I Carabinieri che abbiamo in testa sono perennemente lanciati alla carica contro i nemici dello Stato, contro i trasgressori della legge e i traditori del giuramento prestato alla nazione, pur non sottacendo la capacità contaminante e demolitoria di una mal gestita modernità che negli ultimi anni ha intaccato il patrimonio morale dell’Arma, che non riesce più a scegliere i propri quadri tra i migliori strati della società italiana
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Ogni tanto viene fuori che anche nell’arma dei Carabinieri, quella che per noi sarà sempre la Benemerita, c’è qualche mela marcia come il Maresciallo (arrestato dai suoi colleghi) che ultimamente voleva vendere a quella perla d’uomo di Fabrizio Corona alcuni file riservati sul boss mafioso Messina Denaro, dopo averli sottratti ai circuiti informatici dell’Arma. Nonostante ciò, sarà che siamo ostaggio del ricordo di quei magnifici Carabinieri che furono i nostri padri e fratelli, sarà che abbiamo conosciuto tantissimi professionisti in gamba tra le loro file, anche quest’estate vogliamo ricordare uno degli episodi gloriosi che hanno segnato la loro nobile storia in due secoli di vita.
Non vi fu battaglia durante le guerre risorgimentali in cui non rifulse il loro valore, ma l’episodio più rievocato è quello della carica di Pastrengo dove, il 30 aprile del 1848 (Prima Guerra d’Indipendenza), per rimediare all’ennesima avventatezza di Carlo Alberto che si era fatto sorprendere quasi sanza scorta dall’artiglieria austriaca che tirava dal borgo di Pastrengo, il maggiore Alessandro Negri di Sanfront dovette ordinare e guidare, ripetute volte, la carica di tre squadroni di Carabinieri, sloggiando l’artiglieria nemica a sciabolate. Fino a non molti anni fa, oltre al coraggio, i nostri eroi avevano sempre avuto uno spirito di corpo, una tradizione, uno stile e un ardore difficilmente riscontrabili in altri Corpi di polizia. Per capire di cosa parliamo ricordiamo un episodio accaduto proprio a margine della citata carica di Pastrengo, quando il sottufficiale di uno dei tre squadroni caricanti, avendo avuto il cavallo ucciso nel primo assalto, pur di partecipare al secondo non esitò a saltare sulla giumenta di alcuni contadini della zona, a dorso della quale si lanciò di nuovo nella mischia, roteando la sciabola. Voi non ci crederete, ma quell’ardimentoso sottufficiale si beccò un cazziatone tremendo dai suoi superiori per “…aver impiegato una cavalcatura non degna di un Carabiniere”. E meno male che non era saltato su di un ciuco per partecipare alla carica, sennò addirittura lo fucilavano!
Esageratamente ligi al dovere? Troppo attaccati alle tradizioni? Può darsi, ma questi sono i Carabinieri che abbiamo in testa noi, perennemente lanciati alla carica contro i nemici dello Stato, contro i trasgressori della legge e i traditori del giuramento prestato al popolo italiano, pur non sottacendo la capacità contaminante e demolitoria di una mal gestita modernità che in questi ultimi anni ha intaccato il patrimonio morale dell’Arma che, diciamolo, non è più in grado di selezionare i propri quadri tra i migliori strati della società italiana. Soggiungiamo a riguardo che, per i Carabinieri, non dovrebbe valere il principio della carriera aperta a tutti i fisicamente idonei, perché non tutti i fisicamente idonei lo sono anche moralmente.
Ma questo è classismo!
No, si chiama selezione.
(La copertina è di Donato Tesauro)
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