Di Maio invitto condottiero, un bluff che è durato poco

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L’ex steward dello stadio San Paolo si muove, ormai, come un pugile suonato che, non riuscendo a connettere più le idee, scimmiotta quelle degli altri. Infatti, il commento che ha fatto sul responso negativo della base sulla sua proposta di non presentarsi alle prossime elezioni regionali, è nella sostanza la copia di quella che aveva rilasciato l’allora segretario del PDS, Achille Occhetto, all’indomani della débâcle elettorale del 1994, quando se ne venne con un’uscita che era anche più ridicola della sua “macchina da guerra”
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Per la prima volta nella storia del M5S la base ha sconfessato la sua dirigenza! La piattaforma Rousseau, infatti, ha sonoramente bocciato la proposta di Luigi Di Maio e del suggeritore occulto Grillo, di non presentare un candidato alle elezioni regionali del prossimo 26 gennaio in Emilia-Romagna e in Calabria, dove il precario conductor pentastellato e il suo comico mentore sono certi di rimediare un’altra batosta. Ma, ahi loro, d’avanti hanno soltanto due prospettive con o senza un candidato: perdere le elezioni perché il PD riprenderà i suoi voti in libera uscita, o perdere le elezioni a causa dell’alleanza innaturale col PD, e in quel caso a risucchiare voti al M5S sarà il Centrodestra. Insomma, l’unica libertà di manovra che hanno in questo momento Giggino e Beppino è quella di decidere a favore di chi vogliono perdere le prossime elezioni regionali. Peraltro, il furbo comico genovese, dopo aver mandato Di Maio allo sbaraglio con Renzi e col PD, al fine di tutelare certi problemini familiari con la giustizia, lo ha lasciato solo a fronteggiare le feroci critiche e contestazioni che gli stanno piovendo addosso in queste ore dall’interno del movimento, come quelle dalla consigliera regionale Roberta Lombardi e dei senatori Emanuele Dessì, Nicola Morra e Paola Taverna, suoi storici sostenitori.

Però, mentre Grillo se ne sta acquattato nell’ombra consapevole, Di Maio è ben lontano dal realizzare il pericolo che corre, comunque si muova – anche se la vera resa dei conti interna slitterà a dopo le regionali – ed ha, perciò, seraficamente commentato il responso della Rousseau: «Gli iscritti ci hanno dato un mandato chiaro e fortissimo: dobbiamo partecipare alle elezioni regionali con tutte le nostre forze ed è quello che faremo. Ora c’è una sola cosa da fare: mettersi a pancia a terra e dare il massimo».

Dopo la simpatia che provammo per questo ragazzo all’arrembaggio di poteri forti e incarogniti, e che prometteva di fare un lavacro alle nostre non certo linde istituzioni, adesso ci fa un po’ pena vederlo sballottato qua e là dai mascalzoni istituzionali che, sopra la sua testa, si sono messi d’accordo con l’UE e con l’alta finanza per far governare questo Paese alla peggiore accozzaglia antidemocratica che si sia mai vista dalla caduta del fascismo ad oggi, antidemocratica e pure criminale. Infatti, nello stesso momento in cui il nostro Paese avrebbe bisogno di una politica industriale forte, convinta e di medio termine, per uscire dalla crisi economica e produttiva che sta attanagliando quasi tutta l’eurozona, si sono messe a governarlo, peraltro senza nessuna delega popolare diretta, due forze politiche delle quali una vorrebbe ridurci come la Grecia a furia di tasse euro gradite, e l’altra invece, persa dietro il sogno della decrescita felice, vorrebbe chiudere fabbriche e cantieri: il surreale comportamento del governo sull’Ilva di Taranto è soltanto l’esempio più recente di questa duplice follia.

Era fatale, dunque, che l’ex steward dello stadio San Paolo, privo com’è di particolari esperienze politiche e professionali, ad un certo punto avrebbe sbroccato, iniziando a comportarsi come un pugile suonato che, non riuscendo più a connettere le proprie idee, si mette a scimmiottare quelle degli altri. Sì, perché il commento che Di Maio ha fatto sul responso della base del movimento è, nella sostanza, la copia di quella che aveva rilasciato l’allora segretario del PDS, Achille Occhetto, all’indomani della débâcle elettorale del 1994: «I nostri elettori ci hanno delegato a stare all’opposizione». Giustamente, qualcuno, fece osservare ad Occhetto che gli elettori semplicemente non avevano voluto il PDS al governo.

Per cadere in piedi, dunque, per diventare veramente il futuro leader del M5S attraverso una dolorosa ma rigenerante via crucis, Di Maio dovrebbe avere il coraggio di prendere atto che la base del movimento semplicemente non lo ha ritenuto idoneo a guidare il movimento, che ha valutato sbagliata la sua linea politica, ammesso che ne abbia mai avuta una, e trarne le debite, dignitose conclusioni.

Soltanto così Di Maio può sperare di salvare un po’ del suo futuro politico e il M5S da una catastrofe che si annuncia in tutta la sua devastante portata per entrambi.

E’ soltanto una questione di tempo.