L’interpretazione islamista del Corano è tesa all’assolutismo politico perché il potere esercitato in nome di Allah-Dio è incontestabile, e chi lo esercita è legittimato dal presupposto che lo fa in suo nome e per suo espresso volere: come combatterlo senza diventare apostata? È come se i cristiani, contestando il Papa, contestassero sia Cristo che l’Onnipotente. Ecco da quale concezione pseudogiuridica nasce il reato di muharebeh applicato a Teheran per impiccare dei giovani per delle colpe che da noi non avrebbero comportato neppure il fermo da parte della Polizia
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In Iran è stato impiccato un altro dei manifestanti di quella che potremmo definire la “primavera persiana”, innescata dall’uccisione in carcere della giovane Mahsa Amini, che era stata arrestata soltanto perché non aveva ben messo sulla testa quel foulard chiamato Hijab e che da quelle parti è un obbligo di legge indossare. La vittima della “giustizia” iraniana stavolta è stato Majidreza Rahnavard, un giovane pubblicamente appeso per il collo al braccio di una gru per aver commesso il reato di muharebeh, ovvero una guerra contro Dio.
La prima considerazione che viene da fare a leggere una tale notizia è come sia possibile coniugare Dio con la violenza repressiva degli ayatollah, e perché gli Stati islamisti fanno fatica a laicizzarsi, il che ci suggerisce una minima disamina a volo d’uccello.
Nell’orbe musulmano un tentativo di creare Stati islamici a connotazione laica lo aveva fatto il partito di stampo socialista panarabo Baath, ma questo avvenne quando, a seguito dei contrasti con gli ex Paesi occidentali colonialisti, già incubavano le premesse per le Repubbliche Coraniche in Iran e in Afghanistan, dove oggi gli ayatollah incarnano l’inconciliabile, triplice funzione di suprema autorità religiosa, giuridica e politica dello Stato. Come dire che sono legislatori e giudici in assenza di un codice penale, che non sia il Corano.
Nel corso dei secoli l’umanità ha visto affermarsi svariati sistemi politici e giuridici tesi a dare una risposta a tutte le esigenze degli uomini, ma il sistema islamico non si riflette in nessuno di essi perché si afferma, quasi sempre, come teocrazia imperialista, fuori da ogni concezione civile post illuminista, cioè democratica e dialogante con la società civile.
Secondo una visione islamista, infatti, il potere politico deve fondarsi sull’equità (adl) dei governanti, sull’obbedienza (ta ah) dei cittadini e sulla consultazione reciproca (shurà)… questi, però, sono precetti non ordinamenti statuali! E, poi, chi e come dovrebbe verificare l’equità di quei governanti? Come si manifesta la loro equità, posto che l’iniquità è insita nel fatto che, pur vivendo su terre che galleggiano sul petrolio, la maggior parte delle masse musulmane sono tra le più diseredate della terra?
Purtroppo, questa interpretazione del Corano è tesa all’assolutismo politico perché il potere esercitato in nome di Allah diviene incontestabile, e chi lo esercita è legittimato dal presupposto che lo fa in suo nome e per suo espresso volere: come combatterlo senza diventare apostata? Per capirci, è come se un cristiano, contestando il papa, contestasse sia Cristo che l’Onnipotente.
Ecco da quale concezione pseudogiuridica nasce il reato di muharebeh applicato a Teheran, in Iran, per impiccare dei giovani che, per ciò che hanno fatto, da noi non sarebbero stati neppure fermati dalla Polizia.
Va da sé che, di là delle varie e inconcludenti “primavere arabe”, un tale assioma impedirà sempre ai Paesi islamisti, o anche soltanto islamici, la realizzazione di quello che gli studiosi hanno definito giurisdizionalismo, cioè il riappropriarsi delle proprie prerogative da parte dello Stato laico, come avvenne in Occidente a partire dal Settecento. Ma la disputa giurisdizionale dei governanti europei con la Chiesa di Roma fu feconda ed ebbe successo perché essi non si arrogarono la funzione di capi religiosi, anzi riconobbero la suprema autorità spirituale della Chiesa ma la vollero spoglia di ogni pretesa di giurisdizione temporale, perché intendevano soltanto affermare il primato politico e giuridico dello Stato sugli ordinamenti religiosi.
Per gli ayatollah di Teheran, in Iran, e per gli islamisti in generale, invece, dovrebbe avvenire l’esatto contrario!
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