Se le prospettive politiche osservate da centrodestra non lasciano ben sperare per il dopo elezioni, la situazione sbirciata da centrosinistra è anche più nera perché, dopo la semi-implosione del M5S, al segretario del Pd, Letta, non è rimasto altro che mettere insieme quello che lui stesso ha definito “campo largo”, anzi larghissimo, così tanto che non si capisce quali siano i suoi confini programmatici avendo infilato dentro tutto e il contrario di tutto e dal quale, peraltro, si è già sfilato Calenda
– Enzo Ciaraffa –
Il quadro geo-politico-militare globale si è fatto, a voler essere un po’ ottimisti, preoccupante: l’inquinamento della terra e dell’atmosfera, combinato allo stabilizzarsi di un ciclo climatico torrido, non lascia prevedere nulla di buono per la sopravvivenza di miliardi di persone e, per continuare con la geremiade, rileviamo che la scelta dei cittadini del mondo nel selezionare la classe dirigente che tali problemi dovrà fronteggiare è piuttosto malfatta. Infatti, essa si riduce ai modelli ispirati dal terzetto Biden, Xi Jinping e Putin, come dire (per quanto attiene al primo) a uno schematico e rincoglionito presidente che intende la democrazia come un randello, e a due (Xi Jimping e Putin) malvagi dittatori col pelo sullo stomaco. Ma se la situazione globale è preoccupante, quella italiana è tragica, perché non abbiamo né un modello nostro da seguire, né una classe politica e dirigente capace di gestirne uno. La riprova è nel fatto che tutte le volte in cui l’Italia si trova alle prese con una crisi sistemica, il presidente della Repubblica, forzando inverecondamente le sue prerogative, chiama un “tecnico” a fronteggiarla, scelto fuori dalla politica, mentre la maggioranza di un Parlamento di beoti applaude entusiasticamente alle sue scelte, non capendo di stare a un duplice funerale, sia quello del Parlamento che della democrazia.
Il quadro più recente di questo stato di cose è stata la nomina (di Mattarella e non del Parlamento!) di Draghi alla guida del governo, in uno dei momenti più difficili della sua storia, dovendo fare i conti, quasi simultaneamente, con due guerre: la pandemia e l’attacco russo all’Ucraina.
Difatti, a noi liberali di vecchio stampo procurano l’orticaria gli economisti alla guida di un Paese perché – in quanto liberali – siamo ben consapevoli dei guasti che essi possono produrre, stante la loro tendenza a scambiare i bilanci di governo per dei rendiconti aziendali che non tengono minimamente conto delle possibili variabili sociali dell’Azienda-Paese. L’esempio più eclatante di questo perverso modo di concepire i bilanci politici è stata la distruzione della Sanità pubblica, a partire da un altro super Mario giunto alla guida del governo nel 2011: Monti.
Eppure, nonostante le nostre riserve sugli economisti al governo, per onestà intellettuale dobbiamo dire che il “giudizio operativo” sul governo di Draghi è complessivamente positivo perché, nonostante la litigiosità dell’accozzaglia che lo sosteneva, è riuscito a fare molte delle cose che andavano urgentemente fatte. Ne citiamo soltanto tre: l’organizzazione della lotta alla pandemia, il Pnrr e le sanzioni alla Federazione russa per raffrenare l’aggressività di Putin.
Poi il M5S contiano, col fiancheggiamento esterno di Fratelli d’Italia, della Lega e di Forza Italia, ha deciso che l’ex presidente della Bce doveva andare a casa. Ciò mentre la tenuta sociale del Paese è a rischio per l’agglomerarsi di problemi quali l’inflazione, l’aumento del costo della vita, l’esplosione delle bollette di luce, gas e acqua e il mancato adeguamento degli stipendi.
In una situazione del genere si sarebbe portati a pensare che coloro i quali hanno fatto cadere il governo Draghi vogliono in qualche maniera richiamarlo in vita, oppure hanno in tasca un piano B. Invece, si agita sulla scena politica una coalizione di centrodestra afflitta da un’endemica competitività tra big (Meloni – Salvini – Berlusconi) che, se dovesse davvero vincere le prossime elezioni, finirebbe col riproporre fatalmente le stesse rivalità e manie di protagonismo che hanno contrassegnato il primo governo di Giuseppe Conte, retto dall’alleanza Lega-Movimento Cinque Stelle.
Ma se il futuro del Paese traguardato da centrodestra non lascia ben sperare per il dopo elezioni, la situazione nell’ottica del centrosinistra è anche più nera perché, dopo la semi-implosione del M5S a guida Conte, al segretario del Pd, Letta, non è rimasto altro che mettere insieme quello che lui stesso ha definito un campo largo, anzi larghissimo, così tanto che non si capisce quali siano i suoi confini programmatici. E sì, perché al cospetto di quella che è oggettivamente un’accozzaglia elettorale, con dentro (almeno fino a qualche ora fa) Pd, Sinistra italiana, Verdi, Azione, Impegno civico e Più Europa, sarà abbastanza incredibile per il centrosinistra continuare a parlare di realizzo della “Agenda Draghi” avendo in seno Sinistra italiana che era contraria perfino alla nascita del governo di Draghi.
E, poi, come conciliare il programma di Azione con quello dei Verdi e di Sinistra italiana in fatto di infrastrutture, lavoro e giustizia, per citarne soltanto alcuni? O quello di Più Europa a fianco di Impegno civico di Luigi Di Maio che, appena cinque anni fa, l’Europa non la voleva affatto, tanto da proporre l’uscita dall’euro con un referendum una volta al governo? A questo punto il leader di Azione, Carlo Calenda, che non è proprio un fesso, ha mangiato la foglia e ha rotto l’accordo firmato poche ore prima col segretario del Pd, provocando un incontrollato orgasmo a Matteo Renzi che, così, vede più vicino l’auspicato terzo polo che potrebbe diventare l’ago della bilancia per la formazione del prossimo governo.
Nel frattempo anche Giuseppe Conte ha preso a sparare a palle incatenate sul segretario del Pd: povero Letta, sembra il Cimabue dei vecchi Caroselli televisivi, fa una cosa e ne sbaglia due.
E, d’altronde, era stato lo stesso Letta, dopo aver conchiuso l’inciucio con Verdi e Sinistra italiana, in conferenza stampa, a tagliare le palle alla sua coalizione un minuto dopo averla messa insieme: «Non sto parlando di un accordo di governo». Ma, allora, si sarà chiesto il narcisistico Calenda, di che sfaccimma di accordo stiamo parlando? Perché mi sono infilato in questo caravanserraglio degli incompatibili, dove, tra l’altro, conto quanto un qualsiasi Di Maio?
Non vorrei che, con tali prospettive politiche, il prossimo premier sia costretto ad imporlo ancora Sergio Mattarella.
O… Matteo Renzi, verso il quale, a questo punto, ci dobbiamo levare tanto di cappello.
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