Quale sarà il risultato dell’inverecondo “mastellamento” della crisi/non crisi del governo lo vedremo tra un paio di giorni in Parlamento, anche se, indipendentemente dalla sua evoluzione, dovremmo iniziare ad interrogarci sul se in un Paese democratico sia normale che un privato cittadino, soltanto perché coniuge di un senatore, abbia in mano le sorti del governo nazionale. O se quello che a lui si affida sia un governo serio, in regola con quella che fino a ieri era ritenuta la Santa Costituzione che assegna al Parlamento elettivo le suddette funzioni e facoltà
– Enzo Ciaraffa –
Nel momento in cui i media, in buona parte corifei del governo, hanno attenuato i riflettori su di una delle pagine più indecenti della nostra storia repubblicana dopo l’uscita dal governo del partitino di Matteo Renzi, io ho voluto succintamente ricordare ai più giovani, con la massima obiettività possibile, l’impressione che ricavai da un mio incontro diretto, nel 1992, con colui che in questi giorni è l’uomo più chiacchierato e/o insultato d’Italia dopo il senatore di Rignano (quasi) fuori dal governo. Ciò perché l’uomo politico che incontrati tanti anni fa, è inviso al Centrodestra che lo conosce bene avendolo avuto come infido alleato in passate legislature, è disprezzato dalla Sinistra demo-grillina che deve trangugiare l’amaro calice di averlo come ascoltato consigliori dopo averne detto peste e corna: sto parlando di Clemente Mastella. Il nostro incontro fu dovuto a ragioni di servizio per entrambi perché, nella circostanza, lui era sottosegretario alla Difesa ed io un Ufficiale facente parte dello staff che era andato a prelevarlo nella sua casa di Ceppaloni, per poi accompagnarlo, in sostituzione dalla massima autorità militare della regione, ad una cerimonia in Avellino come da foto di copertina dove io sono quello cerchiato in rosso.
Ricordo che, quando con largo anticipo arrivammo a casa dell’allora sottosegretario per fargli da accompagnatori, dovemmo aspettare un po’ prima che lui potesse muoversi perché, da vero notabile del Sud, era impegnato a ricevere una variegata pletora di persone che lo trattava con affetto e senza nessuna deferenza servile: sembrava che tutti i presenti fossero là unicamente per parlare con il ragazzo del paese diventato importante. In effetti, se non era proprio un ragazzo, all’epoca Clemente Mastella aveva soltanto quarantacinque anni. Durante quella breve sosta a Ceppaloni ero ben consapevole di stare assistendo ad un fluire di rapporti tra il popolo, inconscio dei propri diritti e possibilità, e l’incarnazione del potere, un fluire che è la causa di tutti i guai del nostro Sud, eppure mi colpirono favorevolmente la modestia della casa e l’apparente semplicità dell’uomo che vi abitava.
Prima di andare avanti, però, ritengo sia il caso di chiarire che non sono mai stato un estimatore politico di Mastella o, in qualche maniera, collocabile tra quelli che all’epoca erano chiamati le “truppe mastellate”, né l’ho mai votato quando era un giovane politico emergente della Democrazia Cristiana e, pertanto, i miei ricordi non hanno nessun ricarico elegiaco, ma neppure gratuitamente denigratorio. D’altronde, credo che Clemente Mastella ancora oggi si comporti così… a lui piace stare, come si dice in Campania, in “comportazione”, cioè ama essere al centro della considerazione altrui (a Sud anche la considerazione è potere…), e quando capita adora passare per benigno capo villaggio.
In realtà i sei partiti che ha fondato, e subito sciolto, i fatti, le scelte politiche e le cronache giudiziarie ci dicono che è stato anche un maneggione, forse neanche il più pernicioso tra quelli che si agitano sulla scena politica nazionale e, a modo suo, “generoso”. Infatti, quel giorno di 29 anni fa ad Avellino, mentre dopo la cerimonia militare passava in rassegna e salutava la folla assiepata dietro le transenne, che con grande entusiasmo lo applaudiva, Mastella invitò il Generale e me ad avvicinarci a lui per condividere gli applausi… generoso vero? Ovviamente declinammo cortesemente l’invito e rimanemmo al posto che il nostro ruolo ci assegnava. Questo ieri.
Ma chi è oggi l’uomo che, alla luce del sole, sta tessendo la tela per costruire il paracadute con il quale salvare Conte e la sorte del governo anche se ha appena dichiarato di avervi rinunciato? È un politico di alto rango? È un deputato o senatore eletto al Parlamento? No, è semplicemente il sindaco di un Comune campano di 60.000 abitanti, Benevento.
Ma allora come si piega il suo attivismo, lo stare al centro della trattativa per racimolare i responsabili da portare in dote a Giuseppe Conte dopo l’uscita di Renzi? In realtà don Clemente, al quale non è sembrato vero di poter stare di nuovo in “comportazione”, è il marito della senatrice Sandra Lonardo del Gruppo Misto del Senato, anche lei con un nutrito curriculum politico e giudiziario alle spalle, la quale si è fatta volenterosa capofila dei responsabili che, soprattutto al Senato, dovrebbero sostituire, eventualmente, la pattuglia dei renziani per non fare andare sotto il governo. In cambio di che cosa lo vedremo quando sarà stato ultimato il Cencelli dell’assegnazione delle quote del Recovery Fund da dare in gestione alle varie componenti politiche sulle quali il governo si regge.
In ogni caso, quale sarà il risultato politico di questo inverecondo “mastellamento” della crisi/non crisi del governo lo vedremo tra un paio di giorni in Parlamento, anche se, indipendentemente dalla sua evoluzione, dovremmo iniziare a porci qualche domanda fin da adesso: in un Paese democratico è normale che un privato cittadino, soltanto perché è il coniuge di un senatore, abbia in mano le sorti del governo nazionale? E quello che a lui si affida è un governo serio, in regola con quella che fino a ieri era ritenuta la Santa Costituzione che assegna al Parlamento elettivo le suddette funzioni?
E, giusto per finire in bellezza con le domande, è decente che un presidente della repubblica, la cui unica funzione sarebbe quella di vigilare affinché l’esecutivo non debordi dal ruolo assegnatogli dalla Costituzione, consenta tutto questo?
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