Dopo la fuga dell’America da Cuba, dal Vietnam del Sud e dall’Afghanistan, se per convenienza elettorale l’attuale Amministrazione dovesse in qualche modo abbandonare anche Israele, nessuno dei suoi alleati se ne fiderebbe più e incomincerebbe a strizzare l’occhio alla Russia e alla Cina, come dire a quelle che sono le peggiori autocrazie del globo
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Non regge la giustificazione con la quale, dopo la fine delle II Guerra Mondiale, gli Stati Uniti (e non soltanto loro) si auto-assolsero di fronte a chi li accusava di non essersi mossi già dal 1938 per salvare gli ebrei dalle grinfie di Hitler: “Non sapevamo”. Ebbene, se dovessimo prendere per buona questa giustificazione, dovremmo arrivare a concludere che della brutta situazione degli ebrei nella Germania nazista ne sapesse più l’attore Charlie Chaplin, il comico Charlot, che l’amministrazione americana dell’epoca. Infatti, il grande attore e regista nel film il “Grande dittatore” del 1940 descrisse esattamente le violenze che gli ebrei stavano subendo in Germania, ed era soltanto l’inizio delle persecuzioni. Ma quel tipo di sofferenza collettiva, di un popolo da secoli perseguitato, all’epoca non interessava granché gli americani, i quali con nuove politiche migratorie resero ancora più difficile l’entrata dei fuggitivi ebrei negli Usa. Ciò avvenne anche perché il cittadino comune degli States era per il 71% contro l’accoglimento degli ebrei (Fonte: American Institute of Public Opinion). Ma più o meno la stessa percentuale di americani rifiutò l’accoglienza degli ebrei scampati ai lager anche dopo la guerra.
Insomma, pur avendo appoggiato il progetto anglo-sionista di costruire un focolare nazionale ebraico in Palestina con il presidente Wilson nel 1917, gli Stati Uniti abbandonarono gli ebrei della shoah nelle mani dei nazisti, di Mussolini e della Francia di Vichy. In realtà, all’epoca il governo americano era talmente consapevole di ciò che stava accadendo che, quando ricevette i rapporti delle sue ambasciate sui piani dei nazisti di assassinare tutti gli ebrei nelle loro mani con la soluzione finale, li nascose all’opinione pubblica per non farsi distogliere da altri obiettivi… in fondo si trattava soltanto di sei milioni di esseri umani che stavano per sparire nelle camere a gas. Fu nel 1944, e non certo per motivi umanitari, che gli Stati Uniti crearono il Comitato per i rifugiati che fece da apripista alla realizzazione sul terreno del focolare nazionale ebraico, in pratica dello Stato d’Israele a venire, in modo da poter contrastare con l’unica democrazia presente nell’area la penetrazione comunista in Medioriente, anche se la definitiva spartizione delle aree d’influenza russe e americane avverrà l’anno dopo a Yalta.
Poi, molte cose sono accadute da quando gli ebrei, scampati alla shoah, nel 1948 riuscirono a edificare lo Stato d’Israele in Palestina in un clima d’inestinguibile odio perché i Paesi arabi circostanti, inventandosi una “questione palestinese” che certamente non sarebbe esistita se essi non avessero rubato (loro e non Israele) la terra ai palestinesi, imposero, tra alti e bassi, uno stato di guerra continua al giovane Stato d’Israele.
Poi v’è stata la strage dello scorso 7 ottobre perpetrata da Hamas contro donne, vecchi e bambini nei kibbutz a ridosso della striscia di Gaza, con atti orrendi che in Palestina non si vedevano dai tempi di Erode il Grande. Da quel momento Israele ha dovuto iniziare una lotta senza quartiere ai terroristi in una situazione operativa a dir poco insolita per una compagine militare moderna. E sì, perché da quando esistono le guerre organizzate gli eserciti regolari combattono in campo aperto e i civili si nascondono, mentre nel caso di Gaza sono i miliziani di Hamas che si nascondono sotto terra e i civili, comprese scuole e ospedali, fanno loro da scudo in superfice.
È inevitabile che, dovendo operare in questo tipo di contesto, l’esercito israeliano non riesca a evitare le vittime collaterali tra i civili. Ricordiamo i sette operatori umanitari dell’Ong World Central Kitchen eliminati da un drone qualche giorno fa perché scambiati per dei graduati di Hamas che, non è un mistero, si è insinuata anche negli organismi umanitari dell’Onu operanti nella striscia. Ma, dal 1948 a oggi il governo degli Stati Uniti non aveva mai fatto mancare il suo concreto appoggio ai governi israeliani, anzi possiamo dire che per settantasei anni essi sono stati lo scudo d’Israele anche presso l’Onu dove, col diritto di veto, hanno sempre bloccato le risoluzioni a essa sfavorevoli. Almeno fino a una quindicina di giorni fa.
Infatti, di fronte ai bombardamenti israeliani sulle basi di Hamas a Gaza, l’amministrazione americana ha prima invocato il diritto dell’alleato storico a difendersi, per poi astenersi sulla risoluzione dell’Onu sul cessate il fuoco che, se attuato, andrebbe a tutto vantaggio di Hamas. Sicché il presidente Biden ha, in questo momento, due questioni israelo-palestinesi aperte: una fuori dagli Stati Uniti, con l’Iran e i Paesi musulmani che la prima aizza contro Israele, e un’altra dentro il partito democratico che vorrebbe un maggiore coinvolgimento della Casa Bianca nel defenestramento del premier Netanyahu. Però, quest’ultimo che magari sarà anche un incapace senza la minima idea in testa di cosa dovrà essere la striscia di Gaza dopo Hamas, è stato democraticamente eletto dalla maggioranza del suo popolo. Come lo si manderebbe a casa senza fare un colpo di Stato?
Sì, perché Israele non è la Cuba di Fulgencio Batista, bensì un Paese democratico che sceglie i premier col voto. È vero, a volte certe scelte elettorali lasciano interdetti ma così va la democrazia, se n’è accorto in questi giorni perfino Erdogan che ha preso un sonoro mazziatone nelle amministrative turche. Non possiamo decidere noi terzi chi devono votare gli altri popoli per farsi governare, diversamente chiederemmo agli americani di non scegliere il prossimo inquilino della Casa Bianca tra un danaroso briccone e un anziano rincoglionito. Tra l’altro, dopo la loro fuga da Cuba, dal Vietnam del Sud e dall’Afghanistan, se gli americani dovessero abbandonare anche Israele nessuno dei loro attuali alleati, Ucraina in testa, se ne fiderebbe più, decretando così la maggiore “affidabilità” della copertura della Cina, di Putin e delle peggiori autocrazie del globo per abbandono del campo.
E, per chiudere, ricordiamo che in campo politico, specialmente in quello della politica estera, il destino delle grandi democrazie è nella coerenza che, beninteso, è costosa, sempre invisa a qualcuno, spesso scomoda e quasi mai riconosciuta dai diretti beneficati, ma è l’unica qualità che la rende affidabile e aggregante.
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