In Francia un Generale, Charles De Gaulle, diede vita alla quinta repubblica e ne divenne presidente, mentre la storia che va dalla disfatta di Caporetto all’8 settembre 1943 non lascia ben sperare nella capacità dei Generali italiani di saper gestire, da onorevoli, i processi politici di un Paese in drammatica crisi d’identificazione tra gli eletti e il popolo-elettore
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Prevedo che questo articolo mi alienerà la simpatia di parecchi colleghi in servizio e a riposo, ma io non scrivo per essere simpatico o antipatico, semmai per esprimere delle oneste opinioni su degli accadimenti che un po’ dovrebbero farci vergognare. Magari i nostri posteri si divertiranno pure molto nell’apprendere che, dopo le pornostar e gli ideologi del terrorismo, abbiamo eletto al Parlamento, nelle fila grilline, un Capitano di Fregata della Marina Militare, tale Gregorio De Falco, soltanto perché aveva urlato al telefono “Cazzo”, a me, invece, preoccupa la crescente moda di arruolare i militari in politica. Per carità, gli uomini e le donne in divisa hanno gli stessi diritti di tutti i cittadini della Repubblica ma, a mio avviso, un dovere in più: quello della ferrea imparzialità. Va da sé che un tale dovere lo dovrebbero avere anche magistrati e giornalisti ma, se questi ultimi possono fottersene perché nella loro vita non hanno mai vissuto la poesia e l’impegno morale di un giuramento su quel Tricolore che rappresenta tutto il popolo italiano, un militare in servizio dovrebbe, invece, pensarci un milione di volte prima di schierarsi.
Ma se coloro i quali la politica la fanno per ben remunerato mestiere (e sottolineo “mestiere”) sono di una mediocrità ributtante, perché dovrebbe essere migliore di loro un Generale che di politica non sa praticamente niente? Fino a qualche mese fa era corteggiato della Lega per il Parlamento Europeo il Generale Roberto Vannacci, l’autore del controverso libro “Il mondo al contrario” ma, a seguito dell’ennesima piroetta di Salvini, che dopo avere inopinatamente annacquato i suoi rapporti con l’estrema destra europea si è spostato verso il Centro con gli ex democristiani dell’Udc, dubitiamo che il Generale venga alla fine candidato. Ecco, se le cose dovessero andare davvero così, sarebbe il caso che il nostro scrittore con la greca sulle spalline si dimettesse definitivamente dall’Esercito, perché non si può scegliere una parte politica e, poi, far finta di essere al servizio di tutto il Paese.
Ma in questi giorni si è imbrattato di opportunismo un altro mito con le stellette: il Generale dei Carabinieri Sergio De Caprio, l’ufficiale che comandava il reparto del Ros che nel 1993 arrestò Totò Riina. Ebbene, questo alto ufficiale, che per ben trentun anni temendo ritorsioni da parte della mafia si è sempre presentato in pubblico a volto coperto, ha finalmente mostrato il volto con un imperativo in testa: «A viso aperto con Cateno De Luca – Voglio continuare a servire il popolo italiano, con la stessa umiltà che ho avuto da Carabiniere». Non ha ancora messo piede nella lista dell’ex sindaco di Messina e di Taormina, più volte processato dalla Magistratura, Cateno De Luca leader del fantasmagorico “Fronte della Libertà”, e il nostro amico Ultimo è già diventato auto referenziante! In verità, non crediamo che questo gli servirà a molto, perché prevediamo che uscirà ultimo anche dalle elezioni europee d’inizio giugno.
Oddio, ci sono stati anche in passato Generali che si sono dati alla politica come, per citarne alcuni, Giovanni de Lorenzo, l’ammiraglio Gino Birindelli e Falco Accame, ma ebbero il buon gusto di aspettare di andare (o di essere messi…) a riposo. E poi, è anche una questione di stoffa. In Francia un Generale, Charles de Gaulle, seppe dar vita alla quinta repubblica diventandone il primo presidente, un ottimo presidente che aveva in mente un progetto politico che all’epoca pareva visionario e invece era soltanto preveggente: “L’Europa dall’Atlantico agli Urali”. E col premier russo della perestroika, Mikhail Gorbacev, avremmo potuto davvero realizzarlo quel progetto se, dal 1989 a oggi, gli americani e la Nato non avessero inanellato errori geopolitici uno appresso all’altro. I nostri Generali, invece… chissà. Certo è che la storia, soprattutto quella che va da Caporetto all’8 settembre 1943, non lascia ben sperare nella loro capacità di saper gestire, da onorevoli, i processi politici di un Paese che vorrebbe diventare grande e non sa come riuscirvi, incatenato com’è da una drammatica crisi d’identificazione tra gli eletti e il popolo-elettore. Pertanto, se vuole sopravvivere a se stessa la politica deve arruolare i renitenti al voto, non i Generali.
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