Rifiutando l’appoggio al governo di solidarietà di Mario Draghi, la leader di Fratelli d’Italia ha compiuto una scelta incontestabilmente democratica e allo stesso tempo rivoluzionaria, perché così facendo ha aperto, praticamente con niente, un gigantesco cantiere per poter costruire la nuova casa della Destra democratica e dei valori politici e culturali della sua comunità ideale che è più vasta di quanto si crede
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La politologa e rettore dell’Università della Pennsylvania, Amy Gutmann, ha scritto qualche anno fa che «Se vogliamo vivere come individui liberi ed eguali, dobbiamo essere cittadini di una qualche comunità politica, e dobbiamo essere educati alla pratica di quei valori». La Gutmann, in altre parole, invocava la coerenza dai partiti politici non parlando essa di appartenenza a una comunità nazionale ma di ideali, dando per acquisito il fatto che siano, poi, le comunità ideali a costituire quelle nazionali, anzi talvolta anticipandole perfino come avvenne per l’Unità d’Italia.
Come idea, in verità, quella della professoressa Gutmann non era né nuova, né rivoluzionaria, perché fin dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fu proprio intorno a quest’idea che andarono agglomerandosi gli Stati nazionali. Tuttavia, la politologa americana ha scoperto le piaghe della lebbra che sta consumando le democrazie occidentali e, con particolare virulenza, quella nostra. Infatti, il tessuto vitale della democrazia italiana sta andando in necrosi perché non è più irrorato dalla linfa della passione politica, (perfino dalle bistrattate ideologie!) e dalle marcate differenze di quelle comunità che un tempo si chiamavano partiti. Tutto questo in nome di un ecumenismo utilitaristico che potremmo definire con uno stridente paradosso lessicale: similitudine delle differenze. È in questo paradosso, infatti, la crisi del nostro sistema politico, e sarà questo paradosso che allontanerà maggiormente dalla politica una sempre più numerosa schiera di elettori, ponendo in fatale rotta di collisione governanti senza valore e governati senza identità, nel pieno di una crisi sanitaria-identitaria globale, con conseguenze sul medio termine che prevediamo catastrofiche.
Peraltro, votare significa scegliere, ma per scegliere bisogna capire quali siano le offerte politiche, i programmi in campo e, soprattutto, quali differenze li contraddistinguono. Senza girarci intorno, perciò, poniamoci subito quella domanda che abbiamo tutti sulla punta della lingua: dove sono andate a finire le comunità politiche, la Destra e la Sinistra nel nostro Paese?
Con un eccesso di sintesi si può rispondere che ambedue sono in fuga dai loro antichi demoni: la prima dal fascismo, la seconda dal comunismo. Ma se la Sinistra può vantare un passato ignorato e/o coperto da un “sistema” da essa stessa costruito, la Destra, invece è sola perché quello che appestò l’Italia per un ventennio, il fascismo, a parte il fatto di essere stato condannato alla damnatio memoriae, non fu un regime di destra classico al quale potersi in qualche modo richiamare, ma un macchiettistico nazionalsocialismo, un lungo rincorrersi di “ismo” come statalismo, radicalismo, clericalismo e populismo.
Il comunismo e il fascismo sono stati sconfitti dalla storia perché si sono rivelati incapaci di fronteggiare, con metodi liberali, i ritmi imposti da un’inarrestabile accelerazione del pensiero umano in tutti i campi. Ma, mentre la Sinistra camaleontica ha saputo darsi un’imbellettata democratica e perfino liberista grazie al supporto fornitole da quel papà mistificatore e discreto che era il vecchio “apparatik” ereditato dal Partito Comunista, la Destra italiana è nata orfana, fino a quando non ha trovato anch’essa un papà che l’adottasse, il peggiore che potesse capitarle: Silvio Berlusconi.
Quest’affermazione, però, non vuole essere l’ennesima concessione all’anti berlusconismo viscerale che lasciamo volentieri a Travaglio & C., semmai il tentativo di individuare le ragioni del fallimento di un progetto politico che, nonostante il patrimonio di consensi e pur vivendo un momento storico favorevole dopo Mani Pulite, dilapidò il primo e non seppe approfittare della seconda. Perché? Le risposte ad una tale domanda sarebbero molte, ma almeno una possiamo azzardarla.
È opinione diffusa che la Destra italiana sia stata “sdoganata” da Berlusconi al fine di poterla intruppare nell’assembramento politico da lui messo in piedi nel 1994, all’indomani dello tsunami mediatico e giudiziario che affossò la prima Repubblica. In realtà, il Cavaliere sdoganò soltanto gli orfani degli orfani di Salò, illudendosi di poter essere lui il padre della svolta liberista in Italia. Peccato che egli non possedesse i requisiti per potervi aspirare, e che non esistessero i presupposti per potervi riuscire. Infatti, la sua morale politica vacua e piuttosto spregiudicata, i conflitti d’interesse, una magistratura militarizzata contro di lui e una Pubblica Amministrazione sorda ai cambiamenti, ebbero il potere di stoppare sul nascere la rivoluzione liberista da lui annunciata. Insomma, alla fine Silvio Berlusconi di “destra” non fece niente. E come avrebbe potuto? Non ne aveva i requisiti che per un leader di destra, giusto per parafrasare un concetto di Julius Evola, sono il culto della tradizione, il rispetto del sacro come famiglia, spirito di servizio e religione, la nostalgia per l’aristocrazia intellettuale, essere votato alla battaglia contro l’impoverimento spirituale imposto da una democrazia senza qualità. In che modo il Berlusconi che abbiamo conosciuto in questi anni avrebbe potuto operare una simile palingenesi?
Bisogna dire, però, che questa democrazia senza qualità non è figlia del Cavaliere, essa in realtà è nata già scadente allorquando la Resistenza, invece di sfociare in un patto costituzionale tra il popolo e le sue nascenti istituzioni nel 1946, si esaurì nella troppo frettolosa “normalizzazione” imposta dai vincitori Alleati.
Da non confondere la Costituente col patto costituzionale, perché la Costituente fu un consesso di vertice, di un élite culturale, di notabili prefascismo, mentre il patto costituzionale doveva scaturire dal negozio diretto tra popolo e nuove istituzioni, negozio che, se ci fosse stato, avrebbe reso entrambi più responsabili. Ed era proprio in questo brodo di cultura che Berlusconi voleva far nascere la rivoluzione della destra liberale.
In realtà, la maggioranza silenziosa di destra già esistente nel nostro Paese (ci sarà un motivo per cui i Comunisti italiani in mezzo secolo non sono riusciti ad andare al potere con una elezione?) il Cavaliere l’ha soltanto pervertita perché, grazie ai suoi eccessi, si è dilatato in essa quel vuoto etico e politico che ha fatto un deserto dei valori di riferimento e – detto con le parole di Del Noce – dato il via «… alla scorribanda dell’stinto più sfrenato, dell’utilità economica come fondamento di ogni agire sociale». Senza contare che la rivoluzione liberale alla milanese di Berlusconi, nel Mezzogiorno era destinata a rimanere sulla carta, e ciò per l’antica, stramaledetta ragione che ha, in parte, vanificato anche l’Unità d’Italia: il Sud e il Nord del Paese non sono in grado di correre alla medesima velocità!
Ebbene, oggi perfino il contributo alla risoluzione, sul lungo periodo, di questa storica sperequazione può venire da una Destra che sia moderna, coerente ma anche “sociale”, cioè che sia capace di resuscitare, almeno in parte, alcune prerogative e compiti del potere centrale dopo i fallimenti delle istituzioni regionali durante la gestione di una pandemia della quale non s’intravede la fine.
Anticipiamo l’obiezione: non si tratterebbe di neo nazionalismo ma, semmai, dell’edificazione del federalismo compiuto, almeno come lo intendevano Cattaneo e Ferrari. Ciò al fine di poter mantenere quella «Configurazione pluralistica e competitiva dei regimi democratici», come sosteneva il professor Domenico Fisichella, una delle levatrici che aveva fatto nascere Alleanza Nazionale dal Movimento Sociale, ritenuto impresentabile perché fondato da personaggi sopravvissuti al fascismo. Poi, come molti ricorderanno, i due leader della Destra in Italia, Berlusconi e Fini, andarono a sbattere il primo sulle olgettine, sui bunga-bunga e sullo spread pilotato, il secondo sull’appartamento di Montecarlo sottratto al patrimonio del partito, come un marioncello qualsiasi.
Poiché la Destra italiana rappresentata da Fratelli d’Italia è ancora incastrabile in un’alleanza con Forza Italia e con la Lega, molti si domandano perché un cartello di destra dovrebbe oggi funzionare rispetto a ieri, posto che i partiti sono gli stessi con l’aggravante che due di essi sono nel governo di Draghi e uno all’opposizione. In realtà al loro interno è cambiato il rapporto di forza grazie a due fattori imprevedibili quanto paradossali: la crescita del consenso di FdI e la “costruzione” dell’immagine della sua leader da parte delle opposizioni! Sì, avete capito bene, se la Meloni si è guadagnata sul campo la leadership, la sua popolarità invece è stata costruita dagli avversari politici che, attaccandola a prescindere e sguaiatamente, l’hanno resa simpatica a molti italiani, anzi, epiteti come coatta, scrofa, pesciaiola, hanno finito col far crescere la sua immagine di donna del popolo, di ragazza delle periferie, come dire la vocazione sociale, un po’ ruspante se vogliamo, della Destra italiana. Sicché oggi un operaio s’identifica più nella Giorgiona nazionale che non nell’asettico Letta, e prima di lui Zingaretti, dai quali non si sono ancora sentite pronunciare, neppure una volta, parole come popolo, operai, fabbriche.
Ecco, senza volere entrare nel merito della sua opportunità politica o meno, la scelta di Giorgia Meloni di non appoggiare il governo di solidarietà pandemica di Draghi a maggioranza di sinistra è l’inizio di un appassionato nuovo corso della Destra italiana: è l’apertura di un cantiere per costruire un’ideale di destra, una passione di destra, insomma quella “comunità politica” auspicata dalla Gutmann.
E con quali blocchi lo farà?
Con quelli che le forniranno – e saranno tanti! – il governo di Draghi e le forze politiche che lo sostengono con in testa una Lega che, lungi da riuscire ad affermarvi istanze di destra, si sta evolvendo in una Democrazia Cristiana appena un tantino più verbosa di quella originale rappresentata oggi da Forza Italia.
Ergo, chi meglio della Meloni può rappresentare la Destra italiana in questo particolare momento storico?
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