Un diciassettenne appartenente a un collettivo di sinistra e studente presso il liceo scientifico Augusto Righi di Roma, in visita al Senato con la sua classe per irrobustirne il senso civico, ha mimato con entrambi le mani il gesto della pistola contro il presidente del Consiglio Giorgia Meloni
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Era un giorno imprecisabile del mese di settembre del 1973 quando io, la mia allora fidanzata e l’ultimo dei suoi fratelli che all’epoca aveva dodici anni, in macchina dirigevamo verso la città vicina. Ebbene, dopo un sorpasso azzardato da parte di un’auto che proveniva dal senso contrario, sbottai in un commento non proprio da salotto nei confronti del suo conducente. Del tutto inaspettata, dal sedile posteriore giunse anche l’inopinata valutazione del cognatino che, lo ripeto, all’epoca aveva soltanto dodici anni: «Quello stronzo ha fatto un sorpasso fascista!». Data la sua giovanissima età, evitai di chiedergli com’era un sorpasso fascista rispetto a quello di un comunista, ma una cosa mi fu certa da quel momento: anche nella scuola media l’intellighenzia di sinistra stava attossicando l’animo dei ragazzi! Prima o poi, ne avremmo pagato le conseguenze.
Infatti, come un acquazzone che segue a ripetuti tuoni, arrivarono le efferatezze delle Brigate Rosse, come dire un lungo elenco, grondante di sangue, inzeppato di politici, di magistrati, di appartenenti al Movimento sociale, di giuslavoristi, di militari, di funzionari, di carabinieri, di poliziotti, incluso qualche sindacalista e perfino una guardia giurata. Oddio, non è che in quello stesso periodo i terroristi di destra se ne stessero con le mani in mano, tutt’altro, ma di certo non godettero delle medesime coperture politiche, intellettuali e mediatiche delle Brigate Rosse.
Ritornando al presente, l’altrieri un diciassettenne (appartenente a un collettivo di sinistra) del liceo scientifico “Augusto Righi” di Roma, in visita al Senato con la sua classe per irrobustirne il senso civico, mentre erano in corso delle comunicazioni da parte della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha mimato con entrambi le mani il gesto della pistola contro di lei. L’atto, gravissimo anche in rapporto al luogo dov’è avvenuto, non ha suscitato l’indignazione trasversale che meritava, anche se la preside dello “sparatore” ha minacciato gravi conseguenze disciplinari nei suoi confronti, che alla fine sono sfociate in una banale sospensione, con delle parole che dovrebbero indurre a pensare coloro che sono ancora capaci di farlo: «Ci dispiace, chiediamo scusa, nessuno se l’aspettava».
Ecco, la grande pericolosità di certe azioni violente, anche di quelle simboliche come nel caso, è proprio nel fatto che nessuno può sapere in anticipo dove esse avverranno, quando avverranno e chi potrebbero esserne gli autori, come avvenne per le Brigate Rosse. Come dire che la Sinistra del cosiddetto campo largo non è oggi capace di prevedere quanti cavoli diverranno marci di quelli che sta allegramente piantando nel giardino della contrapposizione ribellistica a un governo eletto dalla maggioranza del popolo italiano. Pertanto, se non è già tardi, vorrei invitare i diarchi, Schlein-Conte, gli stessi che Mario Sechi in un suo editoriale ha definito due figure tragiche, a meditare sul fatto che il ragazzotto del Righi ha puntato la “pistola” contro il capo del governo nel Palladio di ogni democrazia, ossia il Parlamento del quale fanno parte anche i loro rappresentanti… attenzione a non spararvi sulle palle da soli.
Un altro sommesso invito lo vorrei fare al capo dello Stato, lestissimo nel dare addosso alla Polizia quando questa è costretta a fare uso dei manganelli contro i piazzaioli facinorosi, ma afono su di un fatto così grave che ha avuto per protagonista un degno rappresentante di quei ragazzi con i quali, secondo lui «…i manganelli esprimono un fallimento». Signor presidente, mi consenta un’osservazione finale: siamo arrivati a questo punto perché ad aver fallito è stata la generazione politica alla quale, piaccia o no, lei appartiene. Sia detto senza offesa.
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