Il PD sopporta Conte soltanto per inderogabile clausola di alleanza col M5S, perché in realtà se lo toglierebbe volentieri dalle scatole se fosse libero di sostituirlo con uno dei suoi capataz in crisi di astinenza. Di Maio, invece, che apparentemente sembra il suo più efficace supporter, è in affanno e pare voglia, vox populi, addirittura uscire dal Movimento per porsi a capo di un’altra compagine politica sempre movimentista ma non orientata a sinistra ma, anzi, un po’ a destra
– Enzo Ciaraffa –
Ospite dell’agenzia di stampa Adnkronos, e riferito al movimento delle sardine, Giuseppe Conte ha affermato che: «Loro sono liberi e spontanei. La voglia di partecipazione espressa dal movimento dimostra che la nostra democrazia è sana». Sono parole che, facendo mente locale sulla situazione politica italiana di questi ultimi mesi, stupiscono non poco, visto che il premier si trova di nuovo a capo del governo perché i palazzi alti della politica, e non solo, hanno voluto impedire “la partecipazione” degli italiani alle elezioni, invocate dopo che ad agosto scorso la Lega gli aveva ritirato la fiducia. Come dire che la nostra democrazia ed i suoi sacerdoti così sani proprio non sono!
Peraltro, troviamo il mal dissimulato entusiasmo di Conte per il movimento delle sardine un riproporsi della storia perché, almeno a quelli della mia età, ricorda molto Ciriaco De Mita da Nusco, un pedante sinistrorso della Democrazia Cristina in versione prima repubblica e padrino in due battesimi politici di una certa risonanza: quelli di Romano Prodi e di Sergio Mattarella.
Ebbene, per quanto fosse il perfetto rappresentante di un partito sul quale si reggeva l’ammuffito equilibrio di potere nell’Italia degli anni Sessanta – e veniamo alle similitudini – De Mita s’intruppava spesso nei cortei di quei sessantottini adolescenti, un po’ più incazzati delle odierne sardine in verità, che contestavano il sistema del quale lui stesso faceva parte a pieno titolo, giovani che – pure loro! – volevano aprire il sistema come una scatola di tonno senza riuscirvi, perché i loro caporioni, una volta entrati nella stanza dei bottoni, da incendiari si trasformarono in pompieri . Infatti, a 91 anni suonati, il nostro uomo è ancora in politica come sindaco di Nusco. Ma le similitudini tra De Mita e Conte, però, finiscono qua e proviamo a sintetizzare il perché.
Se fosse più giovane De Mita, che politicamente parlando di Conte ne fa tre, avrebbe ancora un certo futuro politico a livello nazionale potendo contare su quella che potremmo definire la resa del vuoto da parte di un presidente della repubblica in carica, Mattarella, e del suo probabile successore, Prodi. A Conte, invece, per farlo rimanere sulla poltrona di Palazzo Chigi nessuno ha vuoti da rendere e, anzi, il suo potere si regge su personaggi, partiti e movimenti per i quali non si prevede un brillante futuro politico.
Il PD, in effetti, sopporta Conte soltanto per inderogabile clausola di alleanza col M5S, perché in realtà se lo toglierebbe volentieri dalle scatole se fosse libero di sostituirlo con uno dei suoi capataz in crisi di astinenza. Di Maio, invece, che apparentemente sembra il suo più efficace supporter, è in affanno e pare voglia, vox populi, addirittura uscire dal Movimento per porsi a capo di un’altra compagine politica sempre movimentista ma non orientata a sinistra. Ma Conte non può sperare neppure in un eventuale appoggio della piazza, delle sardine se volete, perché queste hanno già fatto sapere di riconoscersi nel PD che, come si sa, di aspiranti premier ne ha anche troppi.
Come dire che, mentre il vecchio Ciriaco De Mita lavorava utilizzando dei vuoti a rendere, Conte, che già è un vuoto a perdere lui stesso, sta lavorando con dei vuoti anch’essi a perdere e nel prossimo futuro sarà messo senz’altro da parte: nessuno gli deve niente di ritorno, nessuno lo ama perché è il sigillo di un’alleanza contro natura, è il risultato vivente delle alchimie del palazzo e della cattiva coscienza di coloro che oggi lo sostengono, gli stessi che non vedono l’ora di farlo sparire politicamente alla prima buona occasione, di cancellarlo dalla memoria politica del Paese, come farebbe un omicida con le sue impronte sull’arma del delitto.