Alleanza Atlantica: sarebbe pericoloso per la pace se non armasse l’Ucraina
Share
Se, come si proponeva, Vladimir Putin fosse riuscito a conquistare tutta l’Ucraina, avrebbe quasi certamente iniziato a minacciare anche l’Estonia, la Lituania, la Finlandia, la Moldavia e tutti i Paesi satellite dell’ex impero sovietico, alcuni dei quali peraltro oggi fanno parte della Nato. Sicché, se i carri armati russi in questo momento stessero sciamando per tutta l’Ucraina, la loro stretta vicinanza con gli eserciti dell’Alleanza Atlantica sarebbe diventata potenzialmente esplosiva, perfino più esplosiva dell’attuale situazione
*****
Immaginate un bagnino che si tuffi in mare per andare a soccorrere un bagnante che sta per annegare, lo raggiunge, lo afferra per i capelli e gli tira la testa fuori dall’acqua, solo che quando il poveretto inizia a respirare lo caccia di nuovo con la testa sotto. Assurdo, vero? Ma è questo che l’Occidente, i Paesi dell’Alleanza Atlantica, e la Nato hanno fatto con l’Ucraina fino a ieri, nell’ambito di una guerra di aggressione che Putin non è riuscito a trasformare in una nuova “guerra patriottica” e che il presidente ucraino Zelensky sta cercando di non perdere perché ritiene sacrosanta la resistenza del suo popolo all’aggressione, ma soprattutto ritiene di stare a battersi anche per il resto dell’Europa.
D’altronde, ogni resistenza a un’invasione, a un atto di guerra non voluto né provocato, è sacrosanta, purché si trovi il coraggio di dire che non esistono guerre giuste e guerre ingiuste ma, se proprio vogliamo fare una distinzione, dobbiamo parlare di guerre evitabili e guerre inevitabili perché, alla fine dei conti, le guerre sono tutte ingiuste e, talvolta, quando esse terminano pochi ricordano le (vere) ragioni per le quali erano iniziate. Ecco perché, secondo noi, un Paese che sia retto da una classe dirigente almeno ragionevole, anche se non eletta dal popolo, dovrebbe sempre puntare a evitare la guerra o quanto prima uscirne mediante negoziazione.
Purtroppo, al momento di grandi negoziatori non ne vediamo in giro, a meno di non volere attribuire tale qualifica a due cani da pastore della diplomazia come il russo Lavrov e l’americano Blinken o, peggio del peggio, a gente come il desaparecido Luigi di Maio che, in qualità di ministro degli Esteri, definì “animale” Putin, escludendo così a priori l’Italia da ogni ruolo negoziale futuro per la ricerca della pace in quell’area. La verità è che sotto le macerie del muro di Berlino – la cui caduta non era stata prevista neppure dagli stessi leader tedeschi – si è estinta la generazione dei grandi negoziatori, forse perché la politica e il potere decisionale sono andati a finire in mano a quelli che nel napoletano sono definiti pescitielli ‘e cannuccia. Nel frattempo, almeno sul piano decisionale-operativo, in Paesi come Russia, Cina e Iran si sono consolidate le preesistenti autocrazie, grazie al fatto che quei governi non hanno un’opinione pubblica alla quale devono render conto e che, alla peggio, ricorrono alla più scientifica e sordida manipolazione della verità per (dis)informarla.
Sicché si è venuto a creare un pericoloso disequilibrio tra forze potenzialmente ostili, come dire tra l’asse del male Russia, Cina, Iran, contro i Paesi dell’Alleanza Atlantica, un disequilibrio non tanto di volontà ma di possibilità, nel senso che i leader del suddetto asse non vengono frenati da quella balance of power interna con la quale devono misurarsi le democrazie atlantiste, dove ogni assunzione di responsabilità scaturisce da una suddivisone di poteri che impedirebbe a un uomo solo di decidere per tutti.
Questa situazione operativa dell’Alleanza Atlantica, unita a investimenti nel settore militare che dalla fine della guerra fredda si sono fatti sempre più risibili, ha fatto pensare a Putin di poterne approfittare per andare a invadere impunemente l’Ucraina, una “pratica” che, secondo i suoi calcoli, l’Armata Rossa avrebbe risolto in 48/72 ore e la reazione dei Paesi dell’Alleanza Atlantica e della Nato non sarebbe andata oltre la platonica esibizione muscolare delle sanzioni (aggirate e aggirabili in mille modi), come accadde a seguito della sua invasione della Crimea. Però stavolta l’inquilino del Cremlino non ha azzeccato la previsione e, anzi, con la sua iniziativa ha ottenuto l’effetto contrario. Infatti, l’Occidente, la Nato, l’Unione Europea e i Paesi confinanti con la Russia si stanno muovendo abbastanza uniti nel fornire armi e sostegno economico all’Ucraina, nonostante l’ambiguità di due cavalli di Troia al loro interno, come la Turchia e l’Ungheria.
A distanza di un anno dall’invasione, delle avanzate e delle ritirate dei due eserciti in campo, adesso bisogna iniziare a porsi una domanda: l’Ucraina può vincere questa tragica partita? E la risposta sul piano militare non può che essere che un bel no, se non altro per una questione di volumi in campo. Però, aiutandola almeno a contenere l’aggressione possiamo dimostrare a Putin che neanche lui può vincerla fino in fondo questa guerra. Come dire che siamo favorevoli a sostenere militarmente l’Ucraina perché, per come la vediamo noi, o Putin ricorre all’arma atomica (e sa di non poterlo fare…), o si acconcia a moderare gli appetiti e venire a patti col Paese che voleva annettersi e che gli si è conficcato in gola come una lisca di pesce. Insomma, armare l’Ucraina avvicina ai negoziati e rimette una certa distanza fisica tra l’Armata Rossa e gli eserciti atlantisti.
Se, come si proponeva, Vladimir Putin fosse riuscito a conquistare tutta l’Ucraina, avrebbe quasi certamente iniziato a minacciare anche l’Estonia, la Lituania, la Finlandia, la Moldavia e tutti i Paesi satellite dell’ex impero sovietico, alcuni dei quali peraltro oggi fanno parte della Nato: se i carri armati russi in questo momento stessero sciamando per tutta l’Ucraina, la loro vicinanza con gli eserciti dell’Alleanza Atlantica sarebbe diventata potenzialmente esplosiva, perfino più esplosiva dell’attuale situazione!
Sicché, nonostante gli sbeffeggiamenti del pappagallo di Putin, Medvedev, ha ragione il nostro ministro della difesa Crosetto quando afferma che soltanto la fornitura di mezzi corazzati e di altre armi all’Ucraina può evitare la Terza Guerra Mondiale perché, aggiungiamo noi, ciò frenerebbe la spinta russa verso l’Ovest e il Sud. Per cui, è in questa prospettiva che bisogna vedere la sofferta, ma inevitabile, cessione da parte della Germania, degli Usa e della Francia di un centinaio di carri armati, rispettivamente Leopard, di M1 Abrams e di Amx-10 Rc.
Stiamo parlando, per adesso, di un numero di veicoli che possono dotare più o meno due Reggimenti Carri, troppo pochi per riuscire a cambiare il corso della guerra, sufficienti però per impensierire i russi che – oltre agli effetti letali sul terreno – temono la pubblicità negativa che deriverebbe da uno scontro diretto di questi due carri della Nato con i loro corazzati, alcuni dei quali risalgono agli anni Ottanta, sennò addio commesse dall’estero per la loro ferraglia.
I promessi veicoli corazzati, inclusi gli equipaggi addestrati, saranno operativi entro la fine dell’anno, ma Zelensky, che è condannato a essere più perspicace dei capoccia della Nato, ha capito che, in previsione dell’arrivo dei tank e di una ricorrenza, il 24 febbraio, non proprio trionfale per loro, i generali di Putin cercheranno di fare (per uso interno) quanto più danno possibile con gli attacchi missilistici. Ciò prima di diventare più cedevoli, perché crediamo che al Napoleone del Cremlino non sia ignota la possibilità secondo la quale, dopo aver lanciato le sue divisioni corazzate nella steppa ucraina per ridare alla Russia il ruolo di grande potenza, potrebbe ritrovarsi vassallo della Cina che, per rilanciare le sue esportazioni in forte calo, in questo momento ha bisogno di una situazione internazionale tranquilla.
Ma comunque andranno le cose nelle pianure ucraine, prepariamoci a fare qualche sacrificio economico anche noi occidentali se vogliamo scoraggiare i Putin di turno per i prossimi anni che, in ogni caso, non saranno facili. D’altronde, l’idea di coltivare la pace mantenendosi costantemente armati non è nostra, posto che già duemila anni fa i progenitori latini pensavano che “Si vis pacem, para bellum”, un principio che ha sorretto per quasi mezzo secolo il mondo uscito dalla II Guerra Mondiale. La chiamarono “guerra fredda” ma furono anni di pace possibile, di espansione delle democrazie e di crescita sociale in tutto il mondo.
Per conservare la pace, dunque, dobbiamo spendere più soldi per gli armamenti? Sì.
In futuro vivremo in uno stato di perenne allerta? È sicuro.
Tra i nuovi blocchi militari che si profilano all’orizzonte, l’Europa diventerà più Usa-dipendente? Non v’è ombra di dubbio.
L’alternativa? Iniziare ad abituarsi alla ciotola di riso che ci daranno i cinesi, quando noi occidentali saremo diventati tante formichine operose al loro servizio e vivremo tutti quanti in una sorta di Auschwitz globale senza filo spinato.
Potrebbe interessarti anche Il libro di Špánik che la memoria di Cechi e Slovacchi attendeva