Più che Putin, più che la Cina il pericolo incombente per la pace è un altro perché in questo momento a Washington siede un presidente ottantenne, affetto da ansia da prestazione, sicché in ogni occasione si sente condannato a dover dimostrare di non essere un mollaccione rincoglionito come lo descrivono gli avversari interni e come, sotto sotto, lo immaginano pure gli alleati. È sintomatico di questo stato d’animo il fatto che Biden abbia ordinato il suo primo bombardamento, quello sulla Siria, appena cinque settimane dopo essersi insediato nello studio ovale
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Durante la corsa per la riconferma alla Casa Bianca, Donald Trump ha avuto contro un nemico tanto terribile quanto imprevisto e che, con qualche sottovalutazione in meno, avrebbe potuto affrontarlo meglio di quanto non abbia fatto. Parliamo del Covid-19.
Joe Biden, invece, ha contro un nemico altrettanto terribile quanto previsto però: lui stesso. E questo lo sostenemmo in tempi non sospetti, il 7 novembre del 2020 nell’articolo pubblicato su questo blog con il titolo Addio Mister President: «A spoglio non ancora concluso i repubblicani stanno accusando i democratici di aver praticato brogli elettorali per il tramite del voto postale, ma su questa accusa non ci esprimiamo perché non abbiamo elementi né per sostenerla, né per confutarla, preferendo soffermarci, invece, su un aspetto molto trascurato in questi giorni: quelli di Trump sono stati anni buoni per la pace nel mondo mentre quelli di Biden non saranno facili né per lui, né per l’America, men che mai per i suoi alleati. Temiamo infatti che, non appena il vegliardo della Pennsylvania si sarà insediato alla Casa Bianca, inseguirà una politica di disgelo con la Cina e con l’Iran, a discapito di alleati storici come Israele e gli Emirati Arabi che l’Amministrazione Trump invece aveva riavvicinato stabilizzando l’area».
Ma Biden in questi giorni è riuscito ad andare oltre ogni nostra previsione, quando nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente televisiva statunitense Abc ha praticamente dato del killer al presidente russo Vladimir Putin accusandolo, tra l’altro, di avere interferito nelle ultime elezioni presidenziali: era dai tempi del dittatore iracheno Saddam Hussein che non si sentiva una roba del genere nel lessico di un capo di Stato!
Il risultato immediato è stato che la Russia ha richiamato in patria il proprio ambasciatore in America per analizzare lo stato delle relazioni possibili con Washington, dopo l’improvvida uscita. E lo stato dei rapporti tra le due potenze è desumibile dalla risposta di Putin che, essendo un vecchio arnese del Kgb, non è capace soltanto di mettere il veleno nelle mutande del suo oppositore Alexei Navalny ma anche nelle cose che sibilando dice. Infatti, nella risposta al presidente americano il nuovo zar di Russia è stato telegrafico, signorile ma anche devastante: «Assassino? Chi lo dice sa di esserlo. Gli auguro salute». E immaginiamo che intendesse salute mentale.
Già la salute mentale del nuovo inquilino della Casa Bianca che, non dimentichiamolo, è un quasi ottantenne che, durante la campagna elettorale americana, preso da solo non ha dato sempre la sensazione di essere lucido, come quando scordava il nome del suo avversario o confondeva le centinaia di migliaia con i milioni, sicché i repubblicani ebbero buon gioco a sostenere che egli soffrisse di demenza senile e, anzi, Trump lo cinguettò perfino su Twitter prima che lo bannassero: «Biden stupido e pazzo!».
Noi, ovviamente, non sappiamo se l’attuale inquilino della casa bianca soffra veramente di demenza senile, il che sarebbe grave visto che ha in mano il pulsante nucleare, e neppure abbiamo capito il senso della sua strategia. Ad esempio, adesso che fine farà la collaborazione Usa-Russia per il trattato New Start sulla riduzione delle armi nucleari? E nel corso di queste tensioni internazionali noi europei storicamente aggiogati al carro americano, saremo liberi di implementare le nostre risibili scorte di vaccino con lo Sputnik russo? Senza contare che, di questo passo, la sconsideratezza di Biden potrebbe, sebbene ipoteticamente, gettare Putin nelle braccia della Cina la quale, secondo noi, è oggi la vera “nemica” degli USA e dell’intero Occidente. E il bilaterale tra americani e cinesi che sta per concludersi ad Anchorage in queste ore, è soltanto un tentativo di rimandare lo scontro armato che, prima o poi, avverrà tra i due Paesi in una delle molte aree di frizione nell’Asia Orientale e nel Pacifico.
E se i toni truculenti del presidente americano piacciono alla Germania (che non ha nessuna intenzione di provvedere alla sua difesa militare) ed ai Paesi dell’Est, che da secoli sentono sul loro collo l’alito della Russia imperialista e troppo vicina geograficamente, di certo mettono nei guai noi centroeuropei che ancora non abbiamo deciso da che parte stare in questa nuova guerra fredda e, forse, sarà proprio Putin a dircelo. Siamo sicuri, infatti che, nonostante le tentazioni, il nuovo zar alla fine cercherà un dialogo con la Casa Bianca, perché egli teme l’abbraccio dei compagni cinesi anche più delle minacce di quel vegliardo finto-ormonizzato di Joe Biden, tant’è che lo ha invitato ad una chiacchierata online aperta a tutti perché – altra lezione per Sleepy Joe – «Non dovremmo parlarci alle spalle». Come dire facciamo politica e non le comari.
Comunque, più che Putin, più che la Cina il pericolo incombente per la pace è un altro perché in questo momento a Washington siede un presidente ottantenne, affetto da ansia da prestazione, sicché in ogni occasione si sente condannato a dover dimostrare di non essere un mollaccione rincoglionito come lo descrivono gli avversari interni e come, sotto sotto, lo immaginano pure gli alleati. È sintomatico di questo stato d’animo il fatto che il neo presidente abbia ordinato il suo primo bombardamento, quello sulla Siria, appena cinque settimane dopo essersi insediato nello studio ovale.
E poi, quella di Biden, che strategia sarebbe? Pare che voglia fare del tutto per inimicarsi la Russia, dopo avere già ridimensionato i rapporti con Israele e con l’Arabia Saudita, come dire con gli alleati più affidabili in Medio Oriente per tenere a bada l’Iran e la stessa Cina. Quest’ultima infatti, tramite la “Karakorum Highway” Cino pachistana, o Zhong-Pa gong lu, come la chiamano a Pechino, è già in grado di arrivare nel Golfo Persico anche via terra e, in eventuale combutta con gli ayatollah iraniani, bloccare i rifornimenti di petrolio all’Occidente provenienti in gran parte da quell’area.
Insomma sembra proprio che il motto latino “Divide et impera” Biden lo stia applicando alla lettera.
A danno dell’America però.
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