Dopo i disastri del passato in politica estera, il nostro premier si è recato sull’altra sponda del Mediterraneo per provare ad inserire l’Italia nel complesso gioco politico, militare ed economico che si sta svolgendo da quelle parti senza esclusione di colpi e di cannonate. Bisogna, semmai, capire quale solvenza, credibilità e continuità abbia il nostro Paese dove, di solito, si cambia un governo all’anno, il che rende difficile la continuità in politica estera. Senza contare che il dichiarato presupposto sul quale si è basata la visita di Draghi a Tripoli sembrava dettato dal Vaticano
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Come mai Mario Draghi, come meta del suo primo viaggio all’estero in qualità di capo del governo italiano, ha scelto la Libia governata dal secondo “premier provvisorio” Abdul Hamid Dbeibah? E com’è che stavolta non s’indigna nessuno – né i media, né la Sinistra – per il fatto che il premier italiano abbia inaugurato la sua politica estera incontrando un capo di governo provvisorio succeduto ad un altro pure lui provvisorio, cioè non eletto dal popolo libico? Similes cum similibus? Eppure, pare di ricordare che appena pochi giorni fa, i soliti giornali custodi della morale politica, in compagnia di grillini e del PD che di morale proprio politica non ne posseggono neppure un briciolo, si siano veementemente scagliati contro Salvini che si era recato a Budapest per incontrare Viktor Orban e Mateusz Morawiecki, premier sovranisti (eletti da un Parlamento a sua volta eletto) di Ungheria e Polonia.
Da parte nostra, da sempre sostenitori della realpolitik, non ci scandalizziamo se, dopo i disastri del passato, il nostro premier si sia recato sull’altra sponda del Mediterraneo per provare ad inserire l’Italia nel complesso gioco politico, militare ed economico che, da parte di alcuni Paesi, si sta svolgendo da quelle parti senza esclusione di colpi e, quando capita, di cannonate. Abbiamo, semmai, delle riserve sulla solvenza, credibilità e continuità della politica estera del nostro Paese dove, di solito, cambia un governo all’anno senza riuscire ad assicurare almeno un minimo di continuità proprio in politica estera, senza contare che il presupposto ufficiale sul quale si è basata la visita di Draghi a Tripoli sembrava dettato dal Vaticano e non dal pragmatismo: «A patto – ha precisato per noi una fonte della diplomazia ONU a Tripoli – di considerare i diritti umani come un primario interesse italiano». Detto fuori dai denti e senza ipocrisie, sono ben altri i nostri primari interessi in Libia. Peccato che l’Italia e i Paesi islamici, come la nostra ex colonia di là del mare, abbiano idee abbastanza diverse in fatto di diritti umani, e di quelli delle donne, poi, nemmeno a parlarne. Men che mai Draghi poteva promettere al suo ospite ciò che più gli stava a cuore e cioè armi per fronteggiare il rivale, il Ras della Cirenaica Khalifa Haftar.
Comunque, al di là delle dichiarazioni politicamente corrette sui diritti umani, sui migranti, e il restante, solito repertorio, veniamo al sodo, al vero perché della visita di Draghi in Libia. Secondo noi per dare una mano, col beneplacito della Merkel, al riassetto della Banca Centrale Libica-Bundesbank; rilanciare e finanziare alcuni progetti infrastrutturali per favorirvi il lavoro delle nostre imprese e rifinanziare la politica dei flussi migratori nel senso che il lavoro sporco del blocco dei migranti lo delegheremo alla Libia. Insomma il nostro premier è andato in Libia per cercare di trarre l’Italia da quell’angolo dove i governi scellerati precedenti l’avevano fatta finire negli ultimi dieci anni. Non sarà stata un’impresa facile perché tra i convitati di pietra c’erano Erdogan, Macron e Putin, e dubitiamo che il decantato carisma di Draghi possa avere, da solo, qualche effetto su cotanti mammolette che dalla Libia non se ne vogliono proprio andare, specialmente Putin, il quale, mentre l’Unione Europea e il nostro premier parlavano di immarcescibili principi, ha fatto arrivare 100.000 dosi di vaccino Sputnik ai fratelli libici e con la stessa facilità, se richieste, farà arrivare anche armi e munizioni. Draghi, invece, ha portato a Dbeibah soltanto principi e doveri in cambio di problemi.
Sicché noi, che non abbiamo soldi, non abbiamo molto prestigio da spendere e non forniamo armi, almeno ufficialmente, possiamo sperare soltanto di fare i pretoriani della NATO e dell’Unione Europea in terra libica e, in cambio di finanziamenti per la ricostruzione post-Gheddafi, ottenere petrolio perché, nonostante la strombazzata svolta green del governo, è l’oro nero che al momento fa muovere il nostro Paese. E ci va già di lusso così.
Infatti, a giudicare dalle dichiarazioni Draghi-Dbeibah, l’Italia porta a casa soltanto un po’ di benzina perché la gestione dei campi migranti resta in mano ai libici, mentre russi, turchi e francesi resteranno ancora da quelle parti fintanto che non s’instaurerà un dialogo di ampio respiro tra gli USA e la Russia, per ristabilire – anche se l’auspicio farà inorridire qualcuno – l’antico bipolarismo che aveva governato il mondo, non malaccio tutto sommato, dal 1945 alla caduta del muro di Berlino.
Pertanto, se ne deduce che, pur avendo marcato meritoriamente una presenza in Libia, Draghi se n’è tornato in Italia con niente di strabiliante in mano, e questo lo si può dedurre dai comunicati ufficiali che di politico non hanno niente. Mario Draghi: «È un momento unico per la Libia, c’è un governo di unità nazionale legittimato dal Parlamento che sta procedendo alla riconciliazione nazionale. Il momento è unico per ricostruire quella che è stata un’antica amicizia». Insomma, aria fritta. Esilarante poi il nostro premier quando parla di legittimazione di Dbeibah da parte del Parlamento libico che è illegittimo al pari del governo, in quanto anch’esso non è stato eletto da nessuno. Ma tant’è.
La sintesi del comunicato del premier libico è ancora più chiarificante: «Una delle questioni più importanti da riattivare è l’accordo di amicizia del 2008, a cominciare dalla costruzione dell’autostrada. Prevediamo un aumento della collaborazione nell’elettricità e nell’energia». Insomma, Draghi è andato in Libia come premier stracarico di carisma e se n’è ritornato a casa con un po’ di benzina.
Tutto qui?
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