Giustizia e informazione…

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Più che del casotto nel giardino del papà di Luigi Di Maio dei giornalisti americani si sarebbero occupati dei sei milioni di euro dell’Unicef transitati sui conti bancari del cognato di Matteo Renzi.  Per la Procura di Firenze, infatti, avrebbe commesso un reato di appropriazione indebita, ma proprio questo reato, però, dal 2014 è procedibile soltanto per querela di parte essendo stato depenalizzato proprio dal governo di cotanto cognato, il tutto ovviamente per un puro caso

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Per capire che cosa non funziona nell’italica giustizia bisogna giocoforza rapportarla a quella di una democrazia più avanzata della nostra, nonostante le sue luci ed ombre: quella statunitense. Il sistema giudiziario d’oltreoceano opera su due livelli, uno federale e l’altro statale, dove la giurisdizione federale si occupa delle materie connesse ai rapporti con lo Stato centrale o tra i diversi Stati federali, mentre tutti i reati comuni, omicidio compreso, sono di competenza statale. In tale sistema, i giudici e la pubblica accusa sono due entità distinte, perché i primi sono autonomi e si autogovernano, mentre la seconda viene eletta direttamente dalla popolazione del distretto interessato ed è, poi, l’esecutivo che ne formalizza la nomina.

Non siamo certi di aver saputo sintetizzare in modo accettabile come funziona il sistema giudiziario negli States, anche se ci sentiamo di poter affermare che esso è di straordinaria efficacia ed imparzialità poiché può chiamare a rispondere dei suoi reati perfino il più potente “monarca elettivo” del mondo: il presidente degli Stati Uniti. Infatti, dopo una serrata inchiesta giornalistica condotta dai reporter del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernestein, su quello che passò alla storia come lo scandalo del Watergate, il 37° presidente USA, Richard Nixon, fu messo in stato d’accusa e, perciò, costretto a dimettersi per evitare l’impeachment.

Eppure, secondo alcuni giuristi nostrani con la puzzetta sotto il naso, quello americano è un sistema giudiziario grossolano e diretto…. ma come, una giustizia esercitata dal popolo (tramite la pubblica accusa elettiva) e in nome del popolo, senza guardare in faccia a nessuno, è grossolana? E poi, i nostri magistrati, che peraltro osteggiano ferocemente lo scorporo della carriera dei PM da quella dei giudici, avrebbero un qualche titolo di merito per poter dare un giudizio del genere sul sistema giudiziario americano?  In verità a noi proprio non sembra, perché se la giustizia americana ha costretto un presidente ad andarsene a casa, quella italiana, al cospetto dei potenti, o ha lasciato in sospeso dubbi storici, o si è “allineata” al sistema di potere imperante pur essendo totalmente autonoma dall’esecutivo per dettato costituzionale.

Infatti, non siamo mai risusciti a capire se in quello che è da ritenersi il padre di tutte le tangenti italiane, e cioè lo scandalo Lockheed, il presidente della repubblica Giovanni Leone fu coinvolto oppure no. Ciò perché le accuse, le inchieste, i processi, le sentenze, le contro sentenze e i pamphlet di quegli anni non chiarirono mai in modo netto se egli avesse intascato o meno una parte della mazzettona dalla Lockheed per l’acquisto degli Hercules C-130 da destinarsi alla nostra aeronautica militare

E poi, il presidente della repubblica Francesco Cossiga conosceva le trame presunte golpiste che negli anni sarebbero ruotate intorno all’organizzazione segreta della NATO denominata “Gladio”?

Ancora, il presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro intascò veramente 100 milioni al mese sottobanco dai fondi neri del SISDE mentre era ministro degli interni?

E per finire, Giorgio Napolitano violò oppure no la Costituzione nel 2011, quando con una manovra di palazzo esautorò Berlusconi, eletto dal popolo, e portò Monti, non eletto da nessuno, a Palazzo Chigi?

Angustiati da sì annosi dubbi possiamo ben dire, dunque, che la giustizia americana non è affatto grossolana ma – a differenza di quella nostrana –  è semplicemente efficace. Quella a stelle e strisce, tra l’altro, è ben supportata dai giornalisti d’inchiesta, del calibro di Woodward e Bernestein, i quali non esitano a correre ogni sorta di rischio per far bene il loro lavoro che, non dimentichiamolo, è quello d’informare oggettivamente e non, invece, confezionare teoremi e telenovele in base alle direttive di bottega.

Negli States, di certo, più che del porta – attrezzi nel giardino del papà di Luigi Di Maio o delle magliette di Salvini, i giornalisti si sarebbero occupati dei sei milioni di euro dell’Unicef transitati – secondo la Procura di Firenze –  sui conti bancari del cognato dell’allora capo del governo Matteo Renzi. Cotanto parente, dunque, avrebbe commesso il reato di appropriazione indebita, reato che dal 2014 è procedibile soltanto per querela di parte essendo stato depenalizzato. Possibile che la maggior parte dei giornalisti nostrani non sappia che a depenalizzare quel reato fu proprio il governo del cognato più famoso d’Italia? Ecco, in America i giornalisti avrebbero rintracciato – e pubblicato! – persino i verbali di quel consiglio dei ministri che ne decise la depenalizzazione assieme ad altri reati.

Se, dunque, nel nostro Paese la coscienza critica dei cittadini non cresce, se il sistema si è bloccato (con tutto ciò che ne consegue…) a causa dell’inceppamento della giustizia, se le ondate populiste, di destra e di sinistra, si stanno alternando disastrosamente alla guida del Paese in nome di una sicurezza sociale, di una stabilità economica e politica mai neppure intraviste, una gran parte di colpa va ai media e alla magistratura.

E per quanto abbia reso l’aria più respirabile nelle istituzioni locali, neppure un repulisti giudiziario come quello fatto in queste ore in Lombardia, serve a rasserenarci se arriva venti giorni prima di un duplice, importante test elettorale, per delle malefatte sulle quali, peraltro, si parlottava in pubblico e in privato da anni, e che perciò erano a conoscenza perfino dei pesci del Ticino.

Qualcuno dirà meglio tardi che mai…