Cicchitto. Immaginiamo che i lettori di Rmf più giovani a questo punto si staranno domandando poco “manzonianamente”: «Ma chi accidenti sono costoro?».

Se questa è la caratura dei politici, non credo che Putin impegnerebbe un solo rublo per assoldare degli hacker che manomettano i nostri sistemi informatici e complicare, così, il responso delle urne.  Anche perché a questo ci ha pensato il Parlamento italiano con la nuova legge elettorale.