Il cane non è un animale da appartamento e non dobbiamo lasciarci fuorviare dal convincimento che, giacché esso vive a contatto con l’uomo, le loro esigenze esistenziali siano sovrapponibili, poiché sia l’uno che l’altro amano vivere ognuno secondo la propria natura, l’uomo da uomo e l’animale da animale. Molte persone invece, per malinteso affetto o per rimosso egoismo, tendono ad “umanizzare” il migliore amico dell’uomo andando contro l’ordine naturale delle cose
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Stando a vari reperti fossili, già nel pleistocene superiore i cani vivevano in simbiosi con gli esseri umani: nell’era dalla glaciazione l’homo sapiens e il canis familiaris furono tra le specie che meglio si ad adattarono al cambiamento.
Sicché oggi i cani nel nostro Paese sono all’incirca sette milioni e, per quanto bisognevoli di vasti spazi, il più delle volte vivono in pochi metri legati a un corto guinzaglio, marchiati con un numero di matricola nell’orecchio, o nutriti con delle schifezze (definite “cibo bilanciato”), i quali spesso subiscono anche il supplizio della castrazione. Viene naturale a questo punto porre una domanda ai loro padroni: «Siete sicuri di conoscerli?».
Noi, in verità, riteniamo di no, stando a quanto scrisse sul nostro amico a quattro zampe Carl Nilsson Linnaeus, il naturalista svedese meglio conosciuto come Linneo: «Il cane mangia carne, animali morti, sostanze vegetali, farinacei. Digerisce le ossa; si purga rigettando dopo aver mangiato erba […] È docile, capace di cercare oggetti perduti, di fare la guardia, di annunciare l’arrivo dei forestieri, di badare al bestiame e ai campi, di proteggere buoi e pecore dalle fiere, di scovare la selvaggina, di strisciare, di portare la preda al cacciatore senza mangiarla…».
Ebbene, dalle parole di Linneo emerge un’inconfutabile verità: il cane non è un animale da appartamento! E non dobbiamo lasciarci fuorviare dal convincimento che, giacché esso vive a contatto con l’uomo, le loro esigenze esistenziali siano sovrapponibili, perché sia l’uno, sia l’altro, amano vivere ognuno secondo la propria natura, l’uomo da uomo e l’animale da animale.
Molte persone, per malinteso affetto o per rimosso egoismo, tendono, invece, ad umanizzarlo non capendo che così vanno contro l’ordine naturale delle cose. Alla fine, infatti, essi riescono a far solo danni perché un cane che d’inverno è costretto in appartamenti con una temperatura che si aggira intorno ai 23°, non è un cane amato ma, semmai, maltrattato perché il suo organismo è stato creato per farlo vivere all’aperto in ogni stagione. Pertanto, sballottolandolo tra un appartamento ben riscaldato e il parco gelato dove di solito lo si porta a fare la pipì, per lui ammalarsi di bronchite canina è soltanto questione di tempo.
E, poi, smettetela di portarlo in giro con addosso delle ridicole copertine, o con ciuffi di peli legati da variopinti nastri, o con un foulard al collo, facendone così dei fenomeni da baraccone, e non certo degli animali felici. A questo punto i casi sono due: o non sapete che il cane che possedete discende direttamente dall’astuzia del lupo, dall’adattabilità del coyote e dalla robustezza della iena, oppure lo sapete e, allora, dovete confessare che certe protezioni servono ai vostri esibizionismi, non certo a lui. E non pensate che egli sia stupido soltanto perché docile e soggiacente alle vostre discutibili attenzioni: lo fa soltanto perché vi ama.
La stupidità, d’altronde, è una prerogativa della razza umana, non del cane e a dirlo non siamo noi ma lo Zend Avesta, ovvero la raccolta delle sacre scritture della religione zoroastriana: «Il mondo si regge sull’intelligenza del cane».
Mica su quella nostra.