Adozione mite, a rimetterci sarà ancora il bambino

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Non siamo molto persuasi che mantenere i contatti con la famiglia originante, come stabilito dalla Corte d’Appello di Roma, giovi ai bambini adottati perché una tale sentenza non fa altro che andare a complicare ancor di più il quadro generale dei bambini provenienti da famiglie polverizzatesi, laddove si pensi che con l’adozione mite, il bambino adottato, non saprà più in quale famiglia riconoscersi, andando a implementare la diffusione della sindrome da alienazione genitoriale

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La Corte d’Appello di Roma ha sentenziato che, dopo sei anni, una mamma di origine nigeriana, vittima della tratta delle donne da avviare alla prostituzione, potrà rivedere le sue bambine date in adozione a due distinte famiglie italiane. Insomma, è arrivata anche in Italia l’istituzione della cosiddetta adozione mite, ovvero una forma particolare di adozione valida per figli minori di genitori incapaci di allevarli e curarli, e che vengono affidati a una nuova famiglia, cercando però di mantenere sempre vivi i rapporti e i legami con i genitori biologici

Ma l’adozione mite è una buona cosa? Giova ai bambini adottati? Non ne siamo molto persuasi perché, a nostro avviso, la sentenza della suddetta Corte d’Appello non fa altro che andare a complicare ancor di più il quadro generale dei bambini provenienti da famiglie polverizzatesi, laddove si pensi che, con l’adozione mite, il bambino adottato non saprà più in quale famiglia riconoscersi, andando a implementare la cosiddetta Sindrome da alienazione genitoriale. Tale sindrome insorge nei figli quando, a seguito del divorzio dei genitori o per altre cause, essi sono affidati dal tribunale a uno di loro due, quasi sempre alla madre in verità, facendo così venir meno quella che con un brutto neologismo si definisce bigenitorialità. È sul “come” andrebbe curata tale sindrome che il discorso si fa più complesso, perché va a toccare discipline e campi d’interesse che sono molto diversi tra loro e non sempre conciliabili, situazioni che innescano molto spesso problemi non previsti dalla giurisprudenza e domande senza risposta.

Ma, pur senza voler andare a invadere campi che non sono nostri, evidentemente, le domande che s’impongono a questo punto sono fondamentalmente quattro: se per crescere sani e passabilmente equilibrati i bambini hanno diritto alla bigenitorialità, allora la quadri-genitorialità sarà un disastro? Sì, perché come può crescere equilibrato un bambino che, per ben due volte, si trova a dover scegliere su chi riversare il proprio affetto tra due padri e due madri? In quale delle due famiglie – quella biologica o quella adottante – egli riuscirà a identificarsi? Quali delle due famiglie potrà esercitare la patria potestas o, se vi piace, quella che oggi in Italia s’inclina a chiamare responsabilità genitoriale?

Purtroppo il contraddittorio modo di legiferare, che è una caratteristica del nostro ordinamento giuridico, unito ad alcune direttive dell’ Unione europea, tende a passare da un eccesso all’altro anche in materia di diritto di famiglia. Infatti, grazie al Regolamento europeo numero 2201 dell’anno 2003, la patria potestas, il fondamento della famiglia fin dai tempi dell’antica Roma, si è trasformata in responsabilità genitoriale nel nostro Paese e in autorité parentale in Francia, una responsabilità-autorità il cui esercizio non si capisce bene come possa essere congruamente esercitato da parte di quattro genitori. Questa indefinitezza è particolarmente grave perché la vita dei piccoli va diretta, amministrata, controllata e rappresentata con atti che sono veri e propri atti d’imperio da parte dei genitori, dal momento che essi devono decidere “per un altro”, così come impone l’articolo 147 del Codice Civile. Con l’introduzione dell’adozione mite quali, tra i biologici e gli adottanti, saranno i genitori soggiacenti a questo disposto di legge? Alla luce di quanto sopra, a noi, quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Roma, più che un’adozione mite sembra un’adozione mitologica.

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