L’identità nazionale è come un corso d’acqua che può arricchirsi col contributo di altri ruscelli, che può perfino frammischiarsi con altri fiumi e uscirne alla fine rinvigorito, ma è follia cercare di farlo sparire: primo o poi il corso d’acqua riemergerà e trascinerà via tutto ciò che incontrerà sul suo cammino
– Enzo Ciaraffa –
Il 3 giugno del 1979, papa Giovanni Paolo II si recò in Polonia dove, nella città di Gniezno, tenne un discorso che può essere considerato il grimaldello che avrebbe buttato giù la “cortina di ferro”: «La cultura è soprattutto un bene comune […] Essa ci distingue come nazione. Essa decide di noi lungo tutto il corso della storia, decide più ancora della forza materiale».
Ebbene, nessun uomo di Stato, nessuno dei tanti analisti politici che allora andavano per la maggiore, neppure lo stesso papa in verità, riuscì a prevedere che nel giro di un decennio l’impero sovietico sarebbe imploso e che si sarebbero creati nuovi, ma precari, equilibri mondiali. Equilibri precari perché privi di quei centri decisionali dell’ordine mondiale che fino ad allora erano stati Mosca e Washington.
In quel particolare momento storico, noi italiani eravamo troppo impegnati a satollarci nel trogolo della catastrofica politica economica dei governi di centrosinistra per poter capire che, una volta dissolti i vecchi equilibri geopolitici, saremmo stati fatalmente travolti dallo straripamento di popoli senza più remore ideologiche e/o confinarie. Anzi, a tale straripamento demmo un valido contributo sottoscrivendo la Convenzione di Schengen senza fissare dei paletti.
Prevedibili ma imprevedute, il 7 marzo del 1991 nel porto di Brindisi arrivarono le prime carrette del mare dalle coste albanesi con 27.000 profughi a bordo, come dire un terzo della popolazione brindisina. L’avvenimento (e chi scrive era sul posto) ci trovò impreparati a gestirlo ma, invece d’interrogarci sul recondito significato e sulle conseguenze di quell’arrivo, preferimmo scaricarne la colpa sulle televisioni di Berlusconi. Sarebbero state le sue rutilanti emittenti, infatti, a trasmettere oltre Adriatico l’immagine di un’Italia terra del latte e del miele. Insomma neppure un fatto così foriero di conseguenze indusse la classe politica italiana ed europea ad accantonare le liti da cortile e ad interrogarsi su che cosa sarebbe successo da quel 7 marzo brindisino in poi.
Riguardo l’immigrazione neppure la posizione della Chiesa è stata univoca perché, mentre il papa attuale vorrebbe trasformare ogni Parrocchia, ogni convento, ogni oratorio in un ricovero per immigrati, il presidente della Conferenza episcopale congolese, il vescovo di Tshumbe monsignor Nicolas Djomo, sulla fuga dei giovani africani verso l’Europa l’anno scorso ha assunto, a nostro avviso, una posizione più realistica di quella di Bergoglio: «Guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura della vita, dei valori morali e spirituali. Utilizzate i vostri talenti, e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione durature in Africa. Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi».
Come dire che i flussi migratori che abbiamo fino ad oggi agevolato invece di governarli dove si originano, faranno impoverire ancora di più quei Paesi che, a parole e magari con buone intenzioni, vorremmo risollevare dalla miseria. Insomma – giusto per fare un esempio pratico – è velleitario l’intento di un Paese come il nostro, che produce soltanto la metà del grano occorrente per sfamare i suoi abitanti, che vorrebbe accogliere e nutrire milioni di persone provenienti da zone che già sono, o potrebbero diventare, i granai del mondo come l’Africa, che secondo la Fao, ha il 17% delle aree coltivabili mondiali.
Ma chi le coltiverà se stiamo contribuendo a farne delle spopolate lande? Insomma, siamo all’assurdo che per sfamare degli esseri umani li incoraggiamo ad abbandonare la primaria fonte del loro sostentamento, invece di inserirli in un serio programma di sviluppo, un Piano Marshall per l’Africa che coinvolga l’Europa, la Cina e gli Usa. Per intenderci.
Rileviamo che gli ultimi governi prima di questo attualmente in carica, ma soprattutto la Chiesa, hanno dimenticato una delle principali affermazioni del discorso che il Beato Giovanni Paolo II fece a Gniezno quel lontano, eppure così vicino, giugno del 1979: «La cultura è soprattutto un bene comune […] Essa ci distingue come nazione».
I nostri governanti, infatti, hanno sempre guardato con scocciata sufficienza a quell’identità culturale bimillenaria che ci distingue come popolo e come nazione preferendo prodursi nella pulizia etnica della nostra storia. Ciò senza neppure tentare una qualche sintesi con le sopraggiungenti culture, senza tracciare quel solco in cui le prossime generazioni potrebbero gettare il seme di una nuova civiltà italiana, anche se dovesse avere la pelle color cioccolata e gli occhi a mandorla. Questo è ciò che hanno fatto gli Usa nel corso della loro storia e che noi citiamo spesso a sproposito quando parliamo d’integrazione multirazziale, perché gli americani pur non essendo un popolo omogeneo sono una nazione orgogliosa di esserlo. E ciò perché per diventare cittadini statunitensi bisogna dimostrare di essere capaci d’integrarsi in quella multiforme società.
Purtroppo i nostri governanti, che quasi mai riescono a vedere quel che accade perfino sotto il loro naso, non hanno tratto nessun utile apprendimento dal referendum indipendentista in Scozia, dove gli indipendentisti hanno perso, e da quello più recente avvenuto in Catalogna dove gli indipendentisti alla fine sono risultati essere soltanto il 48% dei catalani. Come dire che i popoli europei sentono ancora forte la loro identità nazionale e culturale.
E l’identità nazionale è come un corso d’acqua che può arricchirsi col contributo di altri ruscelli, che può perfino frammischiarsi con altri fiumi e uscirne alla fine rinvigorito verso il mare, ma è follia cercare di farlo sparire sotto terra, primo o poi riemergerà e spazzerà via tutto ciò che incontrerà sul suo cammino!
In genere un tale, devastante evento prende due nomi: guerra e/o intolleranza.
*Foto tratta da Osservatorio di politica internazionale